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Roma-Lazio 2-1. L’immagine del derby.

Cercavo un’immagine che potesse raccontare la partita di ieri.

Roma-Lazio 2-1 Nainggolan goal

La linguaccia di Nainggolan, ad esempio. Che con una gamba sola (d’altronde, l’aveva promesso alla vigilia) ha lasciato a tutti il dubbio su quello che avrebbe potuto fare se le avesse messe in campo entrambe.

Roma-Lazio 2-1 esultanza kolarov

O la sobrietà dell’esultanza di Kolarov. C’è da capirlo e rispettarne i sentimenti, comunque è un ex.

Roma-Lazio 2-1 Diego Perotti

Ma anche i 6’ di recupero. Che potevano essere pure otto, o dieci, o venti. Tanto comunque la palla l’avrebbe tenuta Perotti fino alla fine.

Poi però, m’è tornato in mente Bruno Peres. Che stronca Lukaku con un tackle alla Sebino Nela e si carica come neanche McGregor prima di incontrare Mayweather.

Apposto così.

Roma-Lazio 1-3. SPQR.

 

La portavamo scritta sulla maglia la sintesi dell’ennesima delusione della stagione.

4 lettere d’oro su sfondo rosso sfoggiate come un vanto e pesanti come macigni.

Retorica spavalda di Popolo e Senato. Di Quiriti e Latini. Di imperatori e barbari invasori. Arrogante  ostentazione di una Eternità presupposta. Tutta nostra, e solo nostra. Che se funzionasse davvero così, il Panathinaikos avrebbe più Coppe dei Campioni del Real Madrid.

4 lettere d’oro su sfondo rosso, invalicabili come l’Everest.

Simbolo di come, credendo d’essere il Barcellona, finiamo per fare a malapena la figura dell’Espanyol.

Marzo 2017.

Francesco Hayez, La Meditazione o L’Italia del 1848.

Una giovane donna, bellissima, dai capelli corvini. Col seno semiscoperto e il volto nascosto da un velo d’ombra. Le mani stringono la croce del martirio risorgimentale. Lo sguardo, infelice ma al tempo stesso fiero e deciso, invita a condividere il dolore per il naufragio delle speranze d’indipendenza. Stimolando empatia in chi lo incrocia, non compassione.

L’Italia del marzo 1848. O la Roma del marzo 2017.

Lazio-Roma 1-4. Timori.

Lo temevo, ‘sto derby.

E non per l’irrazionalità tattica o l’isteria agonistica tipiche della stracittadina. Né per la logorante attesa a causa della sosta. Tantomeno per gli stucchevoli rumors di mercato su Pjanic, Nainggolan e Manolas. Figuriamoci se per le deliranti intemerate di Caressa sull’ultimo derby di Totti da titolare.

Io temevo la Lazio.

Sì. Temevo gli ubriacanti dribbling a rientrare di Felipe Anderson, le improvvise botte dalla distanza di Candreva, gli implacabili stacchi di testa di Klose, gli scatti brucianti sul filo del fuorigioco di Matri. Temevo che un trio di centrocampo composto da Pjanic, Keita e Nainggolan, sebbene organizzati tatticamente e tirati a lucido fisicamente, non potesse nulla contro la fisicità di Parolo, il dinamismo di Cataldi, la visione di gioco di Biglia.

Temevo che l’imprevedibilità di El Shaarawy, l’ubriacante velocità di Salah e la lussuriosa tecnica di Perotti non avessero chance contro l’esperienza di Bisevac, il passo di Braafheid, il senso della posizione di Patric e quello dell’anticipo di Hoedt.

Lo temevo, ‘sto derby. Lo temevo eccome.

Poi, però, me so’ svegliato. Ho preso un diger selz e maledetto la peperonata della sera prima.

Quando ho acceso la tv trasmettevano un’amichevole precampionato. Peccato, la Roma ha vinto solo 1-4. C’era da aspettarsi di meglio, è vero. Ma quando gli avversari so’ così scarsi prima della partita l’allenamento si fa lo stesso. Si vede che le gambe erano un po’ imballate…

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