Archivi tag: stato

Il senso della cultura.

Raggiungeva l’osteria, semideserta nel primo pomeriggio, e comandava un boccale. Ma ben presto scoperse che il tempo è il nemico del vino. Si può cercare l’ubriachezza quando non si è soli o, comunque, qualcosa ci attende e la sera è un’insolita sera. Ma quando le ore inalterate e uguali ci guardano bere e continuano indifferenti e l’ebbrezza dilegua con la luce e un altro tempo rimane da trascorrere; quando nulla accompagna l’ebbrezza né le dà un significato allora il vino è troppo assurdo. [Cesare Pavese, Il Carcere, 1939]

Ci sono uomini di stato che vigilano sugli uomini come fanno i poeti. Assorbendone il disagio, comprendendo le ragioni di un vino (o quello che è) diventato “troppo assurdo”. Roberto Mancini era il poliziotto che, durante il servizio alla Polfer alla stazione Termini, parlava con tutti: tossici, barboni, ubriaconi. Rollava una sigaretta anche per loro e ascoltava le loro storie.

Leggevo questo passaggio del libro che racconta la sua storia, Io, morto per dovere (Luca Ferrari e Nello Trocchia con Monica Mancini, ed. Chiarelettere) – Roberto Mancini era anche il poliziotto che ha indagato indagato sulla Terra dei Fuochi, che ne ha respirato i miasmi tossici fino ad ammalarsi, e morire, di tumore – mentre nel laido salotto di “Porta a Porta” il figlio di Riina ripeteva (tra l’altro) che lui, al contrario dei suoi compagni, a scuola non ci è mai andato. E non si è mai domandato perchè.

Un uomo dello Stato capace di farsi lui stesso Stato recitando a memoria Pavese. E l’Antistato che scaccia l’istruzione, la rifugge senza mai sentirne il bisogno. Qual’è, se non questo, il senso della scuola, della cultura, delle arti?

Lo scandalo

E’ più forte di me, non capisco.

Non capisco perché, sabato sera, abbia suscitato questa ondata di generalizzato sdegno (e di annessa benpensantistica moralità) il fatto che, in una situazione di fortissima tensione e criticità come quella che si era creata prima dell’inizio della finale di Coppa Italia, i responsabili di pubblica sicurezza abbiano “trattato” con uno dei referenti (o forse con “il” referente) dei soggetti coinvolti.

Genny ‘a carogna non è l’interlocutore con cui i rappresentanti delle istituzioni dovrebbero abbassarsi a trattare!!” gridavano i professionisti dell’etica a orologeria (come saggiamente la chiama un mio amico) nei Tg, in radio e sul web. Ma dai? (versione elegante del ben più chiaro Graziearcazzo!)

'a carognaMa in quel momento, purtroppo, la voce di Genny ‘a carogna, seduto a cavalcioni sulla balaustra dello stadio, era quella che stava rimbalzando di seggiolino in seggiolino, di smartphone in smartphone, di social network in social network. Era la voce più forte. Più del Prefetto. Più del Questore. Più del Presidente del Consiglio e del Presidente del Senato (che pure erano lì, a neanche cento metri, non nascosti nei palazzi). E’ agghiacciante, ma era quella con cui era necessario parlare per fare in modo che il messaggio fosse recepito da tutti.

E’ questo che a me scandalizza.

Che, con personaggi del calibro di Genny ‘a carogna, lo Stato abbia ancora la necessità di “trattare”. Nonostante i Daspo, i tornelli, le tessere del tifoso, le telecamere.

Mi scandalizza uno Stato che, a forza di raccontarci che Stefano Cucchi è morto per inanizione, che una ragazza durante una manifestazione è stata calpestata perché scambiata per uno zaino e che Federico Aldrovandi s’è ammazzato da solo, in situazioni critiche ha meno credito delle parole e degli sproloqui di un capobranco pregiudicato.

Non mi scandalizza che vada a “trattare”. Mi scandalizza che sia ridotto a doverlo fare anche con chi, già dalla scritta sulla maglietta, inneggia alla sua fine.