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23 Dicembre 2017 – 28 gennaio 2018. Dalla tempesta allo tsunami.

Da Juventus-Roma a Roma-Sampdoria. Sei partite, tre punti. Un ruolino da naufragio.

Che la società abbia fatto un disastro annunciando – urbi et orbi – di aver messo in vendita Dzeko e Emerson Palmieri è assodato. Per me ancora più disastroso è aver armato tutto ‘sto casino e poi non solo non aver fatto la tanto decantata “rivoluzione” annunciata da Monchi (qui), ma essere anche rimasti con in mano un pugno di mosche. Cioè con la più classica delle plusvalenze (Palmieri, e vabbè, ma per guadagnare dalla sua cessione non serviva certo un genio) e il più scontato dei buchi in rosa. Perché mi pare evidente che se a Kolarov prende la febbre, a sinistra ci finirà Juan Jesus. O tutt’al più un terzino adattato (Aleix Vidal?), preso comunque per giocare a destra e alzare Florenzi.

In questo contesto Di Francesco ha definitivamente smarrito una rotta già individuata a stento. Insistendo su un 4-3-3 per cui mancano gli uomini (esterno a destra d’attacco, intermedio e, in parte, regista) e che non valorizza i talenti – chiamiamoli così – in rosa (Nainggolan e Dzeko su tutti). Segnale allarmante di mancanza di esperienza (o di “malizia”) e, soprattutto, di “spessore”. Così come snocciolare statistiche in conferenza stampa come fossero risultati e/o mettere in campo il baby Antonucci come fosse un amuleto.

Detto questo, esonerare Di Francesco adesso sarebbe – ahimè – un errore. Più che altro per mancanza di alternative. Perché diciamocelo chiaro, sulla piazza ci sono Luis Enrique, Ancelotti, Blanc e Ranieri. I primi tre volano ad altre quote. Col quarto abbiamo sfiorato uno scudetto, è vero. Ma prima che si cominci a farneticare di nuove spericolate rimonte è bene ricordare che in quella stagione al suo fianco, in società, c’era un certo Gian Paolo Montali. Dirigente di un livello che a Roma non s’è più visto. Quindi, prima di millantare altri giri di vite, sarebbe il caso di correre in Cina da Fabio Capello, ad esempio, e consegnargli le chiavi di Trigoria. E poi vediamo se con un Direttore Generale come lui tutti i giorni a bordo campo, i comportamenti dei calciatori (protagonisti di questo scempio al pari di società e allenatore, sempre pronti a tirare i remi in barca al primo accenno di mareggiata) durante le vacanze sarebbero ancora “non professionali”.

E’ vero che, citando il sommo Stefano Benni, dopo l’errore di Schick in Juventus-Roma avevo scritto che abbiamo sempre mangiato pane e tempesta. Ma avevo scritto tempesta. Non tsunami. E che c***o.

Su Roma-Atalanta 0-2. Ma anche su Bologna-Roma e Barcellona-Roma.

Sì, vabbè. Ma di che parliamo?

Del campo impraticabile di Bologna? Del 6-1 che tanto non conta perché le altre hanno pareggiato? Del salvataggio sulla riga di Cigarini, o del miracolo di Sportiello?

Potremmo parlare del fatto che, nell’anno degli insegnati di calcio (Sarri, Sousa), la Roma è in mano a uno scolaro svogliato. Uno di quelli che, impegnandosi, potrebbe pure andare bene (Juventus, Fiorentina), invece vivacchia. Improvvisa. S’accontenta del minimo indispensabile. E colleziona insufficienze. Una guida tecnica approssimativa e confusionaria che s’innesta “alla perfezione” in un contesto già notoriamente e storicamente bipolare di suo. Ma porca troia so’ partito lasciando la Roma del derby, torno, e me ritrovo quella di Andreazzoli…

O potremmo parlare dell’improvvisazione in attacco degna della seconda Roma di Ranieri (Dzeko che crossa per Iturbe non è un “approccio sbagliato al match”, è un film dell’orrore!). Oppure della disorganizzazione difensiva stile “calciotto del giovedì”.

Ancora, potremmo parlare di come, quando la mossa della disperazione è poro-Sadiq, quel tecnico che in due anni e un po’ ha fatto scappare Sanabria in Spagna e Paredes all’Empoli, ha fatto perdere le tracce di Ponce (prima dell’infortunio) e ha mortificato Uçan, forse tanto astuto non è.

Altrimenti – per carità – potremmo stare a parlare fino allo sfinimento della rosa. Di quanto so’ scarsi Torosidis, Rudiger, De Rossi, Keita, Iturbe e compagnia cantante. Dimenticando che un’impronta di gioco, un’anima di squadra, l’abbiamo vista persino con Kuffour, Kharja, Alvarez e Cufrè…

Seriamente. Di cosa parliamo?

Fosse per me, col cuore in mano, parlerei di Luciano Spalletti. Ma siccome a volte è meglio avere più testa che cuore, parlerei anche di Fabio Capello. Sì, proprio lui. Fabio Capello. Allenatore fino alla fine del campionato e poi direttore plenipotenziario dell’area tecnica. Così magari potremmo provare a non rassegnarci all’ennesima occasione buttata. Appunto, magari.