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Lazio-Roma 1-4. Timori.

Lo temevo, ‘sto derby.

E non per l’irrazionalità tattica o l’isteria agonistica tipiche della stracittadina. Né per la logorante attesa a causa della sosta. Tantomeno per gli stucchevoli rumors di mercato su Pjanic, Nainggolan e Manolas. Figuriamoci se per le deliranti intemerate di Caressa sull’ultimo derby di Totti da titolare.

Io temevo la Lazio.

Sì. Temevo gli ubriacanti dribbling a rientrare di Felipe Anderson, le improvvise botte dalla distanza di Candreva, gli implacabili stacchi di testa di Klose, gli scatti brucianti sul filo del fuorigioco di Matri. Temevo che un trio di centrocampo composto da Pjanic, Keita e Nainggolan, sebbene organizzati tatticamente e tirati a lucido fisicamente, non potesse nulla contro la fisicità di Parolo, il dinamismo di Cataldi, la visione di gioco di Biglia.

Temevo che l’imprevedibilità di El Shaarawy, l’ubriacante velocità di Salah e la lussuriosa tecnica di Perotti non avessero chance contro l’esperienza di Bisevac, il passo di Braafheid, il senso della posizione di Patric e quello dell’anticipo di Hoedt.

Lo temevo, ‘sto derby. Lo temevo eccome.

Poi, però, me so’ svegliato. Ho preso un diger selz e maledetto la peperonata della sera prima.

Quando ho acceso la tv trasmettevano un’amichevole precampionato. Peccato, la Roma ha vinto solo 1-4. C’era da aspettarsi di meglio, è vero. Ma quando gli avversari so’ così scarsi prima della partita l’allenamento si fa lo stesso. Si vede che le gambe erano un po’ imballate…

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LDAPOST della domenica. Verona-Roma 1-1. Fine dei giochi.

Lungi da me voler insistere con la retorica trita e ritrita dei barbari padani contro Roma, ma il tenore molto agonistico e poco tecnico della partita impostata da Mandorlini s’era capito subito. Dopo soli 2’57” gli interventi assassini sulle caviglie di Florenzi e Keita sono già 3. Gli ammoniti zero. E i vaffanculo si sprecano. Il Verona gioca con tutta la squadra sotto la linea della palla. Quando è costretta, mena. Quando non è costretta, mena uguale. E gli entusiasmi per quei flebilissimi segnali di ripresa lanciati dalla squadra (giusto un paio di sovrapposizioni, qualche strappo, due/tre triangolazioni veloci) sono ampiamente disinnescati dalla capacità di Gervinho di vanificare le azioni all’interno dell’area avversaria in modo sempre diverso e sempre grossolano. Capacità ben nota, ma che la lunga assenza dell’ivoriano per la stramaledettissima Coppa d’Africa mi aveva fatto dimenticare.

Poi, di colpo, dal nulla, all’improvviso, Totti calcia da fuori. Angolo basso. Destra del portiere. 1-0.

Gli scaligeri non si scompongono. Sempre tutti sotto la linea della palla (Toni a parte, “spregiudicatamente” lasciato in avanti) e randello in azione. Manco 10 minuti e Hallfredsson azzoppa Florenzi. Il giocatore si contorce dal dolore ma lo staff medico della Roma, lucido e puntuale come d’abitudine, lo rimanda in campo con la caviglia distorta, a difendere su un calcio d’angolo. Florenzi neanche accenna un salto e Jankovic lo sorvola. Colpo di testa, doppia deviazione, e 1-1. Non c’è neanche il tempo per finire di smadonnare che, all’ultimo minuto del primo tempo, come un artistico vezzo tra le parole “Porca” e “Mignotta”, la traversa centrata dalla punizione di Ljajic certifica indiscutibilmente il momento catastrofico.

Il secondo tempo inizia con una serie interminabile di inutili e lentissimi passaggi orizzontali. Tachtsidis (oh, Panagiotis Tachtsidis, mica Modric!) sovrasta Pjanic per intensità e lucidità nelle giocate. Juanito Gomez in quanto a velocità mortifica Keita. Hallfredsson continua a colpire tutto quello che vede muoversi sopra l’erba. Gervinho, nel frattempo, si crede Garrincha. Ma pare Bartelt.

Tanta è la lentezza e l’approssimazione della Roma nella costruzione dell’azione e nel rovesciare il fronte di gioco che il Verona ci prova. Torosidis si immola sulla linea e, respingendo un bolide a botta sicura di Hallfredsson, ci salva dal baratro. Rovinandogli peraltro la gioia – rarissima per il centrocampista del Verona – di aver colpito il pallone invece della rotula di un avversario.

La soporifera manovra della Roma ha evidente bisogno di forze fresche, e di freschezza in generale. E al 65esimo, mentre l’approssimarsi di un calcio d’angolo ci faceva sognare (perché giusto quello c’è rimasto) un’acrobazia stile derby, dal cilindro di Mister Garcia esce il cambio Doumbia per Totti.

Il labiale del Capitano “aspetta porcoddinci” è sensibilmente più signorile del mio.

Fine dei giochi.