Archivi categoria: “della domenica”

LDAPOST della domenica. Lazio-Roma 1-2. Sulla felicità, sui paradisi, sulla filosofia, e sui laziali.

In ogni parte del mondo il tifoso di calcio vive sognando i trionfi della propria squadra ma – nell’intimo – si nutre delle sconfitte dei rivali. D’altronde l’essere umano gode anche del privilegio di poter trarre gioie nuove e sottili persino dal dolore, dalla catastrofe, dalla fatalità*.

Ecco perciò che, assodato come il 26 maggio 2013 la Lazio abbia battuto la Roma in finale di Coppa Italia, da quella data ad oggi su striscioni, coreografie, social network, giornaletti, radio, volantini e scritte sui muri, sia stato tutto un fiorire di Coppenfaccia.

Un paradiso in terra, per chi ha vinto.

Ma il buon senso ci dice che le cose sulla terra durano poco, e che la vera realtà si trova soltanto nei sogni. Per digerire la felicità naturale, come quella artificiale, bisogna avere innanzitutto il coraggio di ingoiarla**.

Ed è questo il punto su cui si interrogano e discutono da secoli l’arte e la filosofia. Una gioia, finanche un paradiso in terra, se non si ha la forza di “archiviarla” e di guardare avanti, perde la sua natura. Nulla è più fatale alla felicità che il ricordo della felicità stessa***. E quel paradiso in terra finisce per diventare un paradiso artificiale. Una droga della quale non si può più fare a meno per proteggersi dalla realtà, dall’inesorabile scorrere del tempo e dal volgere del destino. Ma orrenda è la sorte dell’uomo la cui immaginazione, paralizzata, non sia più in grado di funzionare senza il soccorso dell’hashish o dell’oppio****.

Eccoli dunque, i laziali. Fermi lì. Immobili. Con ‘sta benedetta Coppa tra le mani. Le braccia tese e i muscoli tirati nello sforzo di arzattelanfaccia. Col sorriso che da espressione di incontenibile felicità è diventato una maschera surreale con cui cercare, nell’eventuale fastidio altrui, l’essenza di una propria gioia. Ma soprattutto eccoli, con la visuale oscurata da un oggetto di cui, per quanto possa essere carico di significato, nessuno può modificare la natura. Di “oggetto”, appunto. Con forma, materiali, dimensioni e volume ben evidenti. Che non è mica trasparente, e se te lo tieni davanti agli occhi finisci che non vedi niente. Di “oggetto”, che per quanto uno possa lustrarlo, spolverarlo, lucidarlo, alla lunga non può che diventare un altarino dei ricordi sbiaditi, memorabilia di una storia che fu. Come la foto in sala da pranzo del poro trisnonno. A cui vorrai sempre bene, ma che ormai non sai manco più se l’hai conosciuto davvero.

Eccoli lì, allora. Tutti ancora stretti dietro a ‘sta coppa. Convinti di infliggere un dolore senza pari a tifosi che, a stento, se ne ricordano. Celebrando un marcatore che, a stento, ancora sta in rosa. Inneggiando a un capitano che, a stento, sta ancora a piede libero. Ignari che i mali se affliggono duramente affliggono per poco, altrimenti vuol dire che si possono sopportare*****.

Allora lasciamoli così. Co ‘sta coppa in mano, a sperà nei fallimenti degli altri. Troppo impegnati a urlà Telhoarzatanfaccia per accorgersi che da là dietro non vedono niente e finiscono per perdersi così bei panorami:

 IMG_1906

Ops.

NOTE

*, ** e ****: Charles Baudelaire, I paradisi artificiali.

***: André Gide.

*****: Epicuro, Lettera a Meneceo (sulla Felicità).

LDAPOST della domenica – Roma-Genoa 2-0. Concretamente.

Sono le 12.30 di Domenica, e fa caldo. E a qualcuno ‘sto primo caldo, deve aver dato alla testa nel vero senso della parola. Perchè tra le creste di Nainggolan e Niang, le treccine di Laxalt e Gervinho, la chioma di Perin e la chierica di Torosidis più che una partita di campionato sembra una fiera di parrucchieri psicopatici.

Ma tant’è. Si vara la Roma 2.0 di Rudi Garcia. Meno spettacolo (e, porca zozza, fare ancora meno spettacolo degli ultimi mesi è dura…) e più concretezza. E al 15esimo si può concretamente dire che la Roma 2.0 gioca – concretamente – coi lancioni. Il Genoa, nel frattempo, comincia con la spregiudicatezza tipica delle squadre di Gasperini: corsa forsennata in fase di recupero palla, caccia senza pietà alle caviglie di Ibarbo e incredulità ai limiti dello sgomento con la palla tra i piedi. Tale è la voglia dei centrocampisti rossoblu di difendere con intensità a tutto campo che finiscono per pressarsi tra loro e mettere Doumbia davanti alla porta. E Doumbia segna. Sì. Segna. E il goal lascia tutti di stucco per la finta e la freddezza. E poi proprio per la definizione: “goal di Doumbia”. Li mortè.

Ora, è vero che l’ivoriano c’ha una percentuale di realizzazione praticamente del 100%, (pari solo alla percentuale di madonne corrispondenti ad ogni suo patetico tentativo di stacco di testa) ma l’inquadratura nel tunnel dello spogliatoio mentre si alza il colletto della maglia con l’aria tronfia di un coatto sovrappeso fa pensare a tutto, tranne che a uno spietato finalizzatore.

Si riparte, comunque. Il Genoa preme, la Roma soffre e Garcia, concretamente, leva Doumbia per Iturbe. Pjanic fa l’esterno sinistro e Ibarbo l’esterno destro. Quella che è evidentemente una (tanto attesa) variante tattica, viene subito sminuita da Sky come il più classico dei 4-4-2. Inutile stare a precisare che se l’avesse fatto Conte per gli stessi opinionisti sarebbe stato un coraggioso 4-2-4.  Il nuovo assetto, quale che sia, sembra restituire  un po’ di gambe alla Roma. Torosidis trova qualcuno a cui sovrapporsi e da cui farsi lanciare in area. Corsa, sgambetto, rigore. Anzi no, giallo per simulazione. La decisione di D’Amato di Barletta non si commenta. Come non si commenta l’inutilità degli arbitri addizionali d’area, evidentemente buoni solo pe’ fa’ le marionette di Pulcinella al Gianicolo.

Yanga-Mbiwa per Pjanic è un cambio che mi atterrisce, ma serve a recuperare centimetri e forza fisica. Così come l’ingresso di Holebas per lo sfinito Ibarbo. Che poi, diciamocelo, il problema di Ibarbo è che lo spacciano per un attaccante. Se fosse arrivato come centrocampista difensivo sarebbe stato pure un bell’acquisto…

Comunque, il messaggio è chiaro: meno spettacolo e più concretezza. Tradotto: barricamose. E se barricamo talmente bene che, per una volta, il break ce riesce. Florenzi corre palla al piede accompagnato da Gervinho e dai pensieri di tutti “nun-je-la-passà-nun-je-la-passà-nun-je-la-passà”. E infatti nun-je-la-passa. E, concretamente, fa 2-0.

 

LDAPOST del mercoledìcomefossedomenica. Sassuolo-Roma 0-3. La formula magica.

Ibarbo-Doumbia-Gervinho, Gervinho-Ibarbo-Doumbia, Doumbia-Gervinho-Ibarbo. Niente. Manco a ripetermelo ad occhi chiusi come fosse un mantra ‘sto tridente me suscita, non dico sicurezza, ma perlomeno speranza.

Doumbia-Gervinho-Ibarbo, Ibarbo-Doumbia-Gervinho, Gervinho-Ibarbo-Doumbia. Non mi do pace.

Però, a furia di ripeterselo, uno finisce per abituarsi all’idea. E di conseguenza finisce pure per apprezzare la capocciata di Doumbia più del gesto atletico di Consigli, che invece di rimanere in piedi e bloccarla in tutta tranquillità mette in pratica il primo insegnamento tratto dal “Manuale del saltimbanco mascherato da portiere” di Fabrizio Lorieri: il “tuffo plastico”. E se la mette sotto la traversa. Però, come Lorieri, con stile. 0-1.

Ibarbo-Doumbia-Gervinho, Doumbia-Gervinho-Ibarbo, Gervinho-Ibarbo-Doumbia.

La formula deve essersela ripetuta tante volte anche Florenzi.  Che infatti tra l’opzione “la-passo-a-Gervinho-a-destra” e quella “la-crosso-al-centro-per-Doumbia” sceglie la terza, “me-la-tengo-ne-salto-tre-e-la-metto-forte-sotto-al-sette”. 0-2.

Gervinho-Ibarbo-Doumbia, Ibarbo-Doumbia-Gervinho, Doumbia-Gervinho-Ibarbo. Deve fa’ effetto pure su Rudi Garcia che, alla seconda occasione del neo entrato Zaza, con spregiudicatezza tattica capelliana e pragmatismo mazzoniano, leva Doumbia (perché va bene il mantra, va bene la capocciata, ma questo non ha strusciato ‘na palla) per mettere Yanga-Mbiwa.

La formula è sempre più breve, sempre più facile da memorizzare, sempre più rapida da pronunciare, e sempre più agghiacciante da accettare. Gervinho-Ibarbo, Ibarbo-Gervino. Ma qualcosa deve smuovere anche nell’animo dell’attaccante ivoriano. Che ritrova l’ispirazione e, per dimostracelo, spreca due contropiedi colossali. E solo dopo che al suo incespicare si è riassociata l’automatica esclamazione “‘sta grandissima pippa!“, può tornare a danzare palla al piede dentro l’area di rigore e a metterla al centro dove Pjanic, per una volta, invece di toccarla piano la spara forte sotto la traversa. 0-3.

Fosse vero, basterebbe, pronunciarla per tutto l’anno prossimo ‘sta formula. Magari comprando un par de attaccanti veri, però.

LDAPOST della domenica. Inter-Roma 2-1. E’ ‘no scherzo.

Daje su. Non può esse’ che ‘no scherzo.

Non può che esse ‘no scherzo che una squadra voglia davvero anda’ in Champions League con Ibarbo, Holebas, Cole, Yanga Mbiwa e compagnia cantante.

Non può esse che ‘no scherzo che il miglio esterno d’attacco della squadra sia mortificato nel ruolo di terzino destro per scelta tecnica. E che con queste scelte tecniche si sia pensato di vince lo scudetto e passà il turno di Champions (prima), arrivà secondi e far bene in Europa League (poi), e se finisca per attaccasse ai preliminari (forse) e conseguentemente ar c***o (probabilmente).

Non può esse che ‘no scherzo che il migliore della Roma sia, dall’inizio dell’anno, uno che per quattro anni s’è salvato (a stento) col Cagliari.

Non può esse che ‘no scherzo che un direttore sportivo (che – porca vacca – in televisione pare un senzatetto) per rinforzare la squadra abbia comprato Doumbia. E allora non può esse che ‘no scherzo, che Francesco Totti sia costretto a fa ‘ste figure de merda.

No, tutto questo non può esse vero.

E quindi è ‘no scherzo.

O no?