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A-A-bbronzatissimo.

Il problema non è l’abbronzatura. O meglio, lo è se parliamo di salute della pelle. Non lo è e parliamo di politica. Se ne parliamo, però, in termini puramente teorici. Perchè sì, anche un ministro può farsi u a segtimana di vacanza. Tanto ci sono internet, smartphone e tablet, siamo tutti connessi 24 ore su 24 figuriamoci un ministro. E in quellla benedetta settimana ha tutto il diritto di starsene a prendere il sole. Magari in barca. Quello poi, non sarebbe neanche una novità…

No, il problema non è l’abbronzatura. È il non capire – anzi meglio – è il non rendersi conto del messaggio mandato con l’ostentazione di quell’abbronzatura. E c’entra poco il confronto con la solennità d’altri tempi, e di altri rappresentanti del popolo, che la giacca la tenevano anche in spiaggia.

C’entra il presente.

Covid, Russia, Mediterraneo. A un Ministro degli Esteri sarebbero dovute bastare queste parole per saltare giù dalla barca e tornare alla Farnesina a nuoto. Ma nel caso si sarebbero potute aggiungere anche Egitto, Corea del Sud, Siria. E a voler fare proprio i precisini anche i congressi di Democratici e Repubblicani in vista delle presidenziali USA…

Altro che tablet, smartphone e olio abbronzante.

E il problema nello specifico non è neanche più il soggetto. Il Ministro degli Esteri è quello che è, non ci si può aspettare nulla di più. Né competenza, né applicazione, nemmeno sobrietà. Il problema è cosa vedono in quel soggetto (abbronzato o non abbronzato chissenefrega) gli alleati di governo. Ancora qualcosa di necessario e temporaneo per evitare al paese guai peggiori, o qualcosa di possibile e futuribile con cui andare a braccetto?

Perché tra quegli alleati di governo c’è chi, negli ultimi cinque anni, ha speso tempo e energie nello specificare, nel redarguire, nel distinguersi fino all’ossessione “dagli altri”. A distinguere la sinistra “da altro”. All’esterno, ma soprattutto all’interno. Ecco, allora distinguiamo. Specifichiamo. In un mese che ha come per parole chiave Covid, Mediterraneo, Russia, Corea del Sud, USA, Egitto, Siria, un Ministro degli Esteri che se ne sta a prendere il sole in barca è un problema o no?

Due giganti e una corte dei miracoli.

Sono in ritardo. “In 1/2 ora” con il confronto in vista delle primarie del centrosinistra per il candidato Sindaco a Roma è andata in onda domenica, lo so. Ma l’ho vista solo oggi.

Comunque, io sostengo Roberto Giachetti. Ed è acclarato. Ma il punto, stavolta, non è il “chi è meglio di chi”. Perché per conoscenza della città, capacità di ascolto e proposte di intervento, Giachetti e Morassut sono due giganti. Il punto è che, per una volta che il Pd ha in campo due giganti (sembrava incredibile anche solo immaginarlo dopo il disastro-Marino e Mafia Capitale), i due Roberto sono costretti a sgomitare tra un’improbabile corte dei miracoli che, per garantirsi un po’ di visibilità, un pugno di voti o una poltrona (più probabile uno strapuntino), fa dell’assurdo, della superficialità e della “cojonella”, i cardini della campagna elettorale. Quindi, tra l’affettata marzialità del Generale Rossi di Centro Democratico, l’esacerbante qualunquismo del “Senatore” Pedica e l’infantile confusione del movimentista Mascia (che per di più, non contento, si presenta pure in tv con un Orso di peluche, casomai si rimanesse di colpo a corto di prese per il culo) il 6 marzo gli elettori di centrosinistra saranno chiamati a scegliere uno dei due giganti di prima. Bella cosa le primarie. Magari però andrebbero leggermente rivisti i principi di ammissione…

Non ho citato la candidatura di Chiara Ferraro per un motivo preciso. Ne capisco il principio, la città deve essere pensata e amministrata anche (e soprattutto) in funzione di chi deve fare i conti con un handicap. Ma non ne condivido il modo. Mi lascia perplesso la fermezza con cui il papà l’ha coinvolta in questo secondo tentativo (era già stata nella Lista Civica per Ignazio Marino) e non mi piace l’esposizione traumatica a cui la ragazza è sottoposta senza poter sapere se, e fino a che punto, le sia gradita (perchè oh, stare vicino a uno che dice castronerie brandendo un orso di peluche cos’è se non un trauma?).

Oh, poi, per quanto in questo periodo si possa “diffidare” della politica, il confronto una certa rilevanza politica, oggettivamente, ce l’aveva, si parla pur sempre di Roma Capitale e del partito del Premier. Per questo credo avrebbe meritato un giornalista un po’ più preparato e meno astioso della Annunziata. Che però, c’è da dire, con i suoi a Tor Sapienza arrivano gli immigranti [testuale] e succede quello che succede, Chiara fa il minestrone, Renzi è andato al potere senza essere stato votato e nessuno di voi vuole vincere in quella corte dei miracoli ci stava proprio bene.

Per chi vuole “farsi del male”:

http://www.rai.tv/dl/replaytv/replaytv.html?day=2016-02-28&ch=3&v=634228&vd=2016-02-28&vc=3#day=2016-02-28&ch=3&v=634228&vd=2016-02-28&vc=3

La notte di Roma.

Dopo la preveggenza di Suburra, Bonini e De Cataldo raccontano la Roma di Mafia Capitale, degli intrighi di partito (e per partito s’intende solo il Pd) e del Giubileo.

Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo, La notte di Roma, Einaudi.
Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo, La notte di Roma, Einaudi.

Martin Giardino, detto “er tedesco”, è il sindaco che gira in bicicletta, che chiude al traffico privato tutta via dei Fori Imperiali, che inaugura la riqualificata Piazza Testaccio. Un Ignazio Marino evidentemente idealizzato, tratteggiato con tutti i suoi difetti (l’insicurezza nelle dichiarazioni, la rigidità, l’incapacità di leggere le reali esigenze della città) ma stavolta in grado di rimanere “a barra dritta” anche nel momento più cupo. Con stampa e opposizione, sia interna che esterna al Pd, scatenate (un’accusa di stupro al posto dei rimborsi ottenuti attraverso ricevute false) e la città vittima di una vera e propria “apocalisse” (scioperi dei trasporti, rivolte delle periferie e centro storico sommerso dall’immondizia). Ad aiutarlo c’è Adriano Polimeni, ex senatore messo in disparte dalla spregiudicata gestione “rottamatoria” della giovane e spregiudicata deputata Chiara Visone dopo aver preparato una dura relazione sullo stato dei circoli del partito in città (tesseramenti falsi ecc.). A sua volta, supportato da un amico di gioventù – padre Giovanni Darè – nominato direttamente da papa Francesco Responsabile Unico del Giubileo. Insomma, Bonini e De Cataldo raccontano di una auspicabile santa alleanza fra gli incorruttibili in grado di tenere testa alla Roma dei palazzinari, della mafia e dei criminali. E la raccontano, come al solito, bene. Con un ritmo serrato, con dei registri ben strutturati e con la solita metodica precisione.

Ma invece di rimanere con successo nei confini del giallo, del thriller, gli autori la contaminano con una morale evidentemente anti-renziana, superficiale e di conseguenza inutile ai fini della storia. Quindi, Chiara Visone sembra tanto la Boschi, contro cui si scagliano le vecchie glorie (molto poco glorie, peraltro) della sinistra. E il partito del Nazareno sembra tanto quello contro cui si scagliano i supporter più accesi di marino. Sconfinano nella sfacciata marchetta citando un ristorante della Garbatella (nome, zona, specialità…manca solo il prezzo e il numero per prenotare) e, tra una sbandata radical-chic e l’altra, finiscono per confondere “account” con “hashtag” nella descrizione delle modalità di consultazione online del M5s.

Però La notte di Roma è un thriller, non un trattato politico. Perciò non credo che, senza il precedente inequivocabilmente profetico di Suburra (ne scrivevo qui), avrebbe meritato molta considerazione.

Dalla sciatteria alla dignità.

Che poi a me delle due cene al “girarrosto”, delle fettuccine ai funghi o delle bistecche pagate con la carta di credito del Comune di Roma me ne fregherebbe anche poco. Sinceramente.La vera immoralità della vicenda sta nelle patetiche bugie inventate da Marino per giustificarsi. Ero a cena con esponenti di Sant’Egidio, ero con l’ambasciatore del Vietnam. Manca quella della “nonna morta o in ospedale”, e poi il campionario di scuse patetiche sarebbe completo. Sono scuse che non fanno neanche arrabbiare, tanto sono sciatte. Prive della tracotanza di Fiorito o dell’ignorante supponenza di Bossi jr. Sono le scuse di un alunno delle elementari sorpreso dalla maestra a non aver fatto i compiti. Solo che a un bambino delle elementari – bugiardo, per di più – nessuno farebbe governare Roma. 

Allora gli uomini di questa armata brancaleone mascherata da maggioranza la smettessero di blaterare del dopo “Mafia Capitale”, del “cambio di passo” e dei “fuoriclasse” in giunta. 

Facciano davvero qualcosa per Roma, permettendo a un commissario di guidarla in modo onesto e dignitoso almeno nel corso di un Giubileo che farà accendere (ancora di più) i riflettori di tutto il mondo su quello che Roma dovrebbe essere, potrebbe essere, ma che ora – di sicuro – non è. 

Ma soprattutto si preparino ad accettare l’autocritica che proprio questa sciatteria ci (noi elettori, io) chiama a fare. Noi (io) che non siamo stati capaci di leggere correttamente tra le righe delle giravolte lessicali con cui questi “fenomeni del cambio di passo” hanno giustificato incapacità, dabbenaggine, sciatteria e disonestà.

Se il Pd a Roma non vuole scomparire del tutto, si azzeri. Si stacchi la spina. Si chiama eutanasia. Vuol dire dignità. 

L’anti-austerità secondo Ponzio Pilato.

Ricorrendo al referendum popolare, Tsipras di fatto rimette nelle mani dei greci la scelta sulle proposte dell’Eurogruppo. Chiama cioè a pronunciarsi su una questione di rilevanza internazionale un popolo “affamato”, spaventato e (per carità, senza offesa) sprovvedutamente avvampato dai toni enfatici che il Premier e la sua spalla Varoufakis usano abilmente per mascherare l’indecisione e la debolezza dimostrate nelle trattative con i partner europei. Insomma, quello che si dice un “rivoluzionario” con gli attributi.
Mi ricorda qualcuno.
Ah sì, Ponzio Pilato. La tradizione non lo ricorda un granché bene…