Dopo la partita mi è venuto in mente Jonathan Zebina. Spiego (meglio). Mi è venuto in mente quando il problema della difesa della Roma si chiamava Jonathan Zebina. Che rispetto ai compagni di reparto (per carità, erano difensori del calibro di Aldair, Samuel, Zago, Panucci, non proprio Pippo, Pluto e Paperino) veniva considerato una “pippa”, e ogni volta che un suo errore risultava decisivo si parlava e scriveva di una “zebinata”.
Dunque. E’ evidente che il problema oggi non sia la presenza in rosa di uno o più Zebina. Purtroppo, però. Nel senso che ad avercelo sarebbe un lusso. Perchè la rosa di questa stagione è con ogni probabilità la più scarsa degli ultimi venti anni. Scarnificata da sessioni di mercato presuntuose, sfibrata nella personalità, ciclicamente ferita nell’amor proprio, periodicamente fiaccata da lungodegenze che forse solo nei lazzaretti dei Promessi Sposi.
Però questa stessa Roma incerta, zoppicante, balbettante, con ogni probabilità la più scarsa degli ultimi vent’anni, in semifinale di Europa League c’è arrivata. Come? Non importa. Come ci sarebbero potute arrivare il Milan, il Tottenham, il Benfica o – due a caso – Shakhtar Donetsk e Ajax (non proprio Vigor Lamezia e Aversa Normanna).
Poi, c’era da aspettarselo. L’asticella si è alzata, la disparità tecnica è diventata incolmabile. Quella fisica semplicemente imbarazzante, come impietosamente sottolineato dal primo caso di portiere amputato dal tiro di un avversario.
E allora, è andata come è andata. Cioè male, molto male. Che sia la stagione sbagliata di una squadra sbagliata è evidente. Però esserci, provarci, non è mai una vergogna.