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Energia dall’immondizia.

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Sia chiaro, quella di Libero è immondizia. Immondizia generata, peraltro, da allusioni altrettanto nauseanti (da 0’33” dell’ormai famoso audio de La Stampa, qui) dell’assessore Berdini.

Facciamo bene ad indignarci tutti.

E fanno bene ad indignarsi i vertici, i deputati e i consiglieri del M5s.

Ma anche questa immondizia potrebbe rivelarsi utile. Potrebbe scatenare un insperato effetto biodigestione e produrre energia pulita. Magari, da domani, qualcuno tra le fila delle inossidabili milizie social pentastellate, tra i fedelissimi del “ma i Tg non lo dicono”, tra gli adepti del “Fate girare!”, quando dai siti della galassia Casaleggio riceverà la nuova bufala sulla Boldrini o il nuovo fotomontaggio sulla Boschi da “condividere tuttii!!!11!!!” si ricorderà di questa immondizia e di questa indignazione. E causerà un cortocircuito.

O no?

Differenze.

Un avviso di garanzia, un invito a comparire, non equivalgono a una condanna.

E’ un principio importante.

Ma non è semplice. Perché se non è accompagnato dalla disponibilità al confronto, all’analisi, alla discussione, all’autocritica, non è niente. Se non è accompagnato dal rispetto, non è niente.

E’ questa la differenza tra chi questo principio lo ha sempre sostenuto, e chi se ne avvale solo ora.

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Le tanto decantate “differenze”.

Neanche troppo sottili.

P.s. oh, se poi qualcuno questa disponibilità al confronto, all’analisi, alla discussione, all’autocritica, al rispetto le avesse riscontrate tra i link di Tze-Tze, La cosa, La fucina ecc. mi facesse un segno. Magari mi sono distratto.

La verità è rivoluzionaria.

Sarò impopolare, ma a me della querelle sullo stipendio del capo di gabinetto del Sindaco di Roma non frega proprio niente. Quantomeno non in questo momento. Mi interessa che faccia bene il suo lavoro, e che lo faccia nell’interesse di tutti i romani. Ma soprattutto mi interessa che i cittadini da questa vicenda traggano spunto per iniziare a valutare ed eventualmente a mettere in discussione l’operato dell’Amministrazione che hanno chiamato a governare la città sulla base delle scelte che compie. E, magari, sulla base di quanto esse si discostino da quel “sentimento rivoluzionario” che ha generato il plebiscito di Giugno. Non può esistere, infatti, una rivoluzione che non sia generata da un desiderio diffuso di “vero”. E non può esserci “verità” raggiungibile senza critica, senza la capacità, e il coraggio, di andare al di là della propria (umana e ragionevole) parzialità. La critica è garanzia per la rivoluzione. La scuote, la frusta, la strazia a volte, ma la protegge. Ne custodisce l’integrità. E’ questo il corto circuito in corso. Quella evocata dalle grida “Onestà-Onestà” e celebrata dai link “Vergogna”-“In Galera”-“L’ha fatto davvero” è una rivoluzione che rifiuta il dubbio, che considera eretico l’approfondimento, che rigetta la critica: è una rivoluzione nata già regime. In cui tutto è slogan, insulto, spot. O anche sport, visto che siamo in periodo di Olimpiadi. Che magari a Tokio 2020 le medaglie potrebbero anche aumentare, basterebbe il campionato di condivisione seriale, specialità Tze-Tze, ItaliaRialzati e Orgoglioa5stelle.

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Perplessità.

Non capisco perché si chieda un passo indietro al sindaco Ignazio Marino alla luce di questa “seconda tranche” dell’inchiesta Mafia Capitale. Cioè al Sindaco che, comunque la si voglia vedere, di questo intreccio ha consentito l’emersione. Ma soprattutto non capisco perché le dimissioni pretese – per amor di schieramento più che per sostanza – dalla coppia Salvini & Meloni siano invocate anche da una parte di Pd che, contestualmente, rievoca i fasti (presunti) dell’amministrazione Veltroni. Quella in cui, per intenderci, Mafia Capitale si è ha fatta le ossa.

Camuffata da rottamazione, certo. Ma sempre “guerra fra bande” è.