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Suburra.

Progetto “Waterfront”, lo chiamano. Milioni di metri cubi di cemento mascherati da “housing sociale”. Basterebbe una delibera – presentata al momento giusto e votata dai numeri “giusti” – per consentire alla malavita di mettere le mani sulla cementificazione della periferia sud di Roma. Ma per una delibera serve la una certa politica. E ad una certa politica serve una certa chiesa. Non sono solo i boss, quindi, a sedersi attorno al tavolo di questo affare colossale per ridisegnare alleanze, stringere patti e stabilire il futuro di Roma.

Giancarlo De Cataldo, Carlo Bonini, Suburra, Einaudi.
Giancarlo De Cataldo, Carlo Bonini, Suburra, Einaudi.

Non c’è dubbio che a De Cataldo abbia fatto bene lavorare a quattro mani con Bonini. Stavolta infatti la banda della magliaia (dopo i fasti letterari di Romanzo Criminale, quella sorta di obbligato “sequel” Nelle mani giuste, e lo stanco prequel Io sono il Libanese) riecheggia solo sullo sfondo, come un’eco lontana, per lasciare spazio a scenari (geografici, sociali ma anche – e soprattutto – politici) più attuali. Scenari cupi, ovviamente. In cui la finzione letteraria e la cronaca si fondono, regalando al lettore una trama in cui oggi (il libro è invece del 2013) possiamo agevolmente riconoscere i luoghi, ricostruire i tempi e attribuire i nomi e le facce che, quotidianamente, leggiamo e vediamo su quotidiani e telegiornali.

Il monopolio criminale sul litorale. La collusione con la malavita di esponenti del parlamento e del consiglio comunale. Le feste e i “festini” a base di cocaina e prostitute. La doppia vita di politici baciapile e la spregiudicatezza negli “affari” di una parte della chiesa. Le devastazioni dei black bloc e le violenze della polizia. La corruzione nella magistratura e nelle forze dell’ordine. Il titolo non poteva essere più azzeccato. Tutto questo è “Suburra”, nell’accezione più negativa del termine. Plebaglia, gente di malaffare. Come quella che abbiamo intorno.

Negare l’evidenza non ha senso.

Negare l’evidenza non ha senso.

Non ha avuto senso per il PSI nel 1992 negare come Mani Pulite stesse annientando il partito e il suo leader.

Non ha senso oggi, per il Partito Democratico, aggrapparsi alla – finora assodata – estraneità di Marino all’inchiesta Mafia Capitale. Non ha senso perchè l’evidenza è quella di un Partito che, a Roma, è già annientato. Dal malaffare che l’ha coinvolto, sicuramente. Ma anche dall’incapacità di dare un seguito alle promesse di “svolte epocali” nella gestione della città.

Nell’editoriale di oggi su “l’Espresso”, Luigi Vicinanza scrive: Roma appare una città fuori controllo. In tutti i sensi. Non c’è capitale in Europa così sporca, sciatta, prigioniera dell’incuria. Metropoli cosmopolita e arretrata. La cui Grande Bellezza – potenza evocativa di un Oscar – è assediata da una corona di spine di quartieri periferici, lontani dai palazzi del potere, dove cova un profondo malessere popolare.

Quindi, se il Partito Democratico ha a cuore Roma, deve lasciare Roma.

Se il Partito Democratico ha a cuore Roma, non deve temere di “perdere” Roma. Non deve nascondersi dietro Marino e alla sua estraneità ai fatti (ma anche estraneità a tutto e a tutti, vien da dire..) per paura della Meloni, di Marchini o di Di Battista.

Ma soprattutto, se il Partito Democratico ha a cuore Roma deve consentire ai romani di riprendersi quello che le cooperative della malavita e del malaffare gli hanno tolto giorno dopo giorno, amministrazione dopo amministrazione, giunta dopo giunta: dalla sicurezza ai beni culturali, al decoro, al verde, all’assistenza sociale.

E, aggiungo, se il Partito Democratico ha a cuore l’Italia, non può non assumersi – oggi – la responsabilità di rimettere Roma, la Capitale, su una strada che sia all’altezza degli impegni, delle scadenze e degli eventi che la politica mondiale impone. E se per tutto questo (che poi sarebbe la normalità…) il passo necessario, visto il costante “sfondamento a sinistra” di un’inchiesta nata a destra, è il commissariamento, è ora di rompere gli indugi.

Non credo che il prefetto Gabrielli possa essere la panacea per tutti i mali di Roma (e della politica a Roma). Credo però possa avere l’autorevolezza – a livello nazionale, cosa da non sottovalutare in una tale situazione – per liberare la strada dalle macerie che i barbari hanno lasciato.

Poi, solo poi, si potrà parlare del nuovo sindaco. E quindi, per me, soltanto di Roberto Giachetti.

P.s. Qualcuno mi dirà: hai cambiato idea? Ebbene sì, ho cambiato idea. E’ perché penso molto. E perchè contengo moltitudini.