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E lo pianse con accenti femminili.

Passeggiavo, oggi, tra le monumentali rovine di Villa Adriana, a Tivoli. Raccontando ad un gruppo di appassionati turisti dell’imperatore Adriano, della sua politica, della sua passione per le arti, per l’architettura e la filosofia. Della sua “animula vagula blandula”. Del suo amore. E mi sono tornate in mente poche righe attribuite a Elio Sparziano: “Durante una navigazione sul Nilo perse Antinoo, e lo pianse con accenti femminili. Alcuni insinuarono ciò che la bellezza del giovane e la sensualità di Adriano lasciano immaginare”.

Ma cosa vuol dire piangere con accenti femminili?

C’è poco da “insinuare”. Vuol dire – semplicemente – amore. Busto dionisiaco di Antinoo, Museo Archeologico di Venezia

Differenze.

Un avviso di garanzia, un invito a comparire, non equivalgono a una condanna.

E’ un principio importante.

Ma non è semplice. Perché se non è accompagnato dalla disponibilità al confronto, all’analisi, alla discussione, all’autocritica, non è niente. Se non è accompagnato dal rispetto, non è niente.

E’ questa la differenza tra chi questo principio lo ha sempre sostenuto, e chi se ne avvale solo ora.

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Le tanto decantate “differenze”.

Neanche troppo sottili.

P.s. oh, se poi qualcuno questa disponibilità al confronto, all’analisi, alla discussione, all’autocritica, al rispetto le avesse riscontrate tra i link di Tze-Tze, La cosa, La fucina ecc. mi facesse un segno. Magari mi sono distratto.

Contraddizioni e coerenza.

Sui diritti bisogna essere partigiani. Bisogna scegliere da che parte stare e in quale direzione andare, anche a costo di contraddire “la Ditta”. Di contraddire “il Capo”. O il Parroco. Anche, e soprattutto, a costo di contraddirsi. Di discutere, di dividersi, di lacerarsi.

E sui diritti, è partigiano questo Partito Democratico che non è mai “abbastanza di sinistra”, “zeppo di democristiani”, che “guarda sempre più a destra”. Che però non ha accettato il compromesso di una “leggina” stitica fatta con le palle al piede Alfano e Giovanardi (do you remember i D.I.CO. della coppia Pollastrini/Bindi?).

Che per una battaglia di civiltà ha cercato i voti del M5s. Quelli del “voteremo (o non voteremo) sempre per il bene del paese”. E che infatti così faranno. Per il paese degli Adinolfi, delle scritte sul Pirellone, dei fascismi. Quando si dice, la coerenza.

La linea verde. Giallo a Gerusalemme.

La linea verde non è un libro sul conflitto israelo-palestinese. E’ un libro su quello che c’è in mezzo. Sull’umanità che il conflitto infinito ha asfissiato. E sulla disumanità che di questo stesso conflitto infinito si nutre.

Francesco Diodati, La linea verde, Feltrinelli.
Francesco Diodati, La linea verde, Feltrinelli.

I palestinesi, da una parte. E gli israeliani, dall’altra. Divisi – nei disegni del primo ministro Eleazar Rot, da un muro che protegga Israele dagli attentati. Ma che sia, in realtà, un modo per perseguire il “sogno” del Grande Israele. Che non rispettando “la linea verde” del confine tra Israele e Cisgiordania, e addentrandosi per chilometri nel territorio palestinese includendo la colonia di Ariel, Nablus fino agli insediamenti di Ma’ aleh Adumin, tagli a fette la Cisgiordania riducendola in pratica a cinque o sei enclave isolate. In questo modo lo Stato Palestinese avrebbe serie difficoltà a sopravvivere, privo di confini certi e contiguità territoriale. Un muro che, quindi, nasca per proteggere, anzi – ancor di più – per garantire, quel sistema di collusioni con cui la destra sionista e Hamas si oppongono ad ogni riavvicinamento, ad ogni tentativo di accordo tra israeliani e palestinesi, anche con gli atti più efferati. Orrori su cui l’Autore non sorvola. Di cui non nasconde gli aspetti più atroci. Ma che inserisce nel racconto con delicatezza rara, senza partigianerie, con un trasporto semplice e commovente degno dell’intensità lirica dell’episodio di Cecilia di manzoniana memoria. Fu allora che la vide: una giovane donna era china sul corpo di una bimba di sette, otto anni. Sembrava inspiegabilmente intatta. Le accarezzava il volto di un bianco marmoreo su cui erano spalancati due grandi occhi azzurri fissi nel nulla. le mancava il braccio sinistro. Al suo posto aveva accostato un arto palesemente più lungo e con voce tenera e rassicurante le ripeteva: “Stai tranquilla piccola mia, ora arrivano e te lo rimettono a posto. Stai tranquilla, non ti faranno male, ci sono io con te”.

Ecco, La linea verde è un libro al tempo stesso duro e delicato. Esattamente come quella terra, bellissima e maledetta, di cui parla.

Oh, per inciso. La linea verde sarebbe anche un giallo. A metà fra il thriller e la spy story. E forse proprio “il genere” scelto da Francesco Diodati (inciso nell’inciso, Ufficiale Superiore dell’Esercito Italiano) finisce per essere l’unico anello debole del libro. Ma davvero, non è importante.

In viaggio, Gerusalemme e Palestina #1.

Le mura parlano e raccontano storie. E’ probabilmente la considerazione più banale (perlomeno tra le più banali) che storici o archeologi possano fare. In alcuni casi, poi, non raccontano solo storie, ma raccontano la Storia. E’ così per quelle imponenti che cingono la città vecchia di Gerusalemme, e per i segni lasciati dalla guerra di indipendenza sulla Porta di Sion. Per le pietre dell’antica Gerico nel Tell es-Sultan e per quelle dell’inespugnabile fortezza di Masada. Parlano di Dio i blocchi di pietra bianca del muro del pianto, i marmi della moschea El-Aqsa, le maioliche della Cupola della Roccia e il travertino di Betlemme della Basilica della Natività. Parlano di una strage i resti romani del Palazzo di Erode. Per raccontare un viaggio a Gerusalemme e in Palestina non si può non lasciare la parola alle mura.

Per raccontare il mio viaggio a Gerusalemme e in Palestina, quindi, non posso non cominciare da un muro.

Betlemme, Bansky

Da questo mostro di cemento armato, filo spinato e militari. Alto fino a nove metri (nove metri, 2 volte il muro di berlino) con terminal e porte di sicurezza (i “check-point” spacciati per “controlli di sicurezza” ma utilizzati come una vera e propria frontiera) che immettono nella città da tutti i punti cardinali.

Un muro che accerchia Betlemme e la divide da Gerusalemme. Che divide, quindi, i luoghi che il cristianesimo venera come quelli della natività di Gesù da quelli della morte e della resurrezione. Che divide “chirurgicamente” due città così indissolubilmente legate da essere – per credenti, atei, religiosi o laici – una l’imprescindibile appendice dell’altra.

Betlemme, il muro.

Un muro che nel troppo superficiale immaginario comune separa gli israeliani dai palestinesi. Ma che, in realtà, separa quartieri e città. Palestinesi da palestinesi. Che smembra famiglie, divise – in tantissimi casi – dal colore della Hawiya, la carta d’identità. Verde quella di chi risiede nei Territori occupati; Blu quella di chi risiede a Gerusalemme e che, pur non avendo passaporto, può frequentare scuole, ospedali, servizi sociali. Marcare differenze nelle differenze, un metodo vecchio come il mondo. Divide et Impera, d’altronde.

Un muro, le cui porte dettano i ritmi delle giornate. Come le preghiere. Che nel migliore dei casi, fin dall’alba costringe a file di ore per i controlli di sicurezza chi, permesso di lavoro e documento alla mano, da Betlemme si deve spostare a Gerusalemme. Oppure, in caso di chiusura – decisa in modo assolutamente unilaterale – a mettersi in cammino per ricominciare da capo e mettersi in fila in un altro varco, in un altro check point.

Rientro in Palestina

Allora, per raccontare un viaggio a Gerusalemme e in Palestina, non posso non cominciare dalla guida Khalid. Che ci porta in giro nei dintorni di Betlemme e ci chiede se è bello dormire a Gerusalemme (distanza 8 – otto!! – chilometri). Lo chiede a noi. Perché a lui, palestinese cristiano, non è permesso. A Gerusalemme ci può andare solo a Natale o a Pasqua. E deve tornare la sera. Sempre che le porte del muro siano aperte. Sennò, cristiano o no, “sticazzi” del tuo pellegrinaggio.

Per raccontare un viaggio a Gerusalemme e in Palestina, non posso non cominciare da Sofia che, il muro, vuol farcelo vedere per bene. Dall’alto. E quando si accorge che a mia moglie è venuta la pelle d’oca (perchè le donne sono più sensibili, io avevo il voltastomaco) le dice “pensa che questa è la mia vita”.

Per raccontare un viaggio a Gerusalemme e in Palestina non posso non cominciare dalle opere di Bansky. Che non abbelliscono. Perché niente può abbellire una sfregio così grande. Ma di certo rendono chiaro, evidente, come questo muro sia uno strumento d’attacco. Non di difesa.

Betlemme, Bansky (Instagram)

Che poi, che per raccontare un viaggio a Gerusalemme e in Palestina si dovesse cominciare da un muro, non era neanche difficile immaginarlo. Basta andare nella basilica di Santa Maria in Trastevere e guardare il mosaico dell’abside. “Hierusalem”, si legge, accanto alla rappresentazione di una città cinta da torri e da mura. Appunto.

Da una porta in queste mura escono sei agnelli. E dall’altra parte del mosaico, da Betlemme – appunto – ne escono altri sei. Tutti si spostano  simmetricamente e contemporaneamente verso il centro, verso l’Agnus Dei. Sempre che i check-point siano aperti.

gerusalemme (1)

betlemme (1)

mosaico absidale

Gerusalemme e Palestina, Luglio 2015.