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Pompei. Un uomo, in fuga.

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Era un uomo di poco più di 30 anni, claudicante a causa di una seria infezione ossea. Per questo, probabilmente, anziché provare a scappare lontano, aveva cercato scampo tra il Vicolo delle Nozze d’Argento e il Vicolo dei Balconi, nella Regio V. Gli archeologi lo hanno ritrovato così, riverso sulla schiena, con il torace schiacciato da un grosso blocco di pietra. Un masso di circa 300kg (forse uno stipite) che, trascinato dalla furia distruttiva dell’eruzione, lo ha investito colpendolo al busto.

Una scoperta eccezionale, certo. Che attraverso approfondite analisi di laboratorio permetterà di ampliare le conoscenze sulla storia e sulla società di Pompei, confrontando le patologie, gli stili di vita e ricostruendo le dinamiche di fuga dall’eruzione.

Ma anche – o forse soprattutto – un’immagine intensamente umana, drammatica e commovente. Di chi, nonostante tutto, non è rimasto ad aspettare la morte.

Poi fu di nuovo il buio, e di nuovo cenere densa e pesante. Tratto tratto ci alzavamo in piedi e ce la scuotevamo di dosso, altrimenti ne saremmo stati coperti e saremmo rimasti schiacciati sotto il suo peso. Poi quella oscurità si attenuò e sembrò dissiparsi in fumo o in vapori. Tornò la luce del giorno, ma un sole livido come quando si eclissa. Agli occhi ancora impauriti tutte le cose si presentavano con forme nuove, coperte di una spessa coltre di cenere come se fosse stata neve. 

[seconda lettera di Plinio il Giovane a Tacito]

Un San Gennaro al contrario.

Il Vesuvio è il ricordo millenario della tragica distruzione di Pompei, Ercolano, Stabia e Oplontis. Ed è l’immagine, ineludibile, del rischio futuro. Imprevedibile e incontrollabile. Sotto la cui ombra, nonostante tutto, scorrono le vite di quartieri, paesi, comunità. Si affannano le mamme, affaccendate con i bambini intorno. Sciamano gli studenti, con le cuffiette nelle orecchie e lo smartphone fisso davanti agli occhi. I pendolari  ripetono inesorabilmente il tragitto casa-lavoro-casa, accalcati nei vagoni precari della Circumvesuviana o chiusi in macchina, nel traffico della Statale 18. I nonni si muovono sicuri tra i banchi del mercato. Qualcuno non fa niente. Qualcuno fa, e non dovrebbe fare.

A quella sagoma minacciosa sopra la testa forse non pensa nessuno. Perché nessuno può chiedergli nulla. E’ un San Gennaro al contrario, il Vesuvio. Da cui nessuno può pretendere comprensione. A cui nessuno può implorare perdono. Ma davanti al quale chiunque non può che sentirsi piccolo, impotente. Uno qualunque. Uno dei tanti. E deve abbassare lo sguardo.

Anche se il fumo lo nasconde. Anche se è un boss.vesuvio incendio 2017