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De contumelia. A proposito di De Rossi, Sarri e Juve-Roma.

Come rivelato dall’etimologia latina del termine (in + saltare, “saltare addosso”), l’insulto si può definire come un attacco rivolto al destinatario collocabile nello spazio semantico-pragmatico della violenza verbale (ovviamente in stretta connessione con l’analisi dei contesti storici e socioculturali). E risulta solo parzialmente sovrapponibile – a differenza dell’intendere comune – a imprecazioni, maledizioni, bestemmie, derisioni, minacce, accuse, invettive, ecc.

Semplificando, possiamo definire insulto l’atto linguistico in cui si possa identificare chiaramente la presenza di tre elementi-chiave:

  1. L’intenzione: di ferire/offendere il destinatario.
  2. Il bersaglio diretto: la “valutazione” deve essere rivolta direttamente al destinatario, non ad un terzo assente.
  3. La ricezione: la “valutazione” deve essere percepita come offensiva e inappropriata dal destinatario (presupponendo quindi che questo condivida il sistema assiologia del parlante).

Per quanto riguarda la “funzione” dell’insulto, si possono distinguere usi non strategici (dar sfogo a sentimenti di rabbia, odio, indignazione, ecc. senza proporsi il raggiungimento di un obiettivo preciso) o strategici (quando insultando il parlante si propone di sanzionare un comportamento, reagire a un inganno o ad un tradimento, proiettare sul destinatario la propria inferiorità al fine di liberarsene, educare, addestrare, provocare una reazione fisica, influenzare il comportamento, indurre al pentimento).

Individuati elementi chiave e funzione, è possibile suddividere gli insulti convenzionali, in gruppi e sottogruppi creati sulla base di metafore e metonimie:

1) confronti con sostanze e oggetti inanimati: cesso, usato in senso fisico indistintamente al maschile e al femminile; merda, stronzo, invece, si rivolgono generalmente ad aspetti del carattere.

2) confronti con animali: asino, cane, capra.

3) confronti con elementi umani come:

a) professioni storicamente considerate come immorali o degradanti: prostituta, scaricatore di porto.

b) costumi e comportamenti: mascalzone, infame, spia.

c) parti del corpo: coglione, testa di cazzo, faccia da culo.

d) appartenenza etnica: negro, terrone, zingaro.

e) abitudini sessuali: puttana, troia, bagascia, impotente, finocchio, ricchione.

f) filiazione e relazioni familiari: bastardo, figlio di puttana, cornuto.

Quindi, al netto di una accurata – ma mai sufficientemente approfondita – riflessione linguistica, si può evincere come:

– Sarri abbia apostrofato Mancini (intenzione-bersaglio diretto-ricezione) con insulto non strategico di Gruppo 3, Sottogruppo E.

– De Rossi abbia apostrofato Mandzukic (intenzione-bersaglio diretto-ricezione) con insulto strategico di Gruppo 3, Sottogruppo D. Va detto, ad onor del vero, che in questo caso l’utilizzo con valore rafforzativo di un complemento di materia compensa la dubbia individuazione del terzo elemento-chiave (ricezione).

Quindi, con buona pace dei teorici del che sarà mai, del ciò che succede in campo deve rimanere in campo, del non voleva offendere, del mica è razzismo questo, del l’ha detto così per dire, i due soggetti possono essere definiti, senza timore di smentite grazie al supporto di Linguisti e Storici della lingua Italiana, due zotici.

Adesso, però, per piacere ricominciamo a parlare di calcio. Di Spalletti, della difesa a tre, degli esterni e dei movimenti d’attacco. Di Juve-Roma. Dunque, c’è mica qualche frocio a cui hanno dato dello zingaro oggi?

N.B. per scrivere questo breve testo (evidentemente sarcastico, meglio specificarlo, visti i tempi..) ho saccheggiato a piene mani il rigoroso studio del 2012 delle Prof.sse Giovanna Alfonzetti e Margherita Spampinato Beretta: “Gli insulti nella storia dell’Italiano, Analisi di testi del tardo Medioevo”. A loro porgo sincere scuse per questo utilizzo prosaico. Ma, si sa, l’ironia è una cosa serissima…

Roma-Juventus 2-1. Kalokagathìa.

Kalós kai aghatós. L’indissolubile identità tra bellezza e virtù che distingue l’uomo nobile. Una bellezza unica, irriproducibile, e per questo coinvolgente e totalizzante. Che conquista allo stesso tempo la superficie dei sensi, la profondità dell’anima e la complessità della mente.

Una bellezza che si irradia nello spazio e nel tempo.

Quello spazio e quel tempo sospesi, in particolare, tra le parole “colpo di testa di Bonucci” e  “Szczesny ci arriva con la punta delle dita”.

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Kalós kai aghatós.

LDAPOST della domenica. Roma-Juventus 1-1. E pareggio sia.

Pronti-via. E subito botte. Solo che stavolta cominciamo a menà noi. De Rossi, Totti e Torosidis timbrano le caviglie di Vidal, Marchisio e Chiellini. E a me, sta grinta, mi piace. Eccome. A meno che, e il dubbio s’insinua al primo pallone recuperato e gestito dalla Juve, tutta ‘sta irruenza non sia il segno che “pronti-via” e siamo già in debito d’ossigeno..

La partita è tesa e le azioni confuse. La prima occasione nitida capita sui piedi di Manolas. Il piattone rasoterra a botta sicura del greco fa la barba al palo. Solo che la porta era la nostra.

Nonostante alcune approssimazioni tecniche da brividi (una percussione centrale di Yanga Mbiwa si conclude con un inciampo clamoroso degno di “Paperissima” e scatena il contropiede della Juve) si intravede un po’ di coraggio. E questo basta a farmi sperare nell’impossibile.

Ljajic, tecnicamente, sembra di un altro pianeta. Holebas, invece, proprio di un’altra galassia. Però che opposta a quella di Ljajic. E visto che stamo in tema astronomico, i cross che partono dai piedi del terzino greco non risultano nè fuori misura nè imprecisi. Ma proprio diretti in culo alla Luna.

E in questo caotico universo che anima il prato dell’Olimpico, Orsato di Schi[f]o si erge con la potenza di una supernova. Fischia a caso, ammonisce altrettanto a caso. E non contento espelle Torosidis per niente.

Punizione dal limite.

tevezL’inquadratura di Sky dalle spalle di Tevez è memorabile, se uno fosse un appassionato straniero interessato esclusivamente all’aspetto puramente spettacolare della partita.

A me lascia solo presagire il peggio.

Che, puntualmente, si compie. 0-1.

Florenzi per Ljajic, Iturbe per Totti e Nainggolan per De Rossi sono le mosse di Garcia. I fantasmi di Pjanic e Gervinho rimangono inspiegabilemente in campo.

Manco il tempo anche solo di pensare a una prima accelerazione, e Vidal brutalizza le gambe di Iturbe. Stavolta però la cosa a Orsato non sembra riguardare. Ma vedi un po’ che strano..

La Roma in dieci, con Florenzi nel ruolo (mortificante) di terzino e con un solo attaccante in grado di puntare e saltare gli avversari, crea in venti minuti più occasioni che nelle ultime 5 partite. E Keita pareggia su calcio d’angolo. Anzi no, è autorete de Marchisio. Anzi no, la palla andava in porta, è di Keita. Anzi no. Ma sì. Ma ‘sti cazzi.

E tanto è il caos, tanti i nervi, tanta l’adrenalina, che alla fine varrebbe la pena crederci. Varrebbe la pena buttarsi avanti all’arma bianca e giocarsi con foga disperata le ultime carte. Perché la Juve, incredibilmente, accusa il colpo. E si rotola a terra, simula, e perde tempo come un Galatasary qualunque.

Ma la paura dell’ennesima beffa è più forte anche della disperazione.

E pareggio sia, allora. Tanto ormai..