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La montagna scintillante.

Una appassionante storia d’alpinismo e d’avventura.

Walter Bonatti La Montagna Scintillante - CAI - Solferino
Walter Bonatti, La montagna scintillante, CAI – Solferino

Le pagine del diario, scritte da Walter Bonatti, nel 1958, durante la spedizione del Club Alpino Italiano per la conquista del Gasherbrum IV (al centro della catena del Karakorum, al confine tra il Kashmir e la Cina), rimaste nascoste per decenni e pubblicate oggi da Solferino e CAI, si leggono con l’agilità di un romanzo. Ed è proprio grazie all’intimità delle riflessioni, all’istintività di alcune considerazioni, al realismo delle descrizioni che è possibile, a sessanta anni di distanza, comprendere le reali dimensioni di quella che si può definire, senza timore di smentita, una vera e propria impresa epica.

Anche se – per pochi metri, solo venti – non appartiene all’esclusivo “club” degli 8000, il GIV è una montagna bellissima – le foto d’epoca che accompagnano il diario  ne trasmettono il fascino – e difficile. Lo stesso Bonatti la descrive come una montagna magnifica e insieme diabolica da qualunque parte la si guardi, la sua vetta è una cresta lucente come il cristallo, incredibilmente affilata. Cresta che, tecnicamente, non presenta nessun “punto debole” attraverso cui progettare una via di salita. Per questo è un vero peccato (come giustamente afferma nell’introduzione Roberto Mantovani, amico stretto di Bonatti e studioso) che, nell’Italia del boom economico, l’ascensione non abbia avuto l’eco mediatica che le sarebbe spettata. Troppo vicina, probabilmente, sia cronologicamente che geograficamente, alla conquista italiana del K2 (del 1954) per non esserne in qualche modo schiacciata. Ma quella portata a termine alle 12.30 del 12 agosto da Walter Bonatti e Carlo Mauri (i due alpinisti che materialmente salirono sulla vetta del GIV e piantarono le bandierine dell’Italia, del Pakistan e del Club Alpino Italiano) con Donato Zeni, Riccardo Cassin, Bepi De Francesch, Toni Gobbi, Giuseppe Oberto e Fosco Maraini, fu senza dubbio un’impresa di livello pari, per difficoltà tecniche (addirittura di V grado), imprevisti meteorologici e problemi organizzativi, a quella di 4 anni prima. Similitudini su cui Bonatti non si dilunga, lasciandoci invece una testimonianza notevolmente più intima indugiando sulle emozioni suscitate dalla vista delle creste e delle pareti che lo avevano visto protagonista in precedenza.

La vetta appena vinta è costituita da una ripida e breve cresta di roccia completamente spoglia di neve sul versante occidentale a causa dei venti fortissimi cui continuamente è sottoposta; inoltre offre lo spazio appena sufficiente per reggere in piedi un uomo. Sul versante orientale invece, oltre il profilo della cresta rocciosa, appare incollata orizzontalmente una grande calotta nevosa invitante a vedersi ma completamente sospesa nel vuoto. Per raggiungere l’obiettivo la spedizione italiana fu obbligata a tracciare una via pericolosissima, che per i successivi sessant’anni nessuna spedizione avrebbe più ripetuto.

Potevano riuscirci solo degli eroi.

C’è poco da dire: Bonatti è un dio. Quando tocca lui vedo il puntino rosso della sua maglia che avanza, vorrei dire senza sforzo, certo con decisione e leggerezza uniche, fino al punto di sosta; gli altri a paragone sono creta e terra, umile carne umana.” – Fosco Maraini

Walter Bonatti La Montagna Scintillante - CAI - Solferino
Bonatti in un tratto impegnativo su terreno misto nella parte alta della cresta nord-est

35 anni senza Gilles.

Io quello che stessi facendo l’8 Maggio 1982 alle 13.52 non me lo posso ricordare. Avevo 4 anni, ero piccolo. Mamma e papà raccontano che sapessi riconoscere i piloti dai caschi (che poi, vabbè, a 4 anni Mozart già componeva, ma accontentiamoci…). Comunque, io cosa stessi facendo l’8 Maggio 1982 alle 13.52 proprio non lo so.

Quello che so con certezza è che, da quel giorno, i pochi istanti successivi all’impatto fra la ruota anteriore sinistra della Ferrari 126 C2 di Gilles Villeneuve e la posteriore destra della March di Stirling Moss, quei maledetti secondi prima che il corpo del pilota canadese sbalzato via dall’abitacolo ricadesse sulla rete di recinzione e poi sulla pista, ho provato a fermarli mille volte. Mille volte ho distolto lo sguardo da quella tuta bianca accasciata contro la rete di protezione. Mille volte ho spento la tv, mille volte ho cambiato canale.

Perché Gilles Villeneuve non era solo il pilota “più veloce della storia della Formula 1”, non era un eroe. Era (ed è) un sogno.

Enzo Ferrari ha scritto di avergli voluto bene. Anch’io.

Roma-Lazio 1-3. SPQR.

 

La portavamo scritta sulla maglia la sintesi dell’ennesima delusione della stagione.

4 lettere d’oro su sfondo rosso sfoggiate come un vanto e pesanti come macigni.

Retorica spavalda di Popolo e Senato. Di Quiriti e Latini. Di imperatori e barbari invasori. Arrogante  ostentazione di una Eternità presupposta. Tutta nostra, e solo nostra. Che se funzionasse davvero così, il Panathinaikos avrebbe più Coppe dei Campioni del Real Madrid.

4 lettere d’oro su sfondo rosso, invalicabili come l’Everest.

Simbolo di come, credendo d’essere il Barcellona, finiamo per fare a malapena la figura dell’Espanyol.

Juventus-Roma 1-0. Anche Stavolta.

Anche stavolta è stato decisivo l’approccio. La Juve arrembante e fisicamente straripante, la Roma contratta e impaurita.

Anche stavolta sono stati decisivi gli uomini. I giallorossi fragili, incerti e spaesati. I bianconeri incontenibili e tambureggianti.

Anche stavolta sono stati decisivi i primi venti minuti. Noi affannati nella ricerca di una spiegazione pseudo-razionale circa la presenza di Gerson sulla fascia destra. Loro bullescamente intenti ad esaltare il tridente Orsato-Mandzukic-Higuain.

Poi, calato il primo, li abbiamo contenuti. E abbiamo finito quasi all’arrembaggio.

Ma, anche stavolta, non è bastato.

P.s. Per carità, io Spalletti lo adoro. Ma a volte, nel calcio come nella vita, per evitare colossali figure da fregnone basterebbe studiare la storia. E la storia degli abomini tattici dice che un centrocampista brasiliano lento e impacciato, mortificato sulla fascia destra in una partita decisiva l’avevamo già visto il 19 Marzo del 2002. E, porcaccia zozza, non era andata bene.

Marcos Assuncao Roma-Liverpool