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10 calciatori.

Nella settimana della finale mondiale e di Cristiano Ronaldo alla Juventus, mi è stato chiesto, tramite social, di elencare i 10 calciatori della Serie A che ho visto giocare e che più mi hanno emozionato. In tutta franchezza, non vedevo l’ora e ringrazio chi mi ha tirato in ballo.

Dunque, non sono in ordine di preferenza né in ordine cronologico. 10 sono richiesti e 10 ne ho elencati. Di getto, senza pensarci troppo. D’altra parte, stiamo parlando di emozioni.

Ah, ovviamente: ho escluso dalla lista Francesco Totti. Perché se riguarda lui, l’emozione è una cosa privata.

1) Dejan Savicevic.

Genio puro e indolenza elevata a potenza. Il tutto in un Milan guidato da un allenatore che, con il suo rigido 4-4-2, rappresentava la nemesi del suo modo fantasioso di intendere il calcio: Fabio Capello. A cui comunque, tra incomprensioni varie, nel maggio del 1994, fa vincere la Coppa dei Campioni abbattendo, praticamente da solo, il Barcellona di Zubizarreta, Romário, Stoichkov, Guardiola (e Cruijff in panchina).

2) Giovanni Cervone.

Ammetto, ho un debole per i portieri grandi, grossi e brutali (a prescindere dalle loro qualità tecniche). Cervone era, comunque, forte ma inspiegabilmente sottovalutato. Tanto che praticamente ogni due anni veniva acquistato un portiere per rimpiazzarlo: Zinetti (!), Lorieri (!!), Sterchele (!!!). Dopo qualche partita, però, tra i pali ci tornava lui.

Il 30 marzo del 1993 (nella partita di ritorno della semifinale di Coppa italia) contribuisce a respingere l’assalto del Milan degli “invincibili” e conquistare la finale parando (al 90’) il rigore tirato da Jean-Pierre Papin. Un’impresa. Era la Roma di Garzya, Benedetti, Comi, Piacentini contro il Milan di Maldini, Baresi, Lentini, Rijkaard, Gullit. Impresa che proprio lui e il sopracitato Zinetti manderanno in vacca negli spogliatoi, ingiuriando l’arbitro Pezzella, facendosi squalificare e costringendoci a schierare nella doppia finale contro il Torino il primavera Fimiani.

3) Gheorghe Hagi.

“Regele”, il Re. Passare dal Real Madrid al Brescia pur di giocare in Serie A, quando la Serie A era davvero il campionato più bello di tutti. Col Brescia retrocesso in Serie B, sarebbe potuto passare al Napoli di Ottavio Bianchi, per indossare la maglia numero 10. Non se ne fa niente, anni dopo il “Maradona dei Carpazi” dirà: ”Avevo avuto alcune offerte in estate, ma non sono un codardo”.

4) Daniele De Rossi.

Roma-Torino 3-2. Sì, quella della doppietta di Totti in meno di 4 minuti. La Roma è sotto 1-2, il Capitano in panchina. E’ la fase finale della carriera, la penultima stagione. Il rapporto con Spalletti è già ai minimi termini. Al 41esimo del secondo tempo viene mandato in campo come mossa della disperazione. Il resto è storia. Dopo il goal del 3-2 l’abbraccio collettivo sfiora l’isteria, sul campo e sugli spalti. Mentre il Torino porta mestamente il pallone a metà campo l’inquadratura di Sky sfiora De Rossi in panchina. E’ questione di pochi secondi, ha le labbra serrate e gli occhi lucidi. Come chi fa di tutto per non scoppiare a piangere. Come me, davanti alla tv. Come i tifosi allo stadio. Come tutti.

5) Paulo Futre.

La Joya. Due campionati, due coppe nazionali e una coppa dei campioni con il Porto; due Coppe del Re con l’Atletico Madrid; nel 1987 è secondo nella classifica del Pallone d’Oro dietro un certo Ruud Gullit. Nel Novembre del 1993 il presidente Dal Cin lo acquista per far sognare i tifosi della neopromossa Reggiana. Prima partita, contro la Cremonese, e primo goal: si libera in slalom degli avversari e col sinistro la mette sul primo palo. Prima e ultima partita, però. Al 72’ l’intervento durissimo di un avversario gli causa la rottura del tendine rotuleo. Stagione (e in un certo senso anche carriera) finita, non tornerà più ai suoi livelli. Peccato. Ma sono stati 72’ bellissimi.

6) Aldair Nascimento do Santos.

Dal 1990 al 2003 con la maglia della Roma. E già questo è abbastanza. Stagioni passate al centro della difesa vedendosi sfilare accanto Comi, Berthold, Tempestilli, Garzya, Benedetti, Festa, Lanna, Trotta, Servidei e compagnia cantante. Sopportando l’arrivo di un maestro boemo che  – per il piacere del brivido – lo piazzava terzino destro. Aspettando con pazienza di trovare al suo fianco un Walter Samuel con cui vincere lo scudetto. Proprio come un tifoso qualsiasi. Ma dal centro della difesa, con la maglia numero 6.

7) Andrij Shevchenko.

Centravanti, esterno, seconda punta. Sempre implacabile. In quella saga del rigore tirato a cazzo di cane che è stata la finale di Champions 2003 contro la Juventus (agghiaccianti gli errori consecutivi di Seedorf, Zalayeta, Kaladze, Montero) il suo era lo sguardo di chi non avrebbe mai sbagliato. E infatti.

8) Toninho Cerezo.

Il “tappetaro”, soprannome che oggi violerebbe tutte le regole del politicamente corretto, per via della carnagione, dei baffi, dell’italiano stentato che, arrivato a Roma, lo fecevano somigliare ai venditori ambulanti di tappeti. La sua è stata la prima maglia della Roma che mi ha regalato papà. Di flanella e con le maniche lunghe. Il numero 8 cucito. Bellissima. La mia maglia del cuore. D’altra parte, come ha detto proprio lui, “il cuore di Dio è giallorosso”. E poi chissà, magari prima o poi ci svelerà dove abbia passato il capodanno nel 1983…

9) Rudi Voeller.

Vola tedesco vola! Lui poteva tutto, rendeva possibile tutto. Anche conquistare una finale di Coppa Uefa e vincere una Coppa Italia nella stessa stagione pur schierando al centro del campo Gerolin e Di Mauro. II tutto drizzando, crossando e colpendo di testa. Molto spesso contemporaneamente.

10) Roberto Baggio.

Stagione 2000-2001, Juventus-Brescia 1-1. Lancio da centrocampo di Pirlo, lo stop di destro è anche un irresistibile dribbling su van der Sar in uscita. Classe, coordinazione, semplicità. E’ un passo di tango, sensuale e elegante. Per il “divin codino” sarà il goal più bello segnato in carriera. Di fatto è anche l’episodio che ci consegna lo scudetto.