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Il cielo sopra l’Everest.

David Lagercrantz, il cielo sopra l'Everest, Marsilio.
David Lagercrantz, il cielo sopra l’Everest, Marsilio.

Tra il 10 e l’11 Maggio del 1996, a causa di un’improvvisa bufera di neve e di una serie di gravi errori organizzativi, 8 alpinisti morirono durante il tentativo di ascesa del Monte Everest. La storia del gruppo e della guida, Rob Hall dell’Adventure Consultants, è stata raccontata direttamente da uno dei sopravvissuti, il giornalista Jon Krakauer, inviato della rivista Outside, nel discusso saggio “Into Thin Air”. Libro da cui, nel 2015, è stato tratto il film che ha aperto la 72esima edizione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, Everest, diretto da Baltasar Kormákur. A questa vicenda, e agli scalatori coinvolti, il libro di David Lagercrantz è chiaramente – e dichiaratamente – ispirato. Nonostante una precisione ai limiti del pedantesco nella descrizione di particolari “minori” (che continuo a ritenere il limite più grande dell’autore) – sono utilissime le precisazioni sulle difficoltà dei percorsi e le spiegazioni mediche, molto meno i dettagli sull’abbigliamento o alcune digressioni topografiche – e nonostante alcune pagine ricordino in modo eccessivo (ma forse inevitabile) le inquadrature del film, Lagercrantz ha costruito un avvincente thriller psicologico, in cui personaggi, avvenimenti e circostanze si intersecano creando una serie di altrettanto avvincenti sottotrame. Metro dopo metro, il progressivo, faticoso, lentissimo avvicinarsi alla vetta corrisponde al rapido e inarrestabile precipitare verso gli istinti più turpi dell’animo umano. Pagina dopo pagina la cattiveria della montagna diventa inesorabile e implacabile risposta alla presunzione e all’arroganza umana.

La bellezza dolorosa del Nepal.

10968457_10206203705518487_2440510436696247051_nHo provato varie volte a scrivere del mio viaggio in Nepal. Praticamente ogni volta ho cominciato, e interrotto dopo poche righe. E, di certo, non perché non avessi luoghi meravigliosi, sensazioni ed emozioni da descrivere. Era come se avessi una sorta di “blocco” nel cercare di andare oltre il “diario di viaggio”. Come se Kathmandu, Pokhara, Bhaktapur, Bandipur, il trekking sull’Annapurna nascondessero – anzi no, mi nascondessero –  qualcosa di “più difficile”. Come se i templi e le strade affollate, il caos della capitale e il silenzio quasi irreale dei villaggi, lo sguardo su panorami immensi da 4000m di altezza e l’incombente peso di altri 4000m sopra la testa non fossero il fine del viaggio, ma lo strumento per guardare il Nepal più nel profondo. Per capirne le contraddizioni, ma allo stesso tempo per non accettarle e per non esserne assuefatto. Come se i volti delle persone incontrate o sfiorate nelle varie tappe, mi avessero inchiodato di fronte ad una bellezza diversa, senza maschere. Una bellezza dolorosa. La bellezza dolorosa di una donna che è contemporaneamente una santa, una puttana, una creatura infelice e abbandonata diceva Edvard Munch.

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Una bellezza che mi ha scioccato, trasmettendomi un senso di quotidiano e ineluttabile abbandono al presente. Al momento, all’istante, all’oggi. Come se nell’incessante – quasi esasperante – suono dei clacson, nelle convulse processioni verso i templi, nel forsennato scuotere le campane di preghiera, nell’espressione malinconica anche nel divertimento dei bambini non ci fosse altro che la coscienza di un domani incerto, in equilibrio precario.

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Causale: EMERGENZA NEPAL