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DDR. Come i fuochi d’artificio.

Come i fuochi d’artificio. Come l’esplosione fragorosa, rumorosa, improvvisa che ti fa sussultare. Come le luci di mille colori, che si confondono con le stelle. E quei secondi di silenzio tra uno e l’altro, quando il cielo torna buio e silenzioso. Qualcuno è così bello da lasciarti a bocca aperta, qualcuno ti fa sorridere, qualcuno ti delude. Ma tu rimani lì, con lo sguardo rivolto in alto, perché sai già che dopo pochi secondi arriveranno altre luci, altri colori. Anche quando hai capito di aver appena visto l’ultimo, perché l’ultimo si riconosce sempre, rimani lì.

Ecco, se penso ai 18 anni di Daniele De Rossi nella Roma, penso ai fuochi d’artificio. Di questo lungo spettacolo, ho scelto sei momenti. I miei preferiti.

Gli esordi.

Sì, al plurale. Perché nella Roma De Rossi ha debuttato due volte. 

In Champions League, il 30 ottobre del 2001. Con l’Anderlecht finisce 1-1. La Roma è già qualificata al secondo girone, e Capello, al 71esimo, sostituisce il redivivo Ivan Tomić  (peraltro, la migliore tra le sparute apparizioni del serbo con la maglia giallorossa) con un promettente diciottenne, biondo, e con i capelli tenuti fermi dall’immancabile elastico. Promettente, sicuramente. Ma ancora non così tanto da conquistarsi uno spazio stabile in una rosa che a centrocampo aveva gente del calibro di Tommasi, Emerson e Assunçao.

Infatti l’esordio vero e proprio, da titolare, arriva solo un’anno e mezzo dopo, in campionato. 10 maggio 2003, Roma-Torino 3-1. Non solo Al 55esimo il suo destro da fuori area (da molto fuori area…) è imparabile per Sorrentino. E’ il goal del 2-0. L’esultanza è così semplice e spontanea da sembrare quasi goffa. E’ felicità pura.

Fino a quel momento si parlava di cederlo in prestito per farlo crescere (storia già vista con un altro Capitano…). Capello in estate per il centrocampo aveva a lungo inseguito Edgar Davids. Ma da quel momento, nonostante l’annata negativa della squadra e sole quattro presenze (con due goal), inizia a farsi largo l’idea di non averne più bisogno…

Buttace i guanti.

9 Luglio 2006. Finale del Campionato del Mondo, Italia-Francia. Non ho una grande passione per la nazionale, ma il Mondiale è sempre il Mondiale. E quello del 2006, è un Mondiale particolare davvero. Calciopoli, Moggi, gli arbitri, la Juventus ecc. ecc. Ma quello che succede durante quel Campionato del Mondo, è un esempio perfetto del frenetico susseguirsi di errori e riscatti che hanno scandito la carriera di De Rossi. Vette altissime e abissi, onde travolgenti e placide risacche, litigi furiosi e baci appassionati. Tutto, sempre, a testa alta. Come un uomo, non solo come un calciatore.

Nel centrocampo azzurro è un giocatore fondamentale, il CT Lippi non ne fa mistero. Ma durante la seconda partita della fase a gironi, contro gli USA, colpisce con una gomitata al volto McBride. Viene espulso, giustamente, e squalificato per quattro giornate. Mondiale finito, dicono in molti. E poi via, con le solite note “di colore”: è immaturo, istintivo, violento, è il solito romano coatto, è un bullo di Ostia. 

Però quando Italia e Francia si giocano la finale a Berlino, non solo torna in campo (intorno al 60esimo, sostituisce Francesco Totti) ma è tra i cinque designati per i rigori che assegneranno il titolo. Calcia il terzo, fondamentale perché Trezeguet ha appena sbagliato. Tira forte, anzi fortissimo, all’incrocio dei pali. Poi sibila “e mo’ buttace i guanti, Barthez”.

Il carattere.

Ma non il temperamento sul campo. Non quella “vena gonfia” che a volte – troppe, forse – lo ha tradito, finendo per tradire lui con noi. Quello che gli ha permesso di affrontare e superare vicende che avrebbero fatto “deragliare” tanti. E che sciacalli dall’italiano zoppicante e dalla fedina penale spesso lurida, dai pulpiti di frequenze radiofoniche affittate e autogestite, non hanno avuto remore a gettare in pasto ad un’opinione pubblica gossippara e guardona, pronta a trasformare ogni errore in crimine e ogni critica in accusa. Sciacalli a cui ha avuto la forza di non sottomettersi e a cui non ha permesso di infamare allo stesso modo amici e colleghi. Che non ha esitato ha descrivere per quello che sono e per quello che valgono. Bugiardi? Calunniatori? Non solo, non proprio. Meglio papponi, che fanno i padroni a Trigoria (QUI) o maiali col microfono, che resteranno maiali col microfono (QUI).

E da quel momento, Capitan Ceres. Capitan Birretta. Sfregiato dai Casamonica. Ubriaco tutte le sere a Campo de’ Fiori. Capitan 6 milioni di euro. Non gioca una partita buona da 10 anni.  

Gli occhi.

20 aprile 2016. Roma-Torino 3-2. Sì, quella della doppietta di Totti in meno di 4 minuti. La Roma è sotto 1-2, il Capitano in panchina. E’ la fase finale della carriera, la penultima stagione e il rapporto con Spalletti è già ai minimi termini. Al 41esimo del secondo tempo viene mandato in campo come mossa della disperazione. Il resto è storia. Basta una manciata di secondi, punizione di Pjanic, sponda di Manolas e spaccata sul secondo palo. 2-2. Altri due minuti e Maksimovic devia con un braccio il cross di Perotti. Rigore, 3-2. I festeggiamenti sfiorano l’isteria, sul campo e sugli spalti. Mentre il Torino porta mestamente il pallone a metà campo l’inquadratura di Sky sfiora De Rossi in panchina. E’ questione di attimi, ha le labbra serrate e gli occhi lucidi, come chi fa di tutto per non scoppiare a piangere. Come noi, davanti alla tv o allo stadio. 

Gli occhi di De Rossi sono sempre stati anche gli occhi nostri.

Una vittoria.

La mia preferita: 19 agosto 2007. Sono gli anni in cui le competizioni sembrano un’affare privato tra Roma e Inter. E infatti è con loro che siamo a contenderci la Supercoppa. Al 72esimo Totti dalla fascia sinistra entra in area, sterza verso il centro e viene steso da Burdisso. L’arbitro Rosetti fischia il rigore (è talmente evidente che anche lui non può farne a meno). Sul dischetto, quando tutti si aspettano il Capitano, c’è De Rossi. Basso, forte, a fil di palo, alla destra del portiere. 0-1: gioco, partita, incontro. 

E’ solo una Supercoppa. E’ vero. Ma il momento successivo a quella vittoria credevo davvero che la storia della Roma avesse preso un’altra piega. Si è rivelata un’illusione. Ma meravigliosa.

Il 26 maggio.

Coppanfaccia, Lulic71, noncèrivincita. E le foto di De Rossi a capo chino. Gli striscioni sulla “giornataccia” appesi al Colosseo e i post non potevi fini’ che de 26 maggio. Beh, è vero. Perché questo fanno i capitani. Proteggono, prima di tutto. Quando è il caso si caricano sulle spalle le delusioni dei tifosi, per alleviargli il peso. Gli fanno scudo, e poi gli indicano la strada da seguire. E questo è quello che il destino gli ha concesso di fare anche nella sua ultima partita. Perché il 26 maggio, da stasera, è tutta un’altra storia. E’ tutta un’altra cosa. Quindi ok, coppanfaccia, Lulic71, noncèrivincita. Tanto chi un Capitano così non ce l’ha mai avuto, non lo può capire.

(Photo by Luciano Rossi/AS Roma/Getty Images)

Ecco, adesso anche l’ultimo fuoco d’artificio è scoppiato. Intorno s’è fatto tutto più silenzioso, e tutto è tornato più buio. Però non se ne va nessuno. Vogliamo stare ancora con la testa in su. 

A sperare che lo spettacolo duri ancora un po’.

Roma-Liverpool 4-2. Ma non fia per questo che da codardo io cada…

duello Ettore e Achille

Sì, è vero. Poteva finire meglio.

Avremmo potuto commettere qualche errore in meno, e chissà adesso di cosa staremmo parlando. E’ vero.

Ma per noi, abituati a esaltarci per imprese compiute a metà, per noi che abbiamo dato le sfumature dell’epica a illusioni crudeli, alla zampata di Voeller col Broendby, al goal di Giannini contro lo Slavia Praga, al sinistro di Guigou e ai riflessi di Antonioli sotto la Kop, alle rincorse di Diamoutene contro l’Arsenal, questa è stata una Champions League esaltante.

E se a cadere, dopo Atletico Madrid, Chelsea, Shakhtar Doneskt e Barcellona, dovevamo proprio essere noi, beh, allora va bene essere caduti così. A casa, davanti a tutta la nostra gente, lottando fino all’ultimo respiro contro l’avversario di sempre. Circondati da un alone di bellezza e gloria.

Come Ettore, sotto i colpi di Achille.

Ma non fia per questo

che da codardo io cada: periremo,

ma gloriosi, e alle future genti

qualche bel fatto porterà il mio nome.

Iliade XXII, 304-305. traduzione di Vincenzo Monti.

I muscoli del Capitano. Roma-Barcellona 3-0.

 

Guarda i muscoli del Capitano, tutti di plastica e di metano,
guardalo nella notte che viene, quanto sangue nelle vene.
Il Capitano non tiene mai paura, dritto sul cassero fuma la pipa,
in questa alba fresca e scura, che rassomiglia un po’ alla vita…

[Francesco De Gregori, I muscoli del capitano, “Titanic”, 1982]

Roma-Chelsea 3-0. L’ambiente romano ha sempre ragione.

L’ambiente romano ha sempre ragione.

Sarebbe stato bello – per una volta – vedere i difensori riuscire a reggere l’urto, fisico e tecnico, di attaccanti del calibro di Morata, Hazard, Pedro e Batshuayi.

Sarebbe stato bello – per una volta – vedere il centravanti lottare e fornire assist ai compagni, proteggere la palla e caricarsi sulle spalle la squadra nei momenti di difficoltà.

Sarebbe stato bello – per una volta – vedere gli esterni d’attacco concretizzare le occasioni e poi riprendere umilmente a spremersi in un estenuante lavoro di copertura.

Sarebbe stato bello – per un volta – vedere i subentrati calarsi subito nel clima della partita, pronti a sacrificarsi e aiutare i compagni negli ultimi minuti di “battaglia”.

Sarebbe stato bello – per una volta – viverla e non solo sognarla una “notte di coppe e di campioni”.

Invece eccola, l’mmagine emblematica della mattanza messa in atto ieri sera dai Blues sul campo dell’Olimpico.

Soccer: Champions League; Roma-Chelsea

Daniele De Rossi, la barba lunga a coprire la cicatrice sul volto e le occhiaie a testimoniare la conclamata abitudine a nottate trasgressive, dopo l’ennesima prestazione orribile (d’altra parte, sono almeno dieci anni che ha smesso di giocare…) cerca conforto nel compagno di squadra Federico Fazio, lento, tecnicamente sgraziato e tatticamente inadeguato per essere il leader di una difesa a 4.

Eh sì. L’ambiente romano ha sempre ragione.

 

Roma-Atletico Madrid 0-0. Giochiamocela!

roma-atletico-madrid

Che meraviglia le serate di Champions League. Il calcio che conta, i riflettori, la sigla (anche se in fondo si capisce solo “the chaaaampioooons”). L’atmosfera tesa del big match, la consapevolezza di calcare palcoscenici prestigiosi, la voglia di confrontarsi con squadre che a queste sfide, a questi impegni sono praticamente assuefatte. E chissenefrega che ci poteva pure capità un girone migliore. Questo è. E allora, giochiamocela.

E ce la giochiamo. Pronti via, Bruno Peres galvanizzato dalla suddetta atmosfera (che evidentemente mai avrebbe pensato di respirare) galoppa sulla fascia in un portentoso coast-to-coast. Manco fosse Zappacosta. E infatti non lo è. Perciò, pallone perso, contropiede, cross teso al centro, Saul spara una legnata angolatissima dai sedici metri e i fantasmi di Bayern Monaco, Barcellona e Manchester United ci appaiono davanti agli occhi tutti in un colpo solo, di botto.

Però…

Però il pallone sfiora il palo e va fuori. Sono passati 2’36”, e davanti agli occhi c’è già passato tutto il film delle ultime performance europee.

0-0. Giochiamocela. E ce la giochiamo. Neanche il tempo di smadonnare per un tiro di Nainggolan che Oblak ferma con mignolo e rotula ( e culo!) che Koke si materializza solo al centro dell’area. Tiro incrociato a superare Alisson.

Però…

Però Manolas in scivolata respinge praticamente sulla linea. Batti e ribatti in area, l’urlo SPAZZAAAA viene avvertito anche sulla Stazione Spaziale Internazionale, e alla fine il sospiro più che di sollievo è di incredulità.

0-0. Giochiamocela. E ce la giochiamo. Dzeko e Defrel si liberano in area, e si cimentano nel tiro al parabrezza delle macchine parcheggiate su Lungotevere Cadorna (il primo) e in un surreale passo di tip-tap con tragicomico scivolone finale (il secondo). Ma ce la giochiamo. Griezmann, Saul e Koke a turno bullizzano Bruno Peres. Vietto pescato in verticale ripresenta a velocità supersonica davanti ad Alisson e scucchiaia con irrisoria facilità.

Però…

Però il portiere brasiliano stasera è in versione “tirate-come-ve-pare-tanto-le-prendo-tutte”. Che se lo vedessero a Seul je chiederebbero de parà pure i missili di Kim Jong-un. Scatto di reni, pallone deviato con la punta delle dita, isteriche reazioni di gioia.

Alisson Becker Roma-Atletico Madrid

0-0. Giochiamocela.

Giochiamocela con la difesa a 3, però. Anzi a 5, ancora meglio. Che è il 70 esimo e da 25 minuti non superiamo la metà campo. Dentro Fazio per Defrel (peccato perché il ragazzo nella danza acrobatica stava facendo bene) e tutti dentro l’area. La nostra.

Giochiamocela. Alisson fa pure il libero (e peraltro lo fa molto meglio di Juan Jesus), Nainggolan c’ha talmente tanti crampi che per fasciargli i quadricipite ci vuole una benda con cui una persona normale a carnevale si farebbe la maschera da mummia, Strootman, De Rossi, Kolarov e Bruno Peres (che te lo dico a fare?) inseguono a stento Ferreira Carrasco, Correa e Saul. Che al 92′ tira. Miracolo. Tira di nuovo. A porta vuota.

Però.