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Heval Tekoşer. Il lottatore, morto per un ideale già tradito.

La notizia (ormai di qualche giorno fa) della morte di Lorenzo Orsetti, Tekoşer, “il lottatore”, combattente ucciso a Baghuz dai jihadisti di Daesh mi ha spinto a riprendere in mano tre libri. I due di Karim Franceschi, comandante italiano di un’unità YPG attiva a Kobane e Raqqa, “Il combattente” e “Non morirò stanotte”, e quello – bellissimo – di Fabio Rovelli su Avesta Arun, “La guerriera dagli occhi verdi”. Libri che raccontano la guerra, ma parlano di partecipazione, di adesione, di condivisione di ideali. Per questo trovo inutile discutere se rischiare la vita per una causa che a molti può sembrare così lontana sia coraggio o incoscienza. Se si tratti di eroismo, follia o smisurato desiderio d’avventura. Nelle parole del video-testamento di Orsetti, e in ognuna delle storie raccontate in questi libri emergono, contemporaneamente, tutte queste sfumature. Magari intimamente, oppure in un’improvvisa deflagrazione di sentimenti. Perchè per catapultarsi in un conflitto così “sporco”, privo di regole, e così colpevolmente dimenticato dall’occidente, bisogna essere al tempo stesso coraggiosi, pazzi, eroi. Eventualmente, almeno per la legge italiana che punisce i foreign fighters, criminali.

Lorenzo Orsetti [foto tratta da la Nazione.it]
Ma bisogna essere mossi da un immenso slancio politico, sociale e umano. Estremo come l’estrema conseguenza a cui la guerra può condurre. Coscienti che la violenza possa essere, a volte, l’unica via per difendere il bene (in questo conflitto non ci sono dubbi su quale sia la parte “giusta”). Perchè decidere di combattere sul fronte siriano vuol dire accettare di rischiare la propria vita sapendo di essere già stati traditi. Di avere due nemici davanti, ma solo uno inquadrabile nel mirino del fucile. I miliziani di Daesh e una parte di quello stesso “mondo” per cui si combatte. Quell’occidente che, nonostante formalmente sostenga l’alleanza curdo-araba delle Forze Democratiche Siriane, strizza l’occhio ai capitali della Turchia di Erdogan. E si prepara, respinto il pericolo delle bandiere nere, ad abbandonare di nuovo il popolo curdo al suo destino.

Avesta Harun, la guerriera dagli occhi verdi.

Libri, La guerriera dagli occhi verdi, Marco Rovelli, Giunti.

Filiz Saybak è nata nel 1982 a Mezri. E’ la più piccola della famiglia. Cresce coccolata da Tekin, il fratello prediletto, tra alberi di noce, pecore al pascolo, racconti e fiabe narrati dalle calde voci dei dengbej, balli spensierati per la festa del Newroz.

Anche Avesta è nata nel 1982 a Mezri. Anche lei è la più piccola della famiglia. Ha scelto il suo nome di battaglia in memoria di Harun, il fratello prediletto, ucciso in montagna dalle bombe e dai proiettili degli elicotteri turchi.

Filiz è diventata Avesta per continuare la lotta di Tekin, diventato, e morto, Harun.

Libri, La guerriera dagli occhi verdi, Marco Rovelli, Giunti.
Marco Rovelli, La guerriera dagli occhi verdi, Giunti.

Ma Filiz era già Avesta. Era sempre stata Avesta. Nell’incessante ricerca d’emancipazione, nella orgogliosa resistenza alle imposizioni e alle sanguinarie repressioni del governo turco, nel continuo desiderio di conoscenza e di approfondimento, nell’intensa capacità di mettersi al servizio della comunità, di tradurre il personale in collettivo. Compagna, capace di trasformare in scuola una tenda rammendata a fatica. Di diventare Maestra per i bambini tra gli alberi di Behre, nel campo profughi di Ninive o sotto il sole ardente del deserto iracheno, affinché la comunità non debba mai rassegnarsi “al barbaro che è in noi”.

E Avesta è rimasta sempre Filiz. Trasformando il proprio desiderio di “non lasciare a terra l’arma di Harun” nella difesa di un ideale di libertà e democrazia dalla minaccia di un nemico diverso, per una volta condiviso con l’occidente. Comandante, in grado di combattere gli spietati tagliagole di un califfato teocratico in nome della convivenza pacifica di etnie e religioni diverse. Ma soprattutto donna, determinata a respingere, con i libri e con il fucile, quel “dio” maschio e crudele deciso a rendere ogni donna un fantasma.

Marco Rovelli racconta la storia della guerriera dagli occhi verdi sdoppiando il piano della narrazione. Alternando gli episodi dell’infanzia e dell’adolescenza di Filiz, legati alla formazione della sua coscienza politica, alle vicende della partigiana Avesta. Il libro scorre agile come un romanzo, ma le testimonianze dei parenti di Filiz e dei guerriglieri che hanno combattuto al fianco di Avesta (raccolte direttamente dall’autore nel Kurdistan turco e iracheno) lo rendono una preziosa non-fiction novel, in grado di indicare il cuore della lotta di liberazione del popolo curdo: un paese non può essere libero, un popolo non può sentirsi libero, se le donne non lo sono. Questo è il principio che ha animato la breve vita di una giovane guerriera dagli occhi verdi.

Se sai contare

le foglie di questa foresta

se sai contare

tutti i pesci, grandi e piccoli,

del fiume che scorre qui davanti,

se sai contare

gli uccelli al tempo della migrazione

dal nord al sud 

e dal sud al nord

allora scommetto che anch’io riuscirò a contare

i martiri della mia terra,

il Kurdistan.

“Dimenticanze”.

Ieri sera nella trasmissione “Di Martedì” ho sentito la Meloni (la candidata a Sindaco di Roma che “non è mai stata fascista”, per intenderci) parlare di Isis e di lotta al terrorismo. Ne parlava, ovviamente, nel modo tipico della nuova destra salviniana sapientemente shakerata coi 5stelle.

Quel modo superficiale e demagogico che su Twitter diventa trend topic con il rilancio dell’hastag #StopIslam, e si sublima su Facebook nei post dove la foto di un personaggio famoso è spacciata per quella di qualche immigrato condannato per reati sessuali.

Quel modo che mischia grossolanamente notizie e invettive, considerazioni e banalità, politica estera internazionale ed interessi di cortile.

Ha parlato (e, francamente, ritengo a ragione) di Europa “sotto attacco”. Ma puntando l’indice sulla presunta inadeguatezza del governo in tema di politica estera ha omesso di ricordare che intanto Erdogan (amico stretto del suo vecchio amico Berlusconi, di cui adesso scarica le scelte, ma nel cui governo è stata Ministro) tra un divieto di twittare e un oscuramento di Youtube, sta sterminando i Curdi. Cioè quegli uomini e quelle donne che hanno risposto e rispondono colpo su colpo agli attacchi delle milizie di Daesh. A Kobane, a Tell Abyad o lungo la frontiera tra Turchia e Siria.

Ha parlato (a ragione) di Europa sotto attacco da parte di un “gruppo terrorista” finanziato da quell’Arabia Saudita che decapita gli omosessuali. “Dimenticandosi”, però, nell’improvviso afflato rainbow, di aver annunciato la sua gravidanza durante il Family Day di Gandolfini, quello che ritiene i gay malati da curare e l’amore omosessuale alla stregua di quello tra cane e padrone.

Dimenticanze.

Che segnano il confine tra un ragionamento ed una serie di colossali stronzatè.

Così, per dire.

Heval Marcello, il combattente.

Karim Franceschi è un compagno italiano, nato in Marocco e cresciuto a Senigallia. Per tre mesi ha combattuto in prima linea, al fianco del popolo curdo, per difendere dalla barbarie del Califfato Islamico l’ideale di confederalismo democratico rappresentato dalla Regione Autonoma di Rojava. La cui sopravvivenza, ed il suo auspicabile sviluppo come modello di democrazia pura, laboratorio di egualitarismo basato sul rispetto delle minoranze etniche e religiose, sul diritto allo studio, sull’accesso alla cultura, sulla libertà religiosa (che non ha spazio nella vita pubblica), sulla parità fra uomini e donne, sul rispetto dell’ambiente, rappresenta di per sé una sconfitta per Daesh.

Per questo, dopo aver partecipato al progetto di solidarietà dei centri sociali “Rojava calling” in un campo profughi a Soruc aver conosciuto direttamente lo strazio dei bambini soldato, Franceschi ha deciso di andare a combattere con la milizia volontaria dell’Ypg (Unità di protezione del popolo) portando a compimento la liberazione di Kobane. Rispondendo colpo su colpo agli attacchi ed agli assedi dell’esercito del Califfato. Nome di battaglia, Marcello.

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Karim Franceschi, Il combattente, BUR Rizzoli.

Il racconto, crudo ma dai toni mai “esageratamente” epici,  realizzato grazie al giornalista di “Repubblica” Fabio Tonacci, racconta la guerra e la fiera resistenza del popolo curdo, e testimonia direttamente le colpe della comunità internazionale, che per troppo tempo ha sottovalutato quello che accadeva a Kobane, e che continua ad ignorare (o quantomeno a sottovalutare) come i miliziani di Daesh si muovano liberamente a cavallo della frontiera con la Turchia. Ma soprattutto si interroga sul senso dell’essere partigiano, sul sentirsi “heval”, compagno, di qualcosa e qualcuno, anche a chilometri di distanza da “casa”. Heval Marcello. Heval è colui che lotta per difendere la propria terra, anche se rimane nelle retrovie per aiutare. Un heval ti copre le spalle, con il fucile in mano. Un heval ha rispetto di te, e mette i tuoi bisogni davanti ai suoi. Heval è chi condivide il tuo stesso destino, e si riconosce in te. Heval è una buona ragione per combattere.

Si sono presentati come rappresentanti dell’Islam,

hanno massacrato la gente in nome della religione,

hanno ucciso ovunque. Questa è la verità.

hanno diviso la gente,

e noi di Kobane ci siamo ribellati.

Tu che sei fratello di Kobane, vieni, per gli occhi e per la testa, per vedere e per capire.

Ora tutti sanno che la terra di Kobane non può essere calpestata.

Grazie al popolo.

Farhan, combattente.

La testimonianza di una sopravvissuta.

Il rilievo con genio alato inginocchiato esposto a Roma nel settore del Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco dedicato all’arte mesopotamica proviene da una delle sale del Palazzo di Nimrud. Quel palazzo e quella città che, secondo fonti curde (a quanto sembra confermate proprio dal ministero iracheno per il Turismo e le antichità), i miliziani dell’Isis avrebbero raso al suolo con le ruspe [leggi qui].

Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco, Genio alato inginocchiato,  Impero neo-assiro, regno di Assurnasirpal II (883-859 a.C.), Calcare alabastrino
Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco, Genio alato inginocchiato,
Impero neo-assiro, regno di Assurnasirpal II (883-859 a.C.), Calcare alabastrino

Questa lastra, semisconosciuta, custodita da un altrettanto semisconosciuto (purtroppo) Museo di Roma, è una sopravvissuta. E tra mille anni, quando gli uomini – come da loro natura – avranno dimenticato, continuerà a testimoniare la grandezza della civiltà assira e l’infimità del califfato di Al Baghdadi.