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273.000 “mi piace”.

“Se l’Iran dovesse colpire qualche americano o dei beni americani, abbiamo preso di mira 52 siti iraniani (che rappresentano i 52 ostaggi americani presi dall’Iran molti anni fa), alcuni di altissimo livello e importanti per l’Iran e la cultura iraniana, e quegli obiettivi, e l’Iran stesso, SARANNO COLPITI MOLTO VELOCEMENTE E MOLTO DURAMENTE. Gli Stati Uniti non vogliono più minacce!”.

273.000 persone hanno approvato questo concetto. Anzi no, ancora di più: a 273.000 persone questo concetto “è piaciuto”.

273.000 persone a cui, evidentemente, “non piacciono” i 24 siti Iraniani che fanno parte della World Heritage List. Tantomeno i 56 (pietra più, pietra meno) che attendono l’approvazione UNESCO. Monumenti eccezionali storicamente, artisticamente o scientificamente. Siti naturali (o frutto dell’azione combinata della natura e dell’uomo) dallo straordinario valore estetico, tradizionale e scientifico. 

Non sorprende che il presidente degli Stati Uniti d’America abbia cercato di catapultare il mondo verso la Terza Guerra Mondiale proprio alle soglie dell’impeachment e del conseguente processo al Senato. Ma dov’è finita, mi chiedo, l’indignazione per le immagini di Palmira, Ninive, Nimrud ridotte dai miliziani di Daesh a polvere e sassi? Quando hanno smesso di sanguinare i cuori di tutti per il sacrificio dell’archeologo Khaled al-Asaad? Da quando radere al suolo le fondamenta millenarie di una civiltà non è più considerato un gesto di aberrante fondamentalismo?

Quei siti sono patrimonio dell’umanità. Oggi più che mai sono patrimonio di tutti. Anche di chi, come Trump, non ne comprende l’importanza. Il valore universale della storia, della cultura, è ciò che ci separa dalla Terza Guerra Mondiale. Nonostante quei 273.000 “mi piace”.

L’invasore.

Erdogan ordina l’attacco: l’esercito turco invade il nord della Siria. Photo: Repubblica.it

Erdoğan ha iniziato l’invasione.

In questi anni noi – l’occidente democratico – abbiamo assistito, al sicuro, davanti agli schermi al plasma delle nostre mega TV, all’annientamento di civiltà, società e comunità, sterminate a colpi di mortaio. Lontano da casa nostra.

Abbiamo visto le immagini della bandiera nera di Daesh innalzata su una montagna di gole tagliate e corpi decapitati rimbalzare di social network in social network. A un passo da casa nostra.

Abbiamo pianto i morti per la barbarie terrorista. A casa nostra.

E allora abbiamo chiesto a Kobane di resistere, a Raqqa di non cedere. Abbiamo ammirato il coraggio delle donne e dei ragazzi sul fronte. 

Abbiamo chiesto il loro aiuto. Le loro vite. Ma non abbiamo ascoltato la loro voce. 

Con il “sultano” abbiamo continuato a fare affari. L’abbiamo ricevuto con i mille onori che si devono a uno statista. Abbiamo persino sorriso quando un giovane calciatore gli ha reso omaggio col saluto militare dopo un goal. Perchè dai, tanto che vuoi che sia…

Bene. Quello che sta facendo oggi Recep Tayyip Erdoğan, con (ovviamente) l’approvazione di Trump e contando (altrettanto ovviamente) sull’indifferenza di questa Europa pavida e mediocre, non è una “questione” politica, o ideologica. Non riguarda la Siria, la Turchia o il Kurdistan. E’ un attacco sfacciato e diretto al nostro bell’occidente democratico. Perchè quando i miliziani di Daesh torneranno ad infuocare la Siria, quando ridaranno linfa a qualche folle cellula di terroristi, quando spareranno di nuovo sotto le nostre finestre (a un concerto, in uno stadio, in un mercato) inneggiando al califfato, noi dovremo trattare direttamente con lui. Potremo trattare solo con lui.

E avrà vinto.

Recep Tayyip Erdoğan, oggi, CI sta invadendo.

Heval Tekoşer. Il lottatore, morto per un ideale già tradito.

La notizia (ormai di qualche giorno fa) della morte di Lorenzo Orsetti, Tekoşer, “il lottatore”, combattente ucciso a Baghuz dai jihadisti di Daesh mi ha spinto a riprendere in mano tre libri. I due di Karim Franceschi, comandante italiano di un’unità YPG attiva a Kobane e Raqqa, “Il combattente” e “Non morirò stanotte”, e quello – bellissimo – di Fabio Rovelli su Avesta Arun, “La guerriera dagli occhi verdi”. Libri che raccontano la guerra, ma parlano di partecipazione, di adesione, di condivisione di ideali. Per questo trovo inutile discutere se rischiare la vita per una causa che a molti può sembrare così lontana sia coraggio o incoscienza. Se si tratti di eroismo, follia o smisurato desiderio d’avventura. Nelle parole del video-testamento di Orsetti, e in ognuna delle storie raccontate in questi libri emergono, contemporaneamente, tutte queste sfumature. Magari intimamente, oppure in un’improvvisa deflagrazione di sentimenti. Perchè per catapultarsi in un conflitto così “sporco”, privo di regole, e così colpevolmente dimenticato dall’occidente, bisogna essere al tempo stesso coraggiosi, pazzi, eroi. Eventualmente, almeno per la legge italiana che punisce i foreign fighters, criminali.

Lorenzo Orsetti [foto tratta da la Nazione.it]
Ma bisogna essere mossi da un immenso slancio politico, sociale e umano. Estremo come l’estrema conseguenza a cui la guerra può condurre. Coscienti che la violenza possa essere, a volte, l’unica via per difendere il bene (in questo conflitto non ci sono dubbi su quale sia la parte “giusta”). Perchè decidere di combattere sul fronte siriano vuol dire accettare di rischiare la propria vita sapendo di essere già stati traditi. Di avere due nemici davanti, ma solo uno inquadrabile nel mirino del fucile. I miliziani di Daesh e una parte di quello stesso “mondo” per cui si combatte. Quell’occidente che, nonostante formalmente sostenga l’alleanza curdo-araba delle Forze Democratiche Siriane, strizza l’occhio ai capitali della Turchia di Erdogan. E si prepara, respinto il pericolo delle bandiere nere, ad abbandonare di nuovo il popolo curdo al suo destino.

“Dimenticanze”.

Ieri sera nella trasmissione “Di Martedì” ho sentito la Meloni (la candidata a Sindaco di Roma che “non è mai stata fascista”, per intenderci) parlare di Isis e di lotta al terrorismo. Ne parlava, ovviamente, nel modo tipico della nuova destra salviniana sapientemente shakerata coi 5stelle.

Quel modo superficiale e demagogico che su Twitter diventa trend topic con il rilancio dell’hastag #StopIslam, e si sublima su Facebook nei post dove la foto di un personaggio famoso è spacciata per quella di qualche immigrato condannato per reati sessuali.

Quel modo che mischia grossolanamente notizie e invettive, considerazioni e banalità, politica estera internazionale ed interessi di cortile.

Ha parlato (e, francamente, ritengo a ragione) di Europa “sotto attacco”. Ma puntando l’indice sulla presunta inadeguatezza del governo in tema di politica estera ha omesso di ricordare che intanto Erdogan (amico stretto del suo vecchio amico Berlusconi, di cui adesso scarica le scelte, ma nel cui governo è stata Ministro) tra un divieto di twittare e un oscuramento di Youtube, sta sterminando i Curdi. Cioè quegli uomini e quelle donne che hanno risposto e rispondono colpo su colpo agli attacchi delle milizie di Daesh. A Kobane, a Tell Abyad o lungo la frontiera tra Turchia e Siria.

Ha parlato (a ragione) di Europa sotto attacco da parte di un “gruppo terrorista” finanziato da quell’Arabia Saudita che decapita gli omosessuali. “Dimenticandosi”, però, nell’improvviso afflato rainbow, di aver annunciato la sua gravidanza durante il Family Day di Gandolfini, quello che ritiene i gay malati da curare e l’amore omosessuale alla stregua di quello tra cane e padrone.

Dimenticanze.

Che segnano il confine tra un ragionamento ed una serie di colossali stronzatè.

Così, per dire.

La testimonianza di una sopravvissuta.

Il rilievo con genio alato inginocchiato esposto a Roma nel settore del Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco dedicato all’arte mesopotamica proviene da una delle sale del Palazzo di Nimrud. Quel palazzo e quella città che, secondo fonti curde (a quanto sembra confermate proprio dal ministero iracheno per il Turismo e le antichità), i miliziani dell’Isis avrebbero raso al suolo con le ruspe [leggi qui].

Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco, Genio alato inginocchiato,  Impero neo-assiro, regno di Assurnasirpal II (883-859 a.C.), Calcare alabastrino
Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco, Genio alato inginocchiato,
Impero neo-assiro, regno di Assurnasirpal II (883-859 a.C.), Calcare alabastrino

Questa lastra, semisconosciuta, custodita da un altrettanto semisconosciuto (purtroppo) Museo di Roma, è una sopravvissuta. E tra mille anni, quando gli uomini – come da loro natura – avranno dimenticato, continuerà a testimoniare la grandezza della civiltà assira e l’infimità del califfato di Al Baghdadi.