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Il cuore e l’asfalto

Villeneuve, il cuore e l'asfalto - Paolo Marcacci - Kenness.
Villeneuve, il cuore e l’asfalto – Paolo Marcacci – Kenness.

Non si può parlare di Villeneuve senza citare sorpassi e incidenti, alettoni frantumati, pneumatici scoppiati, sbandate controllate e staccate al limite. Ma per raccontare davvero Gilles Villeneuve, bisogna parlare di emozioni, di sentimenti e di coraggio. Senza perdersi in elenchi buoni per gli almanacchi o in dettagliatissime cronache di piazzamenti, ritiri e vittorie. Senza indugiare eccessivamente sulle manovre ai limiti della follia.

Bisogna parlare di lealtà, di rispetto e di coraggio. Quello per spingere al limite (spesso ben oltre il limite) un bolide rosso in alluminio tubolare e sovralimentato, ovviamente. Ma soprattutto quello necessario a non anteporre mai la gloria al cuore, ai sentimenti, ai principi. Fino a sembrare ingenuo. Fino alla fine. Fino a quella maledettissima “curva del bosco” a Zolder.

Perché raccontare Gilles Villeneuve, vuol dire raccontare l’ultimo degli eroi romantici.

Paolo Marcacci ci riesce molto bene.

1979, Ferrari 312T4, Zandvoort, Gran Premio d’Olanda

Bacio feroce.

Roberto Saviano, Bacio feroce, Feltrinelli, 2017.
Roberto Saviano, Bacio feroce, Feltrinelli, 2017.

La paranza dei bambini (Feltrinelli, 2016) è uno splendido romanzo di denuncia. Un docu-thriller che trasuda sentimento, rabbia e passione creativa. Bacio feroce, ne è il sequel. La banda di “bros” con il mito di Call of Duty e Don Vito Corleone, con al vertice Nicolas Fiorillo “o’ Maraja”, combatte una guerra contro la vecchia guardia per prendere il comando delle piazze di spaccio più ambite. Ma nonostante la perfetta continuità narrativa e stilistica il risultato, stavolta, è una Serie Tv. Fatti, dettagli, colpi di scena, si susseguono con un ritmo esageratamente martellante. Immagini forti, come la tenaglia che strappa – uno ad uno – i denti di “Carlitos Way”, costringono a chiudere il libro con la stessa foga con cui si cambia canale di fronte ad una scena horror inaspettata. Ma allo stesso tempo spingono ad andare avanti, a volerne di più. I richiami all’attualità criminale e alle sue geografie (la descrizione del “Delivery”, lo spaccio di droga modello supermarket, e delle rotte dei traffici), le vittime innocenti degli agguati, i rapporti tra criminalità e tifo organizzato, catapultano il lettore in un reportage d’inchiesta puntuale e diretto. Lo slang quotidiano, per cui il traditore è un “Higuain”, certifica in modo inequivocabile che i fatti si svolgono in un oggi vero, reale. E’ tutto perfetto, quindi. Ma è tutto troppo. In Bacio Feroce manca la calma. tanti che si finisce per inseguirla, quasi per implorarla. Perché è nei vuoti, negli insoliti silenzi di alcuni vicoli di Forcella, nella solitudine delle notti di latitanza a Ponticelli, che si percepisce il senso del libro. La guerra tra bande, il conflitto tra “giovani” e “vecchi” in versione malavitosa, certo. Ma soprattutto lo scontro disperato tra le diverse anime che assistono a questa guerra. Quelle disperate, come Greta e Emma, mamme certe dell’ineluttabile autodistruzione dei propri figli, ma disposte a tutte pur di provare a salvarli. Quelle spregiudicata, come Mena, la madre di Marajà, per cui l’ascesa criminale di Nicolas non è altro che l’unica possibile, anche se effimera, giustizia.

Insomma, quando Roberto Saviano scrive della sua terra e, inevitabilmente, delle dinamiche mafiose che spesso la governano (e che dal 2006 lo costringono a vivere sotto scorta), è una penna attenta e raffinata, sempre in perfetto equilibrio tra l’approfondimento e la colloquialità. Incalzante, forte. Quando si lascia andare a fuochi d’artificio cinematografici si indebolisce e sbanda. Finendo per fare un po’ di confusione.

Tito Manlio Torquato interpretato da Stefano Starna.

Sabato 13 Maggio, nel corso dell’evento “All of Rome” la Storia di Roma si è fusa con il teatro. E’ stato per me molto emozionante sentire – finalmente! – il suono di quelle “voci” che costituiscono il senso della mia ricerca (e del mio libro). Qui le parole di Tito Manlio Torquato, “uomo di antica severità”, interpretate da Stefano Starna.

I miei “Oscar d’Inchiostro” 2016!

Anche quest’anno, come da tradizione, propongo una piccolissima-personalissima-faziosissima selezione del mio anno da lettore. Un giochino, nulla di più, ma che mi diverte molto. Alle confermate categorie “Miglior Personaggio” e “Menzione Speciale” affianco, stavolta, una “Grassa Risata” e – ahimè – una delusione.

Oscar d'Inchiostro 2016

Il Miglior Personaggio è il vicequestore Rocco Schiavone di Antonio Manzini. Cupo, respingente, tormentato e silenzioso. Degno di Jo Nesbo. Insisto, la versione televisiva non gli rende giustizia.

La risata più grassa me la sono fatta leggendo La prima regola degli Shardana, di Giovanni Floris. Una storia d’amicizia alla “Stand by me”, con la Sardegna al posto dell’Oregon. Esilarante omaggio alla letteratura e alla cinematografia “cazzeggiona” degli anni Ottanta e Novanta. Dalla pallastrada di Stefano Benni, alle risse di Bud Spencer, dai Goonies alla trivialità dei cinepanettoni.

Menzione speciale per La guerriera dagli occhi verdi, di Marco Rovelli. Una preziosa non-fiction novel sulla vita di Avesta Harun e sul principio che ne ha animato la (purtroppo) breve vita di combattente curda: un paese non può essere libero, un popolo non può sentirsi libero, se le donne non lo sono.

E ora, la nota dolente. Grande delusione per Il turista di Massimo Carlotto. Un thriller debole, una spy story scontata, un personaggio, Pietro Sambo, incompiuto. Privo sia del cinismo da maudit che dell’empatia dell’eroe. Devo ancora riprendermi dallo shock.

E ora, come sempre, se qualche altro lettore ha voglia di fare lo stesso gioco…che inizi il dibattito!

Le ombre di Rocco Schiavone non sono fatte per la TV.

Per una personalissima questione di principio, con un’applicazione ossessiva ho letto tutti i libri di Manzini che hanno come protagonista il vicequestore Rocco Schiavone prima dell’inizio della serie tv. E ho fatto bene.

Manzini Rocco Schiavone SellerioSchiavone è un personaggio fatto di ombre, cupo. Che trasmette un’idea di vuoto, di solitudine, ai limiti della crisi di panico. E’ un personaggio degno di Jo Nesbo. Respingente. Tormentato e silenzioso. Ma nelle pagine di Manzini i silenzi rimbombano come grida di rabbia, come disperate e inconsce richieste di aiuto. Ed è in quei silenzi che la storia di Schiavone, il suo passato, il suo vissuto, si “nasconde” prima di colpire chi legge con la potenza improvvisa e inaspettata di un colpo da KO. Rocco Schiavone, per intenderci, è lontano anni luce dalla melassa radical chic in cui Camilleri ha, ormai da tempo, immerso il commissario Montalbano.

No. La televisione non è, e non può essere, la sua dimensione.

Marco Giallini Rocco Schiavone fiction Rai2