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Roma-Bologna 1-1. La fallibilità del dogma.

Sembrava un semplice lunedì sera d’Aprile. Uno come tanti.

Ma è stato chiaro fin dalla lettura delle formazioni che i puri di cuore sarebbero stati chiamati ad affrontare un cammino di fede di 90′, accidentato e periglioso. E che per uscirne purificati e rafforzati spiritualmente, avrebbero dovuto sopportare con incrollabile fiducia Iago Falque a centrocampo. E con indissolubile serenità i 3 pali di Salah e il goal di Rossettini.

E fiducia e serenità non hanno mai abbandonato gli animi devoti (ecco, a ben vedere forse sulla serenità ho un po’ peccato…). Fino al fatidico 70esimo.

Quando sul dogma della rinascita giallorossa, l’infallibilità divina di Luciano Spalletti da Certaldo, è calata la perversa oscurità dell’eresia.

Quando, nonostante agli occhi di tutti i fedeli in piena trance mistica fosse apparsa la “Santa Trinità della mossa disperata” (Zukanovic centrale – Rudiger terzino – Florenzi esterno alto) a preannunciare in un turbillon di triangolazioni, verticalizzazioni, accelerazioni, sovrapposizioni, cori di angeli e squilli di trombe il definitivo trionfo del Bene, la maligna devianza ha assunto le sembianze del tristo Edin Džeko.

Mo, ce vo’ fede davvero.

Lazio-Roma 1-4. Timori.

Lo temevo, ‘sto derby.

E non per l’irrazionalità tattica o l’isteria agonistica tipiche della stracittadina. Né per la logorante attesa a causa della sosta. Tantomeno per gli stucchevoli rumors di mercato su Pjanic, Nainggolan e Manolas. Figuriamoci se per le deliranti intemerate di Caressa sull’ultimo derby di Totti da titolare.

Io temevo la Lazio.

Sì. Temevo gli ubriacanti dribbling a rientrare di Felipe Anderson, le improvvise botte dalla distanza di Candreva, gli implacabili stacchi di testa di Klose, gli scatti brucianti sul filo del fuorigioco di Matri. Temevo che un trio di centrocampo composto da Pjanic, Keita e Nainggolan, sebbene organizzati tatticamente e tirati a lucido fisicamente, non potesse nulla contro la fisicità di Parolo, il dinamismo di Cataldi, la visione di gioco di Biglia.

Temevo che l’imprevedibilità di El Shaarawy, l’ubriacante velocità di Salah e la lussuriosa tecnica di Perotti non avessero chance contro l’esperienza di Bisevac, il passo di Braafheid, il senso della posizione di Patric e quello dell’anticipo di Hoedt.

Lo temevo, ‘sto derby. Lo temevo eccome.

Poi, però, me so’ svegliato. Ho preso un diger selz e maledetto la peperonata della sera prima.

Quando ho acceso la tv trasmettevano un’amichevole precampionato. Peccato, la Roma ha vinto solo 1-4. C’era da aspettarsi di meglio, è vero. Ma quando gli avversari so’ così scarsi prima della partita l’allenamento si fa lo stesso. Si vede che le gambe erano un po’ imballate…

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Bayer Leverkusen-Roma 4-4. Individualità, disorganizzazione, lettura della partita e mentalità. Ovvero, pistolotto su come impiccarsi una partita in 4 semplici mosse

Senza preamboli:

1) Individualità scadenti. Torosidis ha sul groppone il 1° ed il 4° goal. Praticamente ha messo la sua firma sulla partita. 2 azioni, lo stesso errore. Affronta gli avversari entrambe le volte nello stesso disastroso modo: torsione innaturale del busto, passo incrociato. Nel primo caso, tanto per non farsi mancare nulla, aggiunge anche le braccia spalancate in piena area. Qualsiasi terzino le avrebbe tenute unite dietro la schiena, ma provate a farlo con il busto ruotato rispetto al fronte dell’azione e con una dinamica della corsa innaturale). Rigore, 1-0 (e prima madonna). Nel secondo caso, invece, la palla gli sfila tra le gambe proprio mentre (sempre col busto girato) i due piedi sono goffamente in aria. E quindi si trova, per quanto stia correndo, irrimediabilmente e goffamente privo di un perno grazie al quale correggere il movimento. Ora, i limiti tecnici del greco sono evidenti. E’ altrettanto evidente che nessuna squadra di medio livello in Europa si presenterebbe in una partita decisiva con un terzino del genere. E’ innegabile, però, che l’allenatore – se ritiene di non avere di meglio in rosa – su questi limiti tecnici debba far lavorare sodo il giocatore. Oppure fare altre scelte (per ora Florenzi, ma a gennaio si dovrà necessariamente intervenire).

2) Difesa disorganizzata. I movimenti della difesa sono stati a dir poco raccapriccianti sul 2° e sul 4° goal. L’immagine di Rudiger piantato come un ciocco di mogano al centro dell’area mentre i tre compagni di reparto tentavano un maldestro fuori gioco non ammette repliche. Come d’altronde, rigirando il concetto, quella di Torosidis, Manolas e Digne, che tentavano un maldestro fuorigioco con Rudiger piantato come un ciocco di mogano al centro dell’area. Cambiando l’ordine dei fattori il risultato non cambia. E non cambia neanche quando, a uscire in modo scriteriato sul portatore di palla avversario, è Florenzi (come nel caso del pareggio del Leverkusen). Nonostante tutto, questo è il punto che mi preoccupa meno. Credo siano errori causati inevitabilmente dalla disabitudine a giocare insieme. E’ una difesa che cambia troppi pezzi ogni volta per avere sincronia e affiatamento. Certo però che la gestione dei rientri di Rudiger e Castan e della loro alternanza lascia perplessi…

3) Lettura della partita. La sostituzione di Salah è stata sbagliatissima. La fama di funambolo dell’egiziano è cresciuta in modo esponenziale da quando gioca in Italia. Dove però, a causa della mediocrità del campionato, chi ha la capacità per fare più di uno scatto e un dribbling può agevolmente superare almeno i 3/4 delle difese della Serie A. Credo invece che la sua maggior qualità sia l’unire una tecnica finissima ad un movimento continuo che, in fase di ripiego, consente al centrocampo di non perdere o di recuperare le posizioni. Nel primo tempo in due occasioni sbaglia in modo abbastanza grossolano la giocata. Una volta eccede nei dribbling, un’altra appoggia la palla con eccessiva sufficienza. In entrambi i casi sfrutta la velocità per posizionarsi davanti agli avversari, costringendoli a rallentare e ricominciare l’azione. Non solo. Salah, che non occupa mai (quasi mai) la posizione di centravanti, agendo invece da “guastatore” tra le linee. Questa posizione (solo apparentemente anarchica) consente a Gervinho di tagliare dalle fasce verso il centro. O di andare in percussione centralmente negli spazi che l’egiziano gli apre eseguendo il movimento a uscire.

Paradossalmente ritengo ne sia conferma proprio il goal di Iago Falque. Nato da un’invenzione estemporanea di Gervinho ormai confinato sulla fascia. Era il 2-4. 999 volte su 1000 sarebbe stato il goal decisivo, si dirà. E’ vero. Ma è altrettanto vero che, da quel momento in poi, gli attaccanti della Roma non sono stati più in grado di arginare le avanzate dei laterali del Bayer, né di impedire che l’azione potesse cominciare, lucidamente, dalla difesa.

4) Mentalità. Per la seconda volta consecutiva in Champions League la Roma è entrata in campo come se avesse bisogno di studiare gli avversari. Di capire “la situazione”. Senza logica, senza piglio, senza nerbo. Senza palle. Solo che, solitamente, le partite di un certo livello si studiano e si preparano prima, non si aspettano i primi 20’ del primo tempo. La Roma ha giocato da subito con grinta, determinazione e applicazione solo contro il Barcellona. Senza perdersi d’animo sotto di un goal, né quando sembrava impossibile riuscire a superare la metà campo. Contro avversari più scarsi (Bate Borisov) o quanto meno alla nostra portata (Leverkusen) la squadra è entrata in campo svagata, superficiale, disorganizzata. Per carità, questo è indice della fragilità psicologica di giocatori che, in Europa, non hanno storia né palmares. Ma anche della mentalità drammaticamente provinciale di chi li allena e li gestisce.

Detto tutto questo, la prestazione di ieri entra di diritto nella classifica delle “amarezze europee”. Insieme ai rigori con l’Arsenal e lo Slavia Praga. Grazie ragazzi.