La bellezza dolorosa del Nepal.

10968457_10206203705518487_2440510436696247051_nHo provato varie volte a scrivere del mio viaggio in Nepal. Praticamente ogni volta ho cominciato, e interrotto dopo poche righe. E, di certo, non perché non avessi luoghi meravigliosi, sensazioni ed emozioni da descrivere. Era come se avessi una sorta di “blocco” nel cercare di andare oltre il “diario di viaggio”. Come se Kathmandu, Pokhara, Bhaktapur, Bandipur, il trekking sull’Annapurna nascondessero – anzi no, mi nascondessero –  qualcosa di “più difficile”. Come se i templi e le strade affollate, il caos della capitale e il silenzio quasi irreale dei villaggi, lo sguardo su panorami immensi da 4000m di altezza e l’incombente peso di altri 4000m sopra la testa non fossero il fine del viaggio, ma lo strumento per guardare il Nepal più nel profondo. Per capirne le contraddizioni, ma allo stesso tempo per non accettarle e per non esserne assuefatto. Come se i volti delle persone incontrate o sfiorate nelle varie tappe, mi avessero inchiodato di fronte ad una bellezza diversa, senza maschere. Una bellezza dolorosa. La bellezza dolorosa di una donna che è contemporaneamente una santa, una puttana, una creatura infelice e abbandonata diceva Edvard Munch.

bandipur

Una bellezza che mi ha scioccato, trasmettendomi un senso di quotidiano e ineluttabile abbandono al presente. Al momento, all’istante, all’oggi. Come se nell’incessante – quasi esasperante – suono dei clacson, nelle convulse processioni verso i templi, nel forsennato scuotere le campane di preghiera, nell’espressione malinconica anche nel divertimento dei bambini non ci fosse altro che la coscienza di un domani incerto, in equilibrio precario.

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Causale: EMERGENZA NEPAL

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