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La grande bellezza.

Il Ponte della Musica-Armando Trovajoli collega pedonalmente, idealmente e visivamente il complesso del Foro Italico con quello, moderno, del Maxxi e dell’Auditorium. Traccia una linea, tra l’asfalto del lungotevere e il cemento dei palazzi, che unisce il verde dell’imponente Monte Mario con quello di Villa Glori. E’, a mio personalissimo giudizio, uno degli interventi urbanistici più riusciti fatti a Roma negli ultimi anni (peraltro un ponte in quella zona era previsto già nel piano regolatore del 1929).

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La luce che abbaglia al centro delle foto (che ho scattato oggi pomeriggio), però, non è causata dai flash di turisti intenti ad immortalarne la suggestiva prospettiva. Ma da uno dei 3 camion-bar che si apprestavano ad assediarne l’accesso dal lato di Piazza Gentile da Fabriano. Casomai agli spettatori del Teatro Olimpico o ai tifosi di Roma-Chievo scappasse un’improvvisa e contemporanea voglia di panino con la salsiccia…

Mi sembra si possa dire che l’effetto faccia, oggettivamente, ca***e.

Ah, giusto per la cronaca, il 3 novembre il M5s (insieme a Forza Italia, Fratelli d’Italia e – ebbene sì! – Sinistra Italiana) ha votato una mozione contro la direttiva Bolkestein (QUI). Magari per loro invece a Roma è tutto bello, bello, bellissimo [cit].

Dalla sciatteria alla dignità.

Che poi a me delle due cene al “girarrosto”, delle fettuccine ai funghi o delle bistecche pagate con la carta di credito del Comune di Roma me ne fregherebbe anche poco. Sinceramente.La vera immoralità della vicenda sta nelle patetiche bugie inventate da Marino per giustificarsi. Ero a cena con esponenti di Sant’Egidio, ero con l’ambasciatore del Vietnam. Manca quella della “nonna morta o in ospedale”, e poi il campionario di scuse patetiche sarebbe completo. Sono scuse che non fanno neanche arrabbiare, tanto sono sciatte. Prive della tracotanza di Fiorito o dell’ignorante supponenza di Bossi jr. Sono le scuse di un alunno delle elementari sorpreso dalla maestra a non aver fatto i compiti. Solo che a un bambino delle elementari – bugiardo, per di più – nessuno farebbe governare Roma. 

Allora gli uomini di questa armata brancaleone mascherata da maggioranza la smettessero di blaterare del dopo “Mafia Capitale”, del “cambio di passo” e dei “fuoriclasse” in giunta. 

Facciano davvero qualcosa per Roma, permettendo a un commissario di guidarla in modo onesto e dignitoso almeno nel corso di un Giubileo che farà accendere (ancora di più) i riflettori di tutto il mondo su quello che Roma dovrebbe essere, potrebbe essere, ma che ora – di sicuro – non è. 

Ma soprattutto si preparino ad accettare l’autocritica che proprio questa sciatteria ci (noi elettori, io) chiama a fare. Noi (io) che non siamo stati capaci di leggere correttamente tra le righe delle giravolte lessicali con cui questi “fenomeni del cambio di passo” hanno giustificato incapacità, dabbenaggine, sciatteria e disonestà.

Se il Pd a Roma non vuole scomparire del tutto, si azzeri. Si stacchi la spina. Si chiama eutanasia. Vuol dire dignità. 

Negare l’evidenza non ha senso.

Negare l’evidenza non ha senso.

Non ha avuto senso per il PSI nel 1992 negare come Mani Pulite stesse annientando il partito e il suo leader.

Non ha senso oggi, per il Partito Democratico, aggrapparsi alla – finora assodata – estraneità di Marino all’inchiesta Mafia Capitale. Non ha senso perchè l’evidenza è quella di un Partito che, a Roma, è già annientato. Dal malaffare che l’ha coinvolto, sicuramente. Ma anche dall’incapacità di dare un seguito alle promesse di “svolte epocali” nella gestione della città.

Nell’editoriale di oggi su “l’Espresso”, Luigi Vicinanza scrive: Roma appare una città fuori controllo. In tutti i sensi. Non c’è capitale in Europa così sporca, sciatta, prigioniera dell’incuria. Metropoli cosmopolita e arretrata. La cui Grande Bellezza – potenza evocativa di un Oscar – è assediata da una corona di spine di quartieri periferici, lontani dai palazzi del potere, dove cova un profondo malessere popolare.

Quindi, se il Partito Democratico ha a cuore Roma, deve lasciare Roma.

Se il Partito Democratico ha a cuore Roma, non deve temere di “perdere” Roma. Non deve nascondersi dietro Marino e alla sua estraneità ai fatti (ma anche estraneità a tutto e a tutti, vien da dire..) per paura della Meloni, di Marchini o di Di Battista.

Ma soprattutto, se il Partito Democratico ha a cuore Roma deve consentire ai romani di riprendersi quello che le cooperative della malavita e del malaffare gli hanno tolto giorno dopo giorno, amministrazione dopo amministrazione, giunta dopo giunta: dalla sicurezza ai beni culturali, al decoro, al verde, all’assistenza sociale.

E, aggiungo, se il Partito Democratico ha a cuore l’Italia, non può non assumersi – oggi – la responsabilità di rimettere Roma, la Capitale, su una strada che sia all’altezza degli impegni, delle scadenze e degli eventi che la politica mondiale impone. E se per tutto questo (che poi sarebbe la normalità…) il passo necessario, visto il costante “sfondamento a sinistra” di un’inchiesta nata a destra, è il commissariamento, è ora di rompere gli indugi.

Non credo che il prefetto Gabrielli possa essere la panacea per tutti i mali di Roma (e della politica a Roma). Credo però possa avere l’autorevolezza – a livello nazionale, cosa da non sottovalutare in una tale situazione – per liberare la strada dalle macerie che i barbari hanno lasciato.

Poi, solo poi, si potrà parlare del nuovo sindaco. E quindi, per me, soltanto di Roberto Giachetti.

P.s. Qualcuno mi dirà: hai cambiato idea? Ebbene sì, ho cambiato idea. E’ perché penso molto. E perchè contengo moltitudini.

Perplessità.

Non capisco perché si chieda un passo indietro al sindaco Ignazio Marino alla luce di questa “seconda tranche” dell’inchiesta Mafia Capitale. Cioè al Sindaco che, comunque la si voglia vedere, di questo intreccio ha consentito l’emersione. Ma soprattutto non capisco perché le dimissioni pretese – per amor di schieramento più che per sostanza – dalla coppia Salvini & Meloni siano invocate anche da una parte di Pd che, contestualmente, rievoca i fasti (presunti) dell’amministrazione Veltroni. Quella in cui, per intenderci, Mafia Capitale si è ha fatta le ossa.

Camuffata da rottamazione, certo. Ma sempre “guerra fra bande” è.