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La grande bellezza.

Il Ponte della Musica-Armando Trovajoli collega pedonalmente, idealmente e visivamente il complesso del Foro Italico con quello, moderno, del Maxxi e dell’Auditorium. Traccia una linea, tra l’asfalto del lungotevere e il cemento dei palazzi, che unisce il verde dell’imponente Monte Mario con quello di Villa Glori. E’, a mio personalissimo giudizio, uno degli interventi urbanistici più riusciti fatti a Roma negli ultimi anni (peraltro un ponte in quella zona era previsto già nel piano regolatore del 1929).

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La luce che abbaglia al centro delle foto (che ho scattato oggi pomeriggio), però, non è causata dai flash di turisti intenti ad immortalarne la suggestiva prospettiva. Ma da uno dei 3 camion-bar che si apprestavano ad assediarne l’accesso dal lato di Piazza Gentile da Fabriano. Casomai agli spettatori del Teatro Olimpico o ai tifosi di Roma-Chievo scappasse un’improvvisa e contemporanea voglia di panino con la salsiccia…

Mi sembra si possa dire che l’effetto faccia, oggettivamente, ca***e.

Ah, giusto per la cronaca, il 3 novembre il M5s (insieme a Forza Italia, Fratelli d’Italia e – ebbene sì! – Sinistra Italiana) ha votato una mozione contro la direttiva Bolkestein (QUI). Magari per loro invece a Roma è tutto bello, bello, bellissimo [cit].

Occhio al Caimano.

Probabilmente l’attuale abitudine alla politica urlata via web, l’assuefazione alla ressa di link sul “Pd nel panico”, “Di Maio asfalta Renzie”, “Dibba difende come un leone 27 milioni di italiani” ha ristretto un po’ il campo della discussione politica. Tutto quello che è riferibile a “strategia-politica” è diventato, inesorabilmente, merda.

E invece a me interessa, per un attimo, ragionare, in chiave strategica, sulla “svolta” di Berlusconi per le Amministrative a Roma.

Propongo quindi di resistere alla tentazione di cliccare sull’ennesimo “Renzi e le lobby”, e prendere in considerazione quello che, fino a ieri era lo scenario elettorale della Capitale: M5s inequivocabilmente favorito (Raggi), centrodestra e centrosinistra divisi (Meloni/Bertolaso/Storace, Giachetti/Fassina), un outsider (Marchini) e varie comparse (CasaPound, Msi, Adinolfi e “freak” vari).

Dunque, con questa situazione di partenza (Raggi sicuramente al ballottaggio con uno tra Meloni e Giachetti, Marchini piazzato e Bertolaso staccato) la giravolta di Berlusconi non può essere considerata che uno spregiudicato capolavoro di strategia politica. Far convergere i voti di Forza Italia su Alfio Marchini era infatti l’unica soluzione possibile per l’ex Cavaliere per continuare ad avere voce in capitolo sulle elezioni e (soprattutto) sulla guida del centrodestra. Appoggiare la Meloni avrebbe voluto dire autoescludersi dalla competizione e condannarsi ad essere schiacciato dalla destra salviniana anche (e soprattutto) in chiave nazionale. Abdicare, per capirsi. Magari il centrodestra avrebbe avuto la certezza di raggiungere il ballottaggio, ma dal ballottaggio in poi, Berlusconi sarebbe diventato uno dei tre. A Berlusconi, però, interessa “pesare” in chiave nazionale.

L’appoggio a Marchini, quindi, offre tre diverse possibilità di vittoria per l’ex Cavaliere:

  1. Quella al momento meno plausibile (ma con un mese di campagna elettorale ancora non da escludere del tutto): arrivare direttamente al ballottaggio contro la Raggi. E, di conseguenza, annientare il tentativo di autonomia di Salvini e della Meloni.
  2. Quella più probabile: appoggiare ufficialmente la Meloni al ballottaggio. Ergendosi a salvatore dalla barbarie grillina, ma al tempo stesso dimostrando alla ditta S&M che, in chiave nazionale, ottenere l’appoggio del vecchio leader è ancora fondamentale.
  3. Quella al momento più inverosimile: far appoggiare Giachetti al ballottaggio da Marchini. E rimanere ufficialmente dietro le quinte, ma congelando le posizioni (e la leadership) nel centrodestra. Guadagnando tempo, diciamo così. E non è poco.

L’unico scenario che lo escluderebbe dai “giochi” è la vittoria di uno dei tre competitori al primo turno. Vittoria che, stando ai numeri, al momento non sembra possibile.

La mossa di Berlusconi, quindi, è tutt’altro che disperata. Perciò, occhio al Caimano.

“Totocalcio” e “Palio di Siena”. Riflessioni sulle elezioni europee.

Al netto dell’ inconsistenza politica dal proprietario del M5s, gli anatemi lanciati durante l’esibizione sul palcoscenico sapientemente allestito dal complice Bruno Vespa (altro che Santoro-Berlusconi…) hanno apertamente palesato come voglia traformare il voto europeo di domenica in un triplo referendum su Governo, Napolitano (e le larghe intese), e sul Pd.

[NDR. In particolare sul Pd. Che è ormai diventato il nemico numero uno dei pentastellati, il male assoluto. Come se poi – permettetemi la battuta – avesse mai fatto male a qualcuno, il povero Pd, se si esclude il fegato dei suoi militanti…]

Come nel più banale totocalcio, le opzioni sono tre: 1, X, 2.

OPIZIONE 1. Dando per assodato il collasso di Forza Italia (a cui comunque non credo finché non lo vedo) possiamo considerare una vittoria del Pd ottenere un risultato di qualche punto percentuale superiore al M5s.

Dico senza timore, però, che se il Pd scendesse sotto il 31% farei comunque fatica a considerarla una grande vittoria…

Comunque, in questo caso il “comando del gioco” tornerebbe in pieno a Renzi. A cui però consiglierei di accelerare (e molto) sulla approvazione della nuova legge elettorale e sulla riforma del Senato. Per non dare l’impressione che alla luce di un risultato elettorale positivo, preferisca arroccarsi su poltrone e posizioni acquisite, perdendo lo slancio “innovatore” che innegabilmente, comunque la si pensi, ne ha caratterizzato l’ascesa.

Certo, in questo caso bisognerebbe chiedersi cosa ne sarebbe del M5s. Beninteso, non come forza politica, ma come “tipo” di forza politica. Potrebbe sbocciare davvero, definitivamente (e democraticamente, vien da dire..) indipendente dal duo Grillo-Casaleggio, che finora, per strategia o per tornaconto, lo hanno reso solo un megafono di cattiveria, acredine, bullismo e qualunquismo. Ridando sostanza a quei “ragazzi molto preparati” di cui Grillo parla, di cui si fa scudo (spesso), grazie a cui si fa forte (sempre), ma a cui toglie spazio, indipendenza e margine di iniziativa politica.

OPZIONE 2. A una vittoria del M5s mi interesserebbe anche assistere. Se stessi leggendo un libro di Isaac Asimov. In realtà rabbrividisco, al solo pensiero.

Grillo durate le sue performances ha più volte ventilato l’ipotesi “assedio al Quirinale”come l’unica percorribile. L’unica valida per pretendere lo scioglimento delle camere, le dimissioni del Presidente della Repubblica, elezioni ecc. ecc.

Ora, sorvolando sui modi fascisti con cui l’ipotesi è stata prospettata, politicamente cosa cambierebbe? Un cambio di maggioranza? Un radicale e immediato cambio di rotta e di corso? Ne dubito. Nuove elezioni porterebbero alla stessa situazione di impasse vissuta nel 2013. Della serie, “cambiando l’ordine dei fattori il risultato non cambia”. Si badi, non sto dicendo che non voglio nuove elezioni o che ne ho paura [specificazione ad uso e consumo deiprofessionisti della polemica sterile], né che mi scandalizzerebbe vedere Grillo (o chi per lui) alle prese con la formazione di un governo. E’ la politica. Dico solo che – giocoforza – il governo sarebbe nuovamente di larghe intese.

Anzi, quasi quasi me lo immagino, mentre tra due ali di fedeli adepti (e rigorosamente in streaming), si affanna nel ruolo di novello Gargamella, Ebetino ecc..

OPZIONE X. E se invece la strategia di Grillo e Casaleggio fosse quella di puntare proprio al pareggio? Vedi troppo calcio Loré, e soprattutto troppo Mourinho, direte voi. Eppure, secondo me, questo è il centro della strategia di Grillo. [Ulteriore specificazione: di Grillo, non dei militanti del M5s, perché non li insulto né li disprezzo]. Un eventuale risultato di partità (punto percentuale in più o in meno) tra Pd e M5s non farebbe altro che far risorgere Berlusconi, rendendolo ago determinante di una delicatissima bilancia, sui cui piatti Napolitano dovrà pesare una nuova “larghissima” intesa di governo (Pd, Ncd, Forza Italia ecc.) con gli obiettivi di sempre e la perenne ingovernabilità garantita da nuovi risultati elettorali.

E a poco più di un mese dal semestre italiano di presidenza europea che cosa sceglierà Napolitano?

Un pareggio, dunque, rifornendo di benzina il serbatoio (ormai praticamente a secco) delle larghe intese, garantirebbe a Grillo e ai suoi metodi ancora nuovo spazio e nuova linfa.

Quella di Grillo non è una rivoluzione, quindi. Non ci va nemmeno vicino.

E’ solo l’ennesima edizione della politica alla “Palio di Siena”. Del fare di tutto perché comunque, alla fine, non vinca la contrada nemica.

Per tutto il resto, poi, basta un bel “Vaffa-Day”.