Dopo la preveggenza di Suburra, Bonini e De Cataldo raccontano la Roma di Mafia Capitale, degli intrighi di partito (e per partito s’intende solo il Pd) e del Giubileo.

Martin Giardino, detto “er tedesco”, è il sindaco che gira in bicicletta, che chiude al traffico privato tutta via dei Fori Imperiali, che inaugura la riqualificata Piazza Testaccio. Un Ignazio Marino evidentemente idealizzato, tratteggiato con tutti i suoi difetti (l’insicurezza nelle dichiarazioni, la rigidità, l’incapacità di leggere le reali esigenze della città) ma stavolta in grado di rimanere “a barra dritta” anche nel momento più cupo. Con stampa e opposizione, sia interna che esterna al Pd, scatenate (un’accusa di stupro al posto dei rimborsi ottenuti attraverso ricevute false) e la città vittima di una vera e propria “apocalisse” (scioperi dei trasporti, rivolte delle periferie e centro storico sommerso dall’immondizia). Ad aiutarlo c’è Adriano Polimeni, ex senatore messo in disparte dalla spregiudicata gestione “rottamatoria” della giovane e spregiudicata deputata Chiara Visone dopo aver preparato una dura relazione sullo stato dei circoli del partito in città (tesseramenti falsi ecc.). A sua volta, supportato da un amico di gioventù – padre Giovanni Darè – nominato direttamente da papa Francesco Responsabile Unico del Giubileo. Insomma, Bonini e De Cataldo raccontano di una auspicabile santa alleanza fra gli incorruttibili in grado di tenere testa alla Roma dei palazzinari, della mafia e dei criminali. E la raccontano, come al solito, bene. Con un ritmo serrato, con dei registri ben strutturati e con la solita metodica precisione.
Ma invece di rimanere con successo nei confini del giallo, del thriller, gli autori la contaminano con una morale evidentemente anti-renziana, superficiale e di conseguenza inutile ai fini della storia. Quindi, Chiara Visone sembra tanto la Boschi, contro cui si scagliano le vecchie glorie (molto poco glorie, peraltro) della sinistra. E il partito del Nazareno sembra tanto quello contro cui si scagliano i supporter più accesi di marino. Sconfinano nella sfacciata marchetta citando un ristorante della Garbatella (nome, zona, specialità…manca solo il prezzo e il numero per prenotare) e, tra una sbandata radical-chic e l’altra, finiscono per confondere “account” con “hashtag” nella descrizione delle modalità di consultazione online del M5s.
Però La notte di Roma è un thriller, non un trattato politico. Perciò non credo che, senza il precedente inequivocabilmente profetico di Suburra (ne scrivevo qui), avrebbe meritato molta considerazione.