Torino-Roma 1-1. Sugli eufemismi, sui sofismi e sui purismi.

Un brutto risultato, per usare un eufemismo. Figura retorica abituale nella descrizione delle partite della Roma, per sostituire (per scrupolo sociale, per riguardo morale o – molto spesso – per semplice amor proprio) una altisonante raffica di madonne con affermazioni più attenuate.

E un brutto risultato è stato, quello di ieri. E’ vero. Ma che, nonostante abbia le sembianze di una prestazione tatticamente soporifera, tecnicamente scialba e caratterialmente opaca, non può non essere attribuito ad un inconfutabile scempio arbitrale. A volersi produrre in un inequivocabile sofismo. A voler difendere, con un ragionamento cavilloso e capzioso, ma dall’apparenza coerente, l’inesorabile trascinarsi di una squadra senz’anima. Sopravvalutata e, cosa ancor più grave, sopravvalutatasi.

Ma il risultato di Torino è anche l’ineludibile maschera tragica della Roma. Destino, dicono. Purismo, dico io. Atteggiamento che sovrasta, rifiuta e condanna senza scampo ogni tentativo di scrivere una storia diversa. Dottrina intransigente, che elabora l’ambizione in strisciante minaccia per una rassicurante soccombente integrità. E che ci consegna alla tradizionale sconfitta come fosse una ineluttabile necessità.

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