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LDAPOST della domenica. Roma-Cagliari 2-0. Ridateme Zeman!

E’ bastato un attimo per far tornare alla mente vecchi (manco troppo) ricordi.

E no, non c’entrano niente le sigarette di Zeman né l’ostinata fedeltà dei seguaci del “maestro” (coi relativi “4-3-3 sbroccopetté” e i pirotecnici 4-5 in casa). Stavolta basta la sintetica comunicazione delle formazioni che sarebbero scese in campo. Perchè all’annuncio del debutto in Serie A nel Cagliari del ventenne portiere Alessio Cragno, la mente corre al pareggio dell’anno scorso e alle parate di Avramov, mentre le mani – per conseguenza diretta – corrono ad alleviare il basso ventre da fastidioso (quanto improvviso) prurito.

Al calcio d’inizio il Cagliari del maestro boemo si schiera tutto sulla linea di metà campo. Schema che, da una vita, dovrebbe scatenare subito una spavalda proiezione offensiva. Ma che (dalla stessa vita) produce sempre lo stesso risultato: contropiede fulminante degli avversari dopo neanche 3 secondi di gioco. L’ultimo passaggio però capita sui piedi Florenzi, che spara in tribuna il primo cross della partita. Dopo poco pure il secondo.

La Roma corre, triangola e verticalizza. Il tutto a mille a l’ora. Il Cagliari dovrebbe correre, dovrebbe verticalizzare e dovrebbe triangolare. Ma Joao Pedro non è Di Biagio, Farias non è Signori e, soprattutto, Avelar non è Candela. Infatti al terzo tentativo il cross di Florenzi è perfetto per Destro. 1-0.

Zeman, come sempre, è una sfinge. Anche il Cagliari. Nel senso che è immobile come il colossale monumento egizio. La Roma invece, no. Florenzi ancora meno: 2-0. E tanto je stava stretto il campo all’esterno della Roma, che corre pure in tribuna ad abbraccià la nonna.

Il primo tempo, quindi, si chiude al 13’. Il resto è solo accademia. Keita arpiona palloni e fa giravolte come fosse il miglior Pizarro, Florenzi (ormai in evidente delirio trequartistico) scucchiaia alla Totti e stoppa di tacco alla Cassano, Yanga Mbiwa anticipa e spazza come fosse Samuel e Cole azzecca diagonali come fosse, semplicemente, vivo.

Tanto gioca sul velluto la Roma nella parte finale del primo tempo quanto l’inizio del secondo si connota per una noia e una approssimazione tecnica degna di una partita di centro classifica della Lega Pro.

Destro esce per Pjanic, e s’incazza.

Florenzi esce per Ljajic, e s’incazza. S’incazza Ljajic, intendo. Almeno questo traspare dallo sguardo del serbo che probabilmente, vista la calura del pomeriggio, avrebbe preferito continuare a fasse ‘na pennica in panchina.

La prima azione degna di nota del secondo tempo arriva al 28esimo, e Gervinho la conclude mangiandosi un goal che “meno male che stava in fuorigioco sennò sai le madonne”. Che poi, dopo domenica, l’ivoriano è un tema spinoso. E’ una questione delicata. Perché per quanto uno per rispetto e sensibilità voglia sorvolare sulle implicazioni psicologiche della calvizie, bisogna pur dire che la pelata e il complicatissimo sistema di riporti svelati dalla caduta della fascia, fanno sembrare il tupè di Conte una soluzione dignitosa e la cresta di Nainggolan una pettinatura classica.

A riprova dell’utilità della tournèe negli USA in fase di preparazione e della straripante condizione fisica che ne deriva, con un solo cambio a disposizione chiedono di uscire nell’ordine: Maicon, Keita, Cole e De Rossi. La spunta quest’ultimo, che ferma il gioco e, zoppicando, si accomoda in panchina. Se continua così a Manchester tra una settimana ci mandiamo direttamente la primavera. Comunque, abituata a rimaneggiamenti di moduli e di posizioni da ultimo quarto d’ora, la Roma non si scompone neanche con Emanuelson in campo e continua a gestire.

Massimo risultato col minimo sforzo. A ‘sto punto sì, si può dire: ridateme Zeman. Ridatemelo mercoledì sulla panchina del Parma, ad esempio.

LDAPOST della domenica. Empoli-Roma 0-1. Che fatica.

Oltre a sospetto, insicurezza e timore di imminente fregatura, sensazioni tipiche delle trasferte contro provinciali neopromosse (partite che, tra l’altro, in qualsiasi campionato europeo un qualsiasi tifoso di qualsiasi squadra di vertice considererebbe come “passeggiate di salute”), il fischio d’inizio è funestato da tre considerazioni:

1) L’anticipo di sabato alle 18 porta sfiga. Che poi, a ben vedere, non so nemmeno da quale fantomatica statistica ho tratto questa considerazione, ma tant’è. Per me, porta sfiga.

2) Il campo dell’Empoli è tagliato in due dall’ombra della tribuna. Ergo, almeno per la prima mezz’ora, non si vedrà una mazza e si capirà ancora meno.

3) Sarri, l’allenatore dell’Empoli, dopo tanta gavetta nelle serie minori debutta in casa in serie A e celebra l’occasione presentandosi in campo in tuta e maglietta griffata EMP – bottoncini aperti della polo – OLI. Look tanto discutibile quanto tipico dello sconosciuto che – se ci va bene – ci inchioda sul pareggio.

Con queste gioiose premesse, si comincia.

L’asse sinistra Cole-Ljiaic fa di tutto per trasformare un tiepido pomeriggio di settembre in una gelata notte invernale causando, a ogni movimento sbagliato, brividi da tempesta di neve. Facendo prendere, pallone perso dopo pallone buttato, a quell’insicurezza iniziale le sembianze di una ineluttabile certezza.

L’Empoli comincia spavaldo. Palleggiando di prima a mille all’ora come neanche il Barcellona dei tempi d’oro. Per 13 interminabili minuti. Dopodiché si prende una pausa e, siccome è in Serie A e non nella Liga, comincia a randellare. La Roma è lenta, impacciata e troppo bassa. Nainggolan (evidentemente il più in forma) sembra quello piu’ “sul pezzo”. Resosi presto conto che, con Cole dietro e Ljiaic davanti, si sarebbe dovuto caricare sulle spalle tutto il peso della fascia sinistra, invece di perdere tempo e energie in ricami e finezze spara palloni verso Florenzi (a mezz’altezza, alti, bassi, foti, lenti insomma, tutto fuorché giocabili) costringendolo a rincorse miracolose, piroette, tiri al volo che neanche alla Playstation.

Oh, nel frattempo non ci facciamo mancare un palo di Maicon da 20 cm. Centimetri, non è un refuso. Sulla ribattuta un difensore dell’Empoli si traveste da portiere e, di fatto, si candida a prendere il posto di Sepe dalla prossima partita. Aggiungiamoci che il “Castellani” di Empoli s’era improvvisamente trasformato nell’Aly Sami Yen di Istanbul con relativa scomparsa del pallone ad ogni fallo laterale, ed ecco che i rodimenti di culo per questo primo tempo sono già abbondantemente serviti.

Se non fosse che proprio a tempo scaduto, avendo evidentemente notato la dea della sfiga calcistica correre al bar per ordinare un Borghetti, Nainggolan lascia partire da fuori area una scarpata rimbalzante che come unico (ma inestimabile) pregio ha quello di carambolare sul palo e poi sulla schiena di Sepe. 1-0.

I primi minuti del secondo tempo sembrano far sperare in una Roma più presente. Infatti dopo una bella azione e una discesa prepotente, Maicon spreca un’occasione nell’area piccola tirando sul portiere con un tocco improbabile.

Fine. Nel senso che la Roma finisce lì. Destro non struscia una palla. De Rossi rispolvera il suo “lancio-centrale-da-metà-campo-a-cazzo-di-cane”. Pjanic sparisce dal campo.

L’Empoli, pur facendo i conti con una povertà tecnica imbarazzante, si fa spavaldo. In campo entrano solo giocatori col cognome zeppo di K, J e Z, per risvegliare con fascini internazionali la sonnolenta provincia toscana. Mchedlidze chiede un rigore per un contatto con Manolas. Che magari ci poteva pure stare, ma la faccia di Sarri che protesta gesticolando con la verve di un ottuagenario al torneo di Natale della bocciofila fa perdere di credibilità a qualsiasi rivendicazione.

Noi continuiamo a non ripartire mai ,e Garcia si gioca al carta Gervinho. Anche lui, per non mancare di rispetto ai suoi colleghi di reparto, non struscia una palla. Fino al 94esimo, quando taglia tutto il campo in diagonale costringendo Gervasoni a fischiare la fine per impedirgli di imboccare l’autostrada saltando il casello con tutto il pallone.

Che fatica, però. Veramente troppa fatica, perché – così, a occhio – il CSKA e almeno 18/20 della Serie A sono molto più forti dell’Empoli.

LDAPOST a ritmo di samba. #Brasil2014 – Dopo una settimana.

Dunque, uno non puo manco anda in vacanza na settimana che si ritrova il mondiale già agli ottavi di finale. LItalia è fuori. E vabbè, direi che ce ne siamo fatti na ragione in breve tempo. Meno facile da “digerire” è la pochezza del Brasile. Un Brasile al contrario, si potrebbe dire: duro in difesa, noioso a centrocampo, stitico in attacco. Neymar a parte, ma il giovanotto (che cade a ogni soffio di vento) è comunque iper tutelato dagli arbitri. Però dopo il colpo di culo col Cile (raramente sè  vista una serie di rigori così tecnicamente penosa), è ragionevole considerarlo già Campione del Mondo. LArgentina è lopposto: ha un attacco che solo a leggere i nomi dovrebbe sta’ 1-0. Ma poi, se Messi non tira fuori il coniglio dal cilindro al 90esimo, avrebbe pareggiato con lIran. Olanda  e Francia sono tra le poche a proporre unidea di gioco, oltre a una straordinaria condizione fisica. Ma se le prestazioni dellOlanda erano previste, i Blues sono una sorpresa. Una sorpresa antipatica, come lallenatore. E poi cè la Germania. Brutta, cattiva e solida. Come sempre, perchè in fondo il calcio è uno sport semplice: si gioca in undici contro undici, e alla fine vincono i tedeschi (cit. Gary Lineker).

LDAPOST a ritmo di samba. #Brasil2014 – Italia-Costarica 0-1.

La sconfitta di misura con la Costarica ci permette di giocare contro l’Uruguay per 2 risultati su 3. Se non ci fossero le televisioni, internet, i computer, le radio, i social network, e se le notizie dal Brasile arrivassero con la velocità della marina mercantile di inizio XX secolo, si potrebbe essere ottimisti. Invece…

Abate è un giocatore modesto, reduce da un campionato pessimo. Per far posto a lui viene spostato Darmian e messo Chiellini a dirigere la difesa a quattro. Cosa che Conte (che da tre anni lo allena tutti i giorni) si guarda bene dal fare. Ma vabbè… Assodato questo, ricordare che Chiellini & Barzagli sono campioni d’Italia rende meravigliosamente bene l’idea del livello di competitività raggiunto dalla Serie A.

A centrocampo Verratti cede il posto a Thiago Motta. L’errore che si sublima in orrore. Visto che il giovane centrocampista del Psg non è stato in grado di velocizzare il gioco e garantire con continuità palloni per gli inserimenti (presunti) dei compagni, è  sostituito da uno che, ormai, ha la stessa mobilità dei busti del Gianicolo. Con tutto il rispetto per la memoria dei Garibaldini. Lentezza per Immobilità. L’Italia non fa calcio, fa filosofia.

Balotelli è un solista. Ha bisogno di un gruppo che giri attorno a lui, che lo supporti nei movimenti (sporadici) e ne sopporti le pause (lunghe). Ha bisogno di una squadra che abbia un’impronta di gioco a prescindere da lui, di un’orchestra che suoni melodie su cui poi lui possa fare gli assoli vincenti. Perciò ha esattamente bisogno di quello che l’Italia non è: una squadra con delle idee.

E le convocazioni non permettono cambiamenti significati alla mediocre impronta del CT. A questa nazionale mancano “le statistiche”, i numeri. Non mancano solo i giocatori, mancano le carriere dei giocatori. Mancano i palmares. Per dire, le ultime scelte per l’attacco Campione del Mondo 2006 erano Vincenzo Iaquinta e Pippo Inzaghi. No dico, Pippo Inzaghi.

Nella gestione della partita, poi, Prandelli m’ha ricordato Carlos Bianchi. Ovviamente quello del periodo romano, non quello del Boca. Quello che voleva vende’ Totti alla Sampdoria per prendere Litmanen, quello che dopo ogni ogni goal subito faceva entrare un attaccante (a caso) ogni dieci minuti. Perciò dentro Cassano, Insigne e Cerci: Cassano si eclissa subito nel lato di campo all’ombra, Insigne rimane al sole ma inciampa, Cerci proprio non struscia una palla. Intanto Immobile, il capocannoniere del campionato (questo, per carità, non ne fa un nuovo Gerd Muller ma che c***o!) ammuffisce in panchina. Destro e Giuseppe Rossi stanno proprio a casa, davanti al televisore.

L’attacco è di merda, ma in quanto a comportamenti etici non ci frega nessuno.

Oh, peccato che Tabarez non si sia mai neanche sognato di escludere Suarez per i suoi rozzi comportamenti razzisti. Eppure nonostante tutto, se facciamo gli italiani e martedì li inchiodiamo sul pareggio, passiamo il turno. Con gli stessi punti di Usa ’94. Occhio, farebbero bene a cominciare a temerci.

LDAPOST a ritmo di samba. #Brasil2014 – giornata 3: Italia-Inghilterra 2-1.

Il debutto.

Il morale è alto, il divano è pronto, le birre sono ghiacciate.

L’orario è improbo, il tasso di umidità previsto sul campo fa sudare pure davanti al televisore.

La formazione lascia perplessi. Infatti “Pronti, via!” e la difesa fa ridere. Chiellini terzino sinistro è un abominio tattico, Paletta è un abominio tricologico. Per una nazionale che ha sempre fondato i risultati migliori sulla tenuta difensiva, come inizio non c’è male.

Il centrocampo con il doppio regista è di una lentezza esasperante, oltre che assolutamente inutile se non si prevedono esterni da mandare in profondità (ma su questo bisogna rassegnarsi e rimettersi alle tattiche eticamente di Padre Prandelli). Le fasce sono proprietà indiscussa di Welbeck e Sturridge, Balotelli è talmente abbandonato in attacco da far sembrare la sua presenza come l’obbligata obbedienza alle ferre regole del fantacalcio. Della serie: “un attaccante almeno devo metterlo, sennò becco la riserva d’ufficio”.

Perfetto,  dunque. Lenti, impacciati e senza idee: è la nostra partita. E infatti, schema su calcio d’angolo, tiro da fuori e 1-0. Fantastico! Campioni del Mondo! Attimi meravigliosi. Attimi, proprio. Perchè bastano due minuti all’Inghilterra dell’attonito Hodgson per pareggiare.

Ma comunque a ‘sto punto è fatta. Le convinzioni di Rooney e compagni si schiantano sul più classico dei muri difensivi. Stinchi, malleoli e cosce diventano i più insormontabili degli ostacoli. Si tratta solo di cercare il modo per colpire. Scegliamo un vecchio classico: cross da destra, colpo di testa, 2-1.

Andrà come andrà, ma c’è poco da fare: il calcio è “The Italian Job”.