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Franco Maccari, segretario generale del Coisp, ha denunciato per “vilipendio dell’immagine della Polizia di stato” Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, morto nel 2009 in ospedale durante la custodia cautelare), Lucia Uva (sorella di Giuseppe, morto nel 2008 dopo un fermo dei carabinieri), e Domenica Ferrulli (figlia di Michele, morto nel 2011 durante l’arresto). Sia detto per inciso, poi, che il Coisp è quel sindacato che, nel marzo del 2013, manifestò in favore degli agenti condannati per la morte di Federico Aldrovandi (sotto gli uffici del comune di Ferrara dove lavora la mamma di Federico, Patrizia Moretti).
Che sia chiaro al Sig. Maccari e al Coisp che questi atteggiamenti arroganti e provocatori verso i parenti dei ragazzi morti offendono e feriscono tutti. Ma non spaventano nessuno.
Ha scritto Ilaria Cucchi sull’Huffington Post. “Sono indagata per aver reclamato verità e giustizia per la morte di Federico, di Michele, di Giuseppe, di Dino e di tanti altri morti di stato. Sono indagata per essermi ribellata alla mistificazione ed alle infamanti menzogne sulla morte di mio fratello. Io non mi fermerò, mai. Non avrò pace fino a quando non avrò ottenuto giustizia. […] Queste morti offendono la polizia, questo è sicuro. Offendono lo stato. Questo è altrettanto sicuro. Offendono tutti”.
#chihauccisostefanocucchi?
Tutto risponde a ferree regole logico-matematiche. Tutto. Anche quello che sembra sfuggire, che sembra imponderabile e ingovernabile. Anche il calcio. Solo che, parlando di calcio, la codificazione dei concetti intuitivi di dimostrazione e computazione come modelli matematici è studio piu’ affine a filosofi del pessimismo metafisico che a tifosi della Roma.
Perché come conseguenza logica dei pareggi di Juve e Napoli c’era da aspettarsi una squadra talmente cattiva, affamata e assatanata, che appena scesa in campo se sarebbe magnata gli avversari, il campo e Verona co’ tutta l’Arena. Ma siccome pur sempre della Roma stamo a parla’, non bisogna mai dimenticare che, tinta di giallorosso, la logica si compone di regole e dimostrazioni differenti. E quindi, altrettanto logicamente, quella che sfida il Verona è la copia sbiadita, senza idee e senza mordente, della Roma vista finora. Perché con una squadra chiusa, spigolosa, indisponente e antipatica tanto quanto il suo allenatore, rinunciare contemporaneamente all’acciaccato Pjanic e a Totti è idea così priva di fondamento tattico, da non poter non diventare allettante anche per il pragmatico Garcia. Così la manovra del primo tempo risulta talmente sterile da mettere De Rossi nelle condizioni di dover dettare l’ultimo passaggio. Con i risultati indisponenti e indecenti di vedere gli attaccanti serviti con la palla sui piedi quando hanno gli avversari attaccati pure alle mutande, oppure lanciati in velocità contro la difesa avversaria perfettamente schierata e in vantaggio. Insomma, risultati tali da far venire le madonne a un monaco tibetano, figurateve a me (che della logica non ho mai fatto la bandiera di una vita, ma che cazzo…). Resosi conto, dopo 45′ di tentativi vani, che di meglio non avrebbe ottenuto, contro ogni logica tattica, alla fine del primo tempo Gervinho ha acceso il turbo e si è lanciato verso il fondo inseguito da 6 uomini. Cross, tocco di Ljajic, gol. 1-0. Tutto così logicamente semplice da far temere la fregatura. E infatti altrettanto logica e’ la scarpata islandese che riporta le squadre in parità e ogni madonna al suo posto.
La botta è pesante. Soprattutto se l’insulso orario della partita ti costringe a vedere, all’ora di pranzo, la smodata esultanza di Mandorlini e la sua faccia da cianciatore emulo di Delio Rossi. Simpatico, l’allenatore del Verona, quanto una colica renale il giorno prima della partenza per le vacanze. Ma e’ anche una botta talmente forte da svegliare l’assopito Garcia, che di colpo si accorge di come Nainggolan ieri fosse stato colpito dalla stessa malattia di Bradley. No, non la calvizie. Ma il fatto che tra tentativi di giravolte alla Pizarro, finte alla Denilson e lanci alla Cruijff, non azzeccava un passaggio neanche in orizzontale a tre metri. Quindi, per quanto tardivo, l’ingresso di Pjanic risultava essere l’unico tentativo logico attuabile per sbloccare la partita.
E la mossa del tecnico giallorosso si scolpisce immoralmente nei manuali universitari di scienze matematiche sotto la formula Pjanic : goal = lazio : merda. Perchè, neanche il tempo per il bosniaco di fare due passi in campo che Gervinho, dopo un’accelerazione da fermo e un dribbling secco, sceglie la soluzione piu logica tra tutte le illogiche che la sua approssimazione spesso ci propone: tiro secco e rasoterra. 1-2 e tanti saluti a Mandorlini. Comunque, fedele alle sue caratteristiche, i successivi tentativi dell’ivoriano tornano a prendere forma di “inciampi”, scivolate, spizzate, tentativi di stop con le parti basse che lo riportano subito nell’Olimpo dei supereroi delle cagate.
Nel frattempo, sotto di un gol, entusiasmato dal manto verde del campo di gioco, l’animo padano di Mandorlini suona la carica. E l’Hellas, fedele, risponde cominciando a colpire qualsiasi stinco giallorosso situato nelle vicinanze (neanche troppo immediate) del pallone. Il grido “padania libera” diventa ancora piu’ forte quando sul campo entra Totti. Simbolo di romanità. Ma anche di tecnica sopraffina, senso del gol e attitudine al passaggio illuminante. Tutti termini che Mandorlini dovrebbe aver letto nei libri sul calcio, prima di bollarli come zeppe per il tavolo in ottemperanza alle linee di politica culturale dettate dal neoleader Salvini. Solo che se scegli di usare come contromossa tattica calci, sgambetti e spinte come Bossi usava i proclami “all’imbracciare i fucili” come dichiarazione politica, logica vuole che in area l’arbitro fischi rigore. 1-3.
E adesso resta solo da capire dove stamo. Perché, a rigor di logica, stamo a +6, ma pure a -6.
Per fare calcio in Italia ci vuole serietà. Non si improvvisa niente.
Ci vuole una struttura societaria organizzata. Uno staff tecnico preparato e seriamente motivato a raggiungere, passo dopo passo, obiettivi in linea con le aspettative della presidenza. Ci vuole un gruppo di giocatori adatti alle ambizioni della piazza.
Ci vogliono anche i tifosi. Ci vuole l’ambiente.
Il Livorno ha tutto questo. Ha una società – particolarmente il presidente – seriamente impegnata a indebolire progressivamente una rosa di giocatori già disastrata in partenza. Ha uno staff tecnico preparato a raggiungere l’obiettivo stagionale: una retrocessione quanto più rapida possibile. E nell’ottica di un continuo miglioramento il povero Davide Nicola (colpevole di aver raggranellato qualche misero puntarello che metteva a repentaglio la certezza dell’obiettivo) è stato sostituito con Attilio Perotti da Bagnolo Mella. Specialista in disastri, fallimenti e retrocessioni. E infatti uomo di fiducia di Spinelli fin dai tempi del Genoa.
Ma, soprattutto, ha una rosa “di categoria”. Nel senso che è di categoria inferiore. A prescindere da quale sia il metro di paragone. Una rosa di scarpari e di rosiconi, dove il tasso tecnico è elevato da Leandro Greco. Ex giallorosso ricordato essenzialmente per essere riusciti a cederlo per una volta senza rimanere imprigionati in sontuosi rinnovi contrattuali da “core de Roma”.
Ora, davanti a un avversario di tal guisa era giusto approcciare alla partita con concentrazione e determinazione. E anche con la giusta dose di cattiveria agonistica, nonostante il ravvicinato incontro di Coppa Italia con la Juve. Anche perchè di fregature ne abbiamo prese fin troppe e Venezia, Piacenza, Lecce, Bari, Empoli sono ricordi sempre vivi.
Troppa cattiveria, però. Troppa. Sarebbe bastato solo lo sguardo di Strootman, dopo il primo contrasto eccessivamente ruvido di un indistinto manovale di centrocampo schierato dal Perotti, a far scappare almeno sette undicesimi degli amaranto. E a convincere i quattro impavidi rimanenti a menasse da soli pur di sfuggire alle ire dell’olandere. Così il previdente Bardi (che comunque qualche numero ce l’ha), resosi conto dell’immane tiro al bersaglio al quale sarebbe stato esposto dai coraggiosi compagni di squadra, saggiamente decide di alzare le mani e arrendersi subito. Nonostante, ovviamente, Gervinho faccia di tutto per tenergli alto il morale. Mollto meno disposto a tendere una mano allo sfortunato rivale si è dimostrato Destro. Crudele Strootman. Senza cuore Ljajic.
Certo, se questo è quello che fornisce la Seria A, è davvero difficile pensare che la Juve possa interrompere il filotto di vittorie. D’altronde, se questo è il livello del Livorno, figuriamoci quello della Lazio.
Parlare di riforme con Berlusconi è sempre un rischio. Non c’è dubbio, e sarebbe miope (oltre che stupido) non dirlo ora. Lo testimonia la storia politica degli ultimi vent’anni. Lo testimoniano i risultati ottenuti dai tentativi, piu’ o meno ufficiali, di D’Alema, Veltroni, Bersani. Perchè Berlusconi è uno squalo, vero. Perchè Berlusconi non guarda in faccia a nessuno (figuriamoci al paese) quando si tratta di tutelare la sua persona e i suoi interessi. Ma anche perchè, chi fino a ieri ha trattato con Berlusconi, lo ha fatto cosciente di come fosse la stessa “presenza” del Cavaliere a garantirgli l’esistenza (e persistenza) sul palcoscenico della sinistra italiana. Sarebbe altrettanto miope (e stupido) “dimenticarsene” ora.
Ma “trattare” e “discutere” non sono sinonimi. E per fare una riforma della legge elettorale non si puo’ non consultare il leader del secondo (secondo?) partito in Italia. Ma è un pregiudicato. Si. Ma è privo di morale. Si. Ma è privo di senso dello stato. Si. Ma finchè i suoi voti sono gli stessi del Pd (un pugno in meno o un pugno in piu’) c’è poco da fare, è (anche) con lui che bisogna discutere.
Renzi, pero’, ha “affrontato” la situazione chiamando Forza Italia alla discussione sulle proposte del Pd, senza quella subalternità che hanno dimostrato negli anni i leader-maximi vari. I risultati li vedremo a breve. E su quelli si dovrà discutere. E quelli, se sarà il caso, si dovranno criticare. Il resto sono solo le solite chiacchiere della solita pseudosinistra. Quella che, peraltro, con Berlusconi ci è andata a braccetto in Bicamerale. Ci ha votato la fiducia la governo Monti. E ci ha sostenuto il governo Letta.
PS: Stefano Fassina ha dichiarato “da militante mi sono vergognato per lincontro”. A Ste’, mai quanto me. Di te.