Tutto risponde a ferree regole logico-matematiche. Tutto. Anche quello che sembra sfuggire, che sembra imponderabile e ingovernabile. Anche il calcio. Solo che, parlando di calcio, la codificazione dei concetti intuitivi di dimostrazione e computazione come modelli matematici è studio piu’ affine a filosofi del pessimismo metafisico che a tifosi della Roma.
Perché come conseguenza logica dei pareggi di Juve e Napoli c’era da aspettarsi una squadra talmente cattiva, affamata e assatanata, che appena scesa in campo se sarebbe magnata gli avversari, il campo e Verona co’ tutta l’Arena. Ma siccome pur sempre della Roma stamo a parla’, non bisogna mai dimenticare che, tinta di giallorosso, la logica si compone di regole e dimostrazioni differenti. E quindi, altrettanto logicamente, quella che sfida il Verona è la copia sbiadita, senza idee e senza mordente, della Roma vista finora. Perché con una squadra chiusa, spigolosa, indisponente e antipatica tanto quanto il suo allenatore, rinunciare contemporaneamente all’acciaccato Pjanic e a Totti è idea così priva di fondamento tattico, da non poter non diventare allettante anche per il pragmatico Garcia. Così la manovra del primo tempo risulta talmente sterile da mettere De Rossi nelle condizioni di dover dettare l’ultimo passaggio. Con i risultati indisponenti e indecenti di vedere gli attaccanti serviti con la palla sui piedi quando hanno gli avversari attaccati pure alle mutande, oppure lanciati in velocità contro la difesa avversaria perfettamente schierata e in vantaggio. Insomma, risultati tali da far venire le madonne a un monaco tibetano, figurateve a me (che della logica non ho mai fatto la bandiera di una vita, ma che cazzo…). Resosi conto, dopo 45′ di tentativi vani, che di meglio non avrebbe ottenuto, contro ogni logica tattica, alla fine del primo tempo Gervinho ha acceso il turbo e si è lanciato verso il fondo inseguito da 6 uomini. Cross, tocco di Ljajic, gol. 1-0. Tutto così logicamente semplice da far temere la fregatura. E infatti altrettanto logica e’ la scarpata islandese che riporta le squadre in parità e ogni madonna al suo posto.
La botta è pesante. Soprattutto se l’insulso orario della partita ti costringe a vedere, all’ora di pranzo, la smodata esultanza di Mandorlini e la sua faccia da cianciatore emulo di Delio Rossi. Simpatico, l’allenatore del Verona, quanto una colica renale il giorno prima della partenza per le vacanze. Ma e’ anche una botta talmente forte da svegliare l’assopito Garcia, che di colpo si accorge di come Nainggolan ieri fosse stato colpito dalla stessa malattia di Bradley. No, non la calvizie. Ma il fatto che tra tentativi di giravolte alla Pizarro, finte alla Denilson e lanci alla Cruijff, non azzeccava un passaggio neanche in orizzontale a tre metri. Quindi, per quanto tardivo, l’ingresso di Pjanic risultava essere l’unico tentativo logico attuabile per sbloccare la partita.
E la mossa del tecnico giallorosso si scolpisce immoralmente nei manuali universitari di scienze matematiche sotto la formula Pjanic : goal = lazio : merda. Perchè, neanche il tempo per il bosniaco di fare due passi in campo che Gervinho, dopo un’accelerazione da fermo e un dribbling secco, sceglie la soluzione piu logica tra tutte le illogiche che la sua approssimazione spesso ci propone: tiro secco e rasoterra. 1-2 e tanti saluti a Mandorlini. Comunque, fedele alle sue caratteristiche, i successivi tentativi dell’ivoriano tornano a prendere forma di “inciampi”, scivolate, spizzate, tentativi di stop con le parti basse che lo riportano subito nell’Olimpo dei supereroi delle cagate.
Nel frattempo, sotto di un gol, entusiasmato dal manto verde del campo di gioco, l’animo padano di Mandorlini suona la carica. E l’Hellas, fedele, risponde cominciando a colpire qualsiasi stinco giallorosso situato nelle vicinanze (neanche troppo immediate) del pallone. Il grido “padania libera” diventa ancora piu’ forte quando sul campo entra Totti. Simbolo di romanità. Ma anche di tecnica sopraffina, senso del gol e attitudine al passaggio illuminante. Tutti termini che Mandorlini dovrebbe aver letto nei libri sul calcio, prima di bollarli come zeppe per il tavolo in ottemperanza alle linee di politica culturale dettate dal neoleader Salvini. Solo che se scegli di usare come contromossa tattica calci, sgambetti e spinte come Bossi usava i proclami “all’imbracciare i fucili” come dichiarazione politica, logica vuole che in area l’arbitro fischi rigore. 1-3.
E adesso resta solo da capire dove stamo. Perché, a rigor di logica, stamo a +6, ma pure a -6.