Archivi categoria: riflessioni a voce alta

Sindaco Marino, sulla cultura io ti sfido. Cominciamo a fare sul serio?

Da un paio di settimane tutti si sono accorti che a Roma manca l’Assessore alla Cultura. Se ne sono accorti i politici, i burocrati, i giornalisti e gli intellettuali. Io no. Io me ne ero accorto già da tempo. E non dal 26 maggio, quando Flavia Barca ha rassegnato le dimissioni, perché chi lavora e fa impresa in questo settore non ha bisogno “dell’Assessore” ma delle politiche culturali. E quelle mancavano già..

Bene, comunque. Per sperare in una soluzione positiva è importante che la questione sia di dominio pubblico, e non solo all’attenzione degli addetti ai lavori o degli appassionati. Ovviamente l’articolo di Francesco Merlo su “la Repubblica” del 26 giugno, una descrizione impietosa dello sfacelo del settore a Roma, ha fatto da cassa di risonanza. E non ha placato le polemiche la risposta del sindaco Marino nell’intervista del giorno seguente (sempre su “la Repubblica”): emblema di quanto la questione sia sottovalutata (dalla Giunta, dal Pd romano e dalla politica in generale).

Ne ho scritto e parlato tante volte. E tante volte ho visto le parole, le proposte, le considerazioni, rimbalzare contro il muro alzato da quell’intelligencija radical-chic che, sotto la cappella della parola “cultura”, si garantisce ruoli e visibilità pur non essendo in grado di affrontare il fallimento del Macro, lo spreco del Maxxi, la crisi del Cinema, gli abusi sull’Appia antica e chi più ne ha più ne metta.

La stessa intelligencija che, spingendo e sgomitando, cerca un posto in prima fila nella “caccia” al nuovo Assessore. Proponendo nomi e ruoli, curriculum, pubblicazioni, ricerche e blasoni. Ma senza parlare mai – mai! – di contenuti.

Solo che questo non è più il momento delle teorie. Degli intellettuali col curriculum studiorum talmente vasto da coprire la mancanza di una strategia definita. Non è più il momento dei “professionisti delle giustificazioni”, di chi – neanche insediato – sia già trincerato dietro la consueta scusa della mancanza di fondi.

E’ il momento della preparazione e delle idee. Di chi è in grado di usare i (pochi) soldi che ci sono, facendo in modo che sia proprio il settore stesso – la Cultura stessa – a generare altre ricchezze: occupazione, indotto, sicurezza, sviluppo del territorio, inclusione sociale e diffusione della conoscenza.

E’ il momento, quindi, che il Sindaco faccia davvero l’Alieno e affidi la ricostruzione della Cultura a Roma a un Manager. Non ad un professionista della poltrona. Non ad un dirigente del Comune. Non ad un “ex” di qualche Ente, Fondazione o (peggio ancora) Azienda in House. La affidi a chi, riconosciute le falle e individuate le potenzialità del settore non abbia paura di sporcarsi la camicia mettendoci le mani. Che non deleghi, ma non rimandi. Che tuteli, garantisca e renda efficace la funzione del “Pubblico”, ma sia allo stesso tempo in grado di creare un sistema in cui il “Privato” sia attore protagonista. Alleato e non nemico.

Su questo “sfido” il Sindaco ad un confronto schietto, aperto, serrato. E con lui il ventaglio di nomi che rimbalzano sui siti e sui giornali. Perché non si tratta solo di trovare un Assessore, ma di scegliere quale politica culturale sia migliore per Roma. Di scegliere se “riavviare il sistema” o continuare a sopportare i programmi “impallati”.

Per questo ho individuato 5 punti da cui il nuovo Assessore potrebbe partire per imprimere (in tempi brevissimi) quel primo “cambio di verso” che molti (diciamo la verità, praticamente tutti) auspicano.

– Valorizzazione del Patrimonio Monumentale cittadino (storico-artistico e storico archeologico) e degli spazi culturali (Cinema, Teatri, ecc.).

– Riforma della struttura dei “Musei in Comune”

– Riforma delle funzioni di Zètema (e non – a scanso di equivoci – abolizione, perché il Comune deve avere un braccio operativo) e ripristino della centralità della Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali.

– Tutela e riorganizzazione delle Biblioteche di Roma.

– Creazione di un sistema di valorizzazione e promozione delle eccellenze (scuole, aziende, associazioni) dei comparti musicale e cinematografico.

Se, oltre ai titoli, al Sindaco interessano anche i contenuti, le tempistiche, i costi e i risultati, io sono qui.

Allora, cominciamo a fare sul serio?

25 Aprile.

M’è tornata in mente questa filastrocca di Gianni Rodari.

Che non è esattamente sul 25 Aprile, ma che – per me – ne parla più di tanti ampollosi discorsi.

“O fattorino in bicicletta
dove corri con tanta fretta?”
“Corro a portare una lettera espresso
arrivata proprio adesso”.
“O fattorino, corri diritto,
nell’espresso cosa c’è scritto?”
“C’è scritto – Mamma non stare in pena
se non ritorno per la cena,
in prigione mi hanno messo
perchè sui muri ho scritto col gesso.
Con un pezzetto di gesso in mano
quel che scrivevo era buon italiano,
ho scritto sui muri della città
“Vogliamo pace e libertà”.
Ma di una cosa mi rammento,
che sull’ -a- non ho messo l’accento.
Perciò ti prego per favore,
va’ tu a correggere quell’errore,
e un’altra volta, mammina mia,
studierò meglio l’ortografia”.

La dedico a Pansa. E a Grillo. Che tengano bene a mente da dove nasce la loro libertà di espressione.

Lo veeedi ecco Mariiino 2.0 – considerazioni su Roma.

Servizi, manutenzione ordinaria, mobilità, sicurezza, urbanistica. Sono i temi centrali su cui ogni Sindaco (e di conseguenza ogni coalizione) costruisce la propria elezione. E sono anche quelli su cui – in una realtà così grande e complessa come Roma – ogni Giunta finisce per incartarsi ed avvitarsi. Tentando acrobazie politiche ed equilibrismi tattici lontani anni luce dall’esigenza di risposte rapide e soluzioni efficaci che i cittadini pretendono.

Affrontare i problemi. Questo si chiede ad un Sindaco. Questo chiedono i romani al Sindaco Marino. E l’inizio della consiliatura, proprio per l’individuazione degli obiettivi e la rapidità d’attuazione, era stata incoraggiante. La chiusura al traffico privato di una porzione di via dei Fori Imperiali, e la conseguente riorganizzazione della viabilità in quella zona del Centro. La discussione aspra, anche con parte dello stesso consiglio comunale, sulla “dieta” nei consigli di amministrazione delle municipalizzate. La chiusura della discarica di Malagrotta e la partenza sistematica della raccolta differenziata. Anche chi ha espresso forti critiche sul merito degli interventi non può non aver apprezzato la sensazione di “rimessa in movimento della città” che, anche grazie all’immagine di “alieno dai condizionamenti politici”, il Sindaco era riuscito a trasmettere dopo anni di farraginoso (e bi-partisan) rallentamento.

Progressivamente, però, quello sprint iniziale si è inesorabilmente affievolito. I partiti della maggioranza sembrano aver preso le misure “all’alieno” e trovato il modo per tornare ad incidere efficacemente sulle capacità di governo della città. Lavorando il Sindaco ai fianchi, come fa un boxeur esperto dopo aver fatto sfogare un avversario talentuoso ma un po’ sprovveduto.

Acea, Ama e Atac si stanno rivelando una sorta di “blob” in grado di assorbire ogni colpo e resistere ad ogni tentativo di svolta rapida. La gestione delle emergenze legate alle piogge è stata, nonostante gli sforzi prodotti dai Municipi (pur se privi di risorse), quantomeno confusionaria. La reazione al caotico iter di approvazione del bilancio e la posizione espressa sul “Salva-Roma” sono state simili più a delle crisi isteriche che ad una linea politica.

La questione “Rifiuti-Cerroni” torna ciclicamente sulle prime pagine dei giornali, cavalcata anche in modo pretestuoso dall’opposizone pentastellata che (nella persona del suo capo/padrone) urla, sbraita e insulta ma, alla fine, ammette di non avere soluzioni alternative. Non si può, però, non notare come, pur se la classe dirigente della città per anni si è adagiata su Malagrotta (e le recenti indagini stanno chiarendo il perché anche ai meno “smaliziati”) senza progettare soluzioni per il futuro, il Sindaco attuale ha evidentemente sottovalutato i tempi e i modi per “trasformare” la gestione dei rifiuti della città.

Tutto questo non fa che rafforzare chi, sia in Campidoglio (le opposizioni, ma anche alcune parti dello stesso PD) che tra la gente comune, ne addita la mancanza di una strategia a lungo termine, una scarsa programmazione, una rincorsa affannosa delle emergenze e una generale debolezza amministrativa.

D’altronde, però, in campagna elettorale il Sindaco si era preposto (e aveva proposto agli elettori) un obiettivo ambizioso: cambiare la città cambiando le abitudini dei cittadini, anche a rischio di una momentanea impopolarità. Ma per riuscirci è necessario far seguire un nuovo cambio di passo a questo periodo di rallentamento, coordinando gli interventi con l’evoluzione della legislazione regionale portata avanti dalla Giunta Zingaretti. Favorendo lo sviluppo e avviando una nuova gestione del sistema ubano concentrandosi su obiettivi concreti e facilmente leggibili da tutti. Perciò: servizi, manutenzione ordinaria, mobilità, sicurezza, urbanistica.

Vietato l’ingresso agli zingari. Quando al sonno della politica risponde la pancia.

Il cartello affisso alla vetrina di un negozio in zona Tuscolano a Roma, e ovviamente rilanciato da gran parte dei quotidiani, mi ha lasciato sgomento. Mi ha lasciato sgomento perchè la scritta “vietato l’ingresso agli zingari” ricorda tanto, ma tanto, quel “vietato l’ingresso agli ebrei e ai cani” che ancora marchia d’infamia un pezzo di storia d’Europa e d’Italia.
vietato l'ingresso agli zingariRicorda tanto quegli atteggiamenti di razzismo diffuso, su cui solo grazie al genio e alla sensibilità artistica di Benigni ne “la vita è bella”, si riesce ad associare un sorriso al groppo in gola.

Giosuè: Perché i cani e gli ebrei non possono entrare babbo?

Guido: Eh, loro gli ebrei e i cani non ce li vogliono. Eh, ognuno fa quello che gli pare Giosuè, eh. Là c’è un negozio, là, c’è un ferramenta no, loro per esempio non fanno entrare gli spagnoli e i cavalli eh, eh… e coso là, c’è un farmacista no: ieri ero con un mio amico, un cinese che c’ha un canguro, dico “Si può entrare?”, dice “No, qui i cinesi e i canguri non ce li vogliamo”. Eh, gli sono antipatici oh, che ti devo dire oh?!

Giosuè: Ma noi in libreria facciamo entrare tutti.

Guido: No, da domani ce lo scriviamo anche noi, guarda! Chi ti è antipatico a te?

Giosuè: I ragni. E a te?

Guido: A me… i visigoti! E da domani ce lo scriviamo: “Vietato l’ingresso ai ragni e ai visigoti”. Oh! E mi hanno rotto le scatole ‘sti visigoti, basta eh!

“Vietato l’ingresso agli zingari” è un affermazione gravissima. Un comportamento da condannare senza mezzi termini e senza mezze misure. Che, come dicevo, mi ha lasciato sgomento. Ma mi ha anche fatto riflettere. Credo infatti che, in modo altrettanto onesto, senza mezze ipocrisie, si debba avere il coraggio di dare, anche ad un comportamento da condannare senza se e senza ma, una seconda chiave di lettura.

Perchè in quella scritta si può leggere anche una richiesta d’aiuto. Di chi, dai comportamenti illegali, irrispettosi e indecenti tenuti e perpetrati costantemente da una percentuale di questi signori (non mi interessa quantificare, che sia l’1, il 30, il 50 o il 90% è lo stesso), è quotidianamente vessato. Da quei comportamenti “minimi” ma costanti, che spesso le istituzioni, la politica o anche le forze di polizia, non prendono nemmeno in considerazione perchè genericamente “non gravi”. Ma che alimentano e fanno sedimentare quel razzismo di pancia che è più pericoloso di mille comizi.
Perchè è vero che recuperare il metallo, o quello che è, nei cassonetti non è grave. Ma forse, per chi ogni giorno trova sporco il marciapiede davanti all’ingresso del negozio dove lavora, è un disagio. Forse, per chi dalle finestre di casa lasciate aperte d’estate, può godere dei miasmi provenienti dai cassonetti lasciati aperti, è un disagio. Crescente.
Perchè è vero che pulire i vetri delle auto ferme ai semafori (peraltro in modo più o meno educato) non è grave. Ma forse, per la donna che ogni mattina, nel traffico, sulla strada tra casa e il posto di lavoro, deve sopportare ad ogni semaforo l’insolenza di chi, con acqua e “lavavetri”, spruzza, sporca e poi – forse – pulisce, il disagio diventa un fastidio. Crescente. Poi però, capita che a questi disagi, a questi fastidi, si sommi la casa svaligiata. E il senso di impotenza, e di resa, che trasmettono i carabinieri quando, come unico consiglio, ti dicono di provare a girare per i mercatini per cercare di recuperare qualcosa. Allora il fastidio diventa un problema. E Grande. Anche per chi, un cartello del genere non l’avrebbe mai neanche immaginato.

Quindi è necessario che di questi disagi la politica, e con essa (e in particolare) la sinistra, si faccia carico. E che gli amministratori smettano di nascondersi dietro i “non hai capito” o “stai sbagliando”. Smettano di bollare la questione con semplicistici “sei di destra” o “sei razzista”. Smettano di sbandierare la parola “integrazione” con quella morale viscida e supponente, quel senso di superiorità etica che, finora, a prodotto scarsissimi risultati sul piano dell’inclusione sociale e enormi danni su quello dell’esclusione. Perchè è proprio chi è vessato da questi comportamenti a sentirsi escluso. E chi si sente escluso risponde di pancia.

Ecco. Perchè a me, sia chiaro, quel cartello fa schifo. Ma le istituzioni, i politici, cosa fanno per evitare che ci sia sempre qualcuno in più spinto ad esporlo?

“tra poco finirà”.

L’esasperato tatticismo diplomatico della comunità internazionale (chiamiamolo pure immobilismo) e, soprattutto, l’annoiata indifferenza di molti davanti alla guerra civile che è esplosa in Ucraina – perchè di quello, stringi stringi, si tratta – mi fa tornare drammaticamente alla mente quei maldestri tentativi di sedare, con qualche sanzione e un po’ di aiuti, lo scoppio della guerra nei balcani. Quelle assurde teorie del “non ci esponiamo troppo, tanto tra poco finirà”. Infatti.