Aumento dell’IVA al 22%. Le accise sulla benzina. L’aumento degli acconti delle imposte. Il bluff dell’abolizione dell’IMU con l’introduzione della Service Tax. Tutte cose recenti, recentissime. Allora mi chiedo, chi stacca la spina a chi? Una politica inconcludente, meschina, affaristica, inetta, collusa, ha staccato la spina alle piccole imprese, alle famiglie, alle attività a conduzione familiare. Ha staccato la spina ai consumi e al commercio. Al ceto medio e ai meno abbienti. Ha staccato la spina alle speranze dei precari, al “popolo delle partite Iva” e dei lavori saltuari. Nel frattempo, tra le sicure e spesse mura della propria cas(t)a, dal Quirinale al Parlamento, da Palazzo Chigi a palazzo Grazioli (passando per il Nazareno) la stessa politica si preoccupa di come arrivare, possibilmente a piede libero, alle prossime elezioni [qui]. Dichiara di voler cambiare la legge elettorale, ma insulta e affossa chi lo propone in aula [qui]. Dichiara di non essere interessata a “governicchi” [qui]. E si prepara a compilare le liste per garantirsi ancora uno scranno con bella vista sul naufragio del paese.
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LDAPOST del mercoledìcomefossedomenica #9 – La terza guerra mondiale – Sampdoria-Roma 0-2.
Il mio fegato è appeso ai delicati equilibri mediorientali. Alla necessità di Obama di lanciare un paio di missili per tenersi buono il congresso. Perché adesso, dopo la quinta vittoria di fila, non mi resta che la Terza Guerra Mondiale. Che interrompa il campionato e mi salvi.
Dalle inaspettate vertigini del primato in solitaria.
Dagli animi che si scaldano.
Dalle radio che fomentano.
Dai titoli del Corriere dello Sport.
Dalle interviste ai tifosi Vip.
Dalle tabelle, “tre punti de qua e basta non perde co’ la juve..”.
Dai prepartita di Sky e dalla pronuncia italoamericana del CIO Italo Zanzi.
Dai postpartita di Sky.
Dai “ve l’avevo detto che Gervinho è un fenomeno”.
Dai “Balzaretti sei mejo de Candela!”.
Dall’arbitro Orsato di Schi[f]o.
Dall’orchite, dopo aver ascoltato le analisi di Nicola Berti. [oh, se avete coraggio cliccate, ma premunitevi con un corno].
Dalle “lacrime” di Conte, più patetiche del suo parrucchino.
Dal primo pareggio in casa.
Dal rammarico “ah, se ‘sta squadra la davi a Zeman..”.
Dalla prima sconfitta.
Dall’analisi “hai venduto i giovani pe’ prende’ quattro vecchi bolliti”.
Dal fiorire di preparatori atletici, “parti forte, parti forte e a marzo stai sulle gambe..“.
Per una volta mi piacerebbe evitare questa trafila. Mi piacerebbe finire in gloria.
Perciò bombarda, Obama. Bombarda.
Il paradosso del poliziotto.
Mi sono imbattuto nel “Paradosso del poliziotto” casualmente, una domenica pomeriggio, curiosando in una libreria mentre passeggiavo tra piazza Navona e via del Governo Vecchio. Mi ha attirato il titolo, perché erano i giorni seguenti alla sentenza sul caso Stefano Cucchi. Sentenza che di paradossi ne ha tanti. [sul tema mi sono sfogato qui].

Nel libricino (40 pagine) di Gianrico Carofiglio, un anziano poliziotto, in un bar, parla con un giovane scrittore di indagini, di tecniche di interrogatorio e, di conseguenza, di come il dubbio abbia – anzi, debba avere – un ruolo fondamentale nel lavoro dell’investigatore. “Io non mi fido mai di una confessione a cui non ho assistito”, è la frase semplice con cui il personaggio del vecchio poliziotto (un po’ troppo stereotipo del “buono”, però: studente di filosofia, figlio di militanti del PCI, diventato poliziotto per esigenza di autenticità esistenziale) inizia a marcare la differenza tra l’uomo e l’automa. Nelle sue parole, infatti, pagina dopo pagina il significato di “dubitare” si trasforma, perdendo il senso investigatorio iniziale e diventando una sorta di valore etico, un modo virtuoso per affrontare la vita e gli altri, senza preclusioni, “buoni” o “cattivi” che siano.
LDAPOST della domenica #8 – Certe volte – Roma-Lazio 2-0.
Certe volte in una partita tutto gira per il verso giusto. Le gambe dei terzini sono sciolte, il regista non sbaglia un passaggio, la difesa ha sempre i tempi giusti dell’anticipo, i mediani pressano a tutto campo, gli attaccanti cercano e trovano la porta. Certe volte. Questa non sembrava una di quelle volte. Perché il derby è fatto di tensione, spigoli, cattiveria agonistica. E infatti il primo tempo della Roma è, ancora una volta, un primo tempo di contenimento, di stallo. Qualche fallo di troppo a centrocampo, qualche pallone di troppo regalato agli avversari, qualche cross di troppo sbagliato. A lasciar presagire uno di quei derby soporiferi e tecnicamente irrilevanti stile inizio anni ’90.
Certe volte basta poco per stravolgere gli equilibri di una partita, anche solo un episodio. Stavolta è stata bastata una sostituzione. Perchè con l’ingresso di Ljajic, di colpo, accanto a Totti si è materializzato un giocatore in grado tecnicamente di dialogare col Capitano (a cui, per 51′, è stata comunque inflitta la tortura di provare a mandare in rete Florenzi e Gervinho).
Certe volte, nonostante un cast ricco di star i film vincono i premi grazie alle interpretazioni degli attori non protagonisti. Questa è una di quelle volte. Così, mentre Totti, Ljajic, Maicon e Pjanic schiacciavano la Lazio a furia di triangoli stretti, colpi di tacco e tocchi d’esterno, a trovare il colpo d’artista è stato poroBalzaretti, il non-protagonista per eccellenza. Un tiro al volo che tanto m’ha fatto esultare quanto m’ha lasciato incredulo. “Oddio che gol!” “Oddio ma chi era?” “Oddio, Balzaretti??” “Oddio, Oddio..”
Certe volte al 91esimo il salvataggio dell’ultimo istante sul tiro a botta sicura lo facciamo noi.
Certe volte, quando il Capitano manda in bianco mezza squadra con una finta sola, per fermarlo bisogna farsi buttare fuori.
Certe volte Gervinho sulla fascia destra, da vera spina nel fianco degli avversari, garantisce ad ogni azione la superiorità numerica. Certe volte tira incrociando a botta sicura. Certe volte, non questa. Perché la svirgolata verso la fine della partita è talmente ridicola da farla entrare nei ricordi suggestivi.
Certe volte i rigori si segnano con tranquillità spiazzando il portiere. E nonostante questo, certe volte, il tragitto del pallone dal dischetto alla rete sembra non finire mai…
Certe volte, però, bisogna anche rendere onore ai tifosi avversari. E questa è una di quelle volte. La tifoseria della lazio, infatti, si è resa protagonista di una straordinaria coreografia all’inizio della partita. Mentre la Curva Sud si tingeva di giallo e di rosso, di bandiere e di sciarpe, la nord si stagliava a mirabile rappresentanza dell’essenza stessa della loro squadra: una curva vuota.
“On a remis l’église au milieu du village.” [Rudi Garcia].
Fatemi capire: i diritti, il Pd e Papa Francesco.
Quindi, fatemi capire.
Ieri la Camera ha votato
Civiltà Cattolica Antonio Spadaro.
Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite, poi potremo parlare di tutto il resto. E al riferimento diretto ai divorziati risposati e alle coppie omosessuali: bisogna sempre considerare la persona. Nella vita Dio accompagna le persone, e noi dobbiamo accompagnarle a partire dalla loro condizione. Bisogna accompagnare con misericordia. […] Una pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza. La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali.
Il Papa fa il Papa, per carità. Non bisogna dimenticarlo. Ma la Storia ci dimostra come ci siano tanti modi per farlo. Parlando solo ai credenti o, come Bergoglio, cercando di parlare a tutti. Quindi le espressioni “curare le ferite”, “vicinanza”, “prossimità”, “accompagnare la persona” anche al PD qualcosa dovrebbero dire. O sono troppo di sinistra?
