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Tocca a loro.

Commoventi le fiaccolate. Toccante lo slogan #JeSuisCharlie su tutti i social e i siti web. Imprescindibili le manifestazioni di solidarietà. Però, adesso, abbiamo bisogno di aiuto. Perchè la nostra voce, evidentemente, non basta. Siano i musulmani di tutta Europa ad esporsi fermamente contro le farneticazioni aberranti dei fondamentalisti. Si chiamino pure Said, Cherif o Al-Baghdadi. Soldati o Califfi che siano. Facciano parlare, i musulmani d’Europa, la loro appartenenza religiosa. Il loro sentirsi fedeli. Dicendo a chiare lettere quanto i jhadisti usino la maschera della religione solo per impaurire, ridurre al silenzio e alla cieca obbedienza, per garantirsi traffici e potere.

Stavolta tocca a loro e solo a loro. Perché noi la favola rassicurante della convivenza, della tolleranza e dell’integrazione, delle chiese accanto alle moschee e alle sinagoghe, ce la siamo già raccontata. E non mi sembra abbia prodotto risultati.

25 Aprile.

M’è tornata in mente questa filastrocca di Gianni Rodari.

Che non è esattamente sul 25 Aprile, ma che – per me – ne parla più di tanti ampollosi discorsi.

“O fattorino in bicicletta
dove corri con tanta fretta?”
“Corro a portare una lettera espresso
arrivata proprio adesso”.
“O fattorino, corri diritto,
nell’espresso cosa c’è scritto?”
“C’è scritto – Mamma non stare in pena
se non ritorno per la cena,
in prigione mi hanno messo
perchè sui muri ho scritto col gesso.
Con un pezzetto di gesso in mano
quel che scrivevo era buon italiano,
ho scritto sui muri della città
“Vogliamo pace e libertà”.
Ma di una cosa mi rammento,
che sull’ -a- non ho messo l’accento.
Perciò ti prego per favore,
va’ tu a correggere quell’errore,
e un’altra volta, mammina mia,
studierò meglio l’ortografia”.

La dedico a Pansa. E a Grillo. Che tengano bene a mente da dove nasce la loro libertà di espressione.

“Pompei”, il kolossal delle banalità.

Ci sono tanti modi per realizzare male un film storico. Si può lasciare un orologio la polso di un centurione o sbagliare la ricostruzione dei monumenti di Roma. Si possono armare le legioni come si trattasse di eserciti fantasy o i gladiatori come fossero cavalieri medievali.  Si possono semplificare e tagliare, per più o meno giustificabili ragioni di tempo, le vicende storiche. Errori grossolani, certo. Ma…

…ma poi c’è il talento di Paul W.S. Anderson, il regista di “Pompei”. Che shakera forsennatamente tutti i cliché cinematografici sull’antica Roma, semplifica fino a rendere inverosimile la storia della tragica eruzione del Vesuvio del 79 d.C. e regala al pubblico un rarissimo esempio di kolossal della banalità.

I primi 40 minuti sono la copia, ancor meno credibile, della prima serie di “Spartacus”. Gladiatori, addominali, bicipiti e botte da orbi in un viaggio tra la Britannia e Pompei talmente surreale da lasciare col fiato sospeso aspettando qualcosa che…dovrà pur accadere dopo simile preambolo. Si, aspetta e spera.

La battaglia nell’arena durante i giochi delle Vinalia con la riproposizione dello scontro tra ribelli Celti e milizie romane è spudoratamente copiata dal primo combattimento al Colosseo del “Gladiatore” Massimo Decimo Meridio.

Quando, finalmente, comincia a eruttare il Vesuvio e si potrebbe sperare in un riallineamento con la fedeltà storica, i lapilli sembrano i meteoriti di “Armageddon” e le navi che cercano di allontanarsi dalle coste vengono affondate da un bombardamento di fuoco che neanche in “Pearl Harbour”. Per finire con un inseguimento tra una quadriga e un cavallo degno di “Fast & Furious”.

Insomma, da evitare a qualsiasi costo.

6 anni fa. Per non dimenticare l’omicidio della Thyssen.

Il 6 dicembre 2007, 6 anni fa, otto operai dello stabilimento Thyssenkrupp di Torino furono investiti da un getto di olio bollente in pressione che prese fuoco. Sette di loro morirono (nel giro di un mese), uno rimase ferito.vittime incidente thyssenkruppProprio la testimonianza di quest’ultimo sarà fondamentale nella denuncia delle colpe dell’azienda perchè, anche secondo alcuni colleghi che cercarono di intervenire, i sistemi di sicurezza non funzionarono: gli estintori erano scarichi, gli idranti inefficienti in quella situazione, mancava personale specializzato in grado di fronteggiare la drammatica situazione. Il contesto che venne immediatamente portato alla luce era (è ancora) di una crudeltà agghiacciante: essendo lo stabilimento in via di dismissione, da tempo l’azienda non investiva adeguatamente nelle misure di sicurezza. Il 15 aprile 2011 la seconda corte d’assise di Torino ha condannato l’amministratore delegato Herald Espenhahn a 16 anni e 6 mesi di reclusione per omicidio volontario. Altri cinque manager dell’azienda sono stati condannati a pene che vanno da 13 ai 10 anni. Nel 2013 la Corte d’Appello ha modificato il giudizio di primo grado, non riconoscendo l’omicidio volontario, ma l’omicidio colposo. La sostanza cambia enormemente dal punto di vista legale. Ma la rabbia e lo strazio con cui vennero strappati i nastri dalle corone di fiori inviate dall’azienda ai funerali, l’impotenza dei colleghi e i loro crudi racconti, non lasciano comunque nessuno scampo agli assassini, volontari: http://www.youtube.com/watch?v=GBxI0Iha-OI