Civati lascia il Pd.
La notizia fa riflettere. Su che razza d’accollo sia Fassina, però.
Civati lascia il Pd.
La notizia fa riflettere. Su che razza d’accollo sia Fassina, però.
Premesso che credo, senza ombra di dubbi, che il lavoro debba essere pagato.
Premesso che questo concetto l’ho pubblicamente espresso qui. Sottolineato qui. E ribadito, anche se in un altro contesto, qui.
Premesse tutte queste cose (ad uso e consumo dei “professionisti della polemica sbagliata” pentastellati e falceemartellati) ecco perchè, sulla possibilità per gli studenti di effettuare stage di lavoro nel periodo estivo – ebbene sì, proprio nelle “vacanze” – io sono d’accordo con il Ministro Poletti:
– Sono d’accordo perchè è una possibilità, non un obbligo.
– Sono d’accordo perchè un progetto di stage che sia ideato, progettato e realizzato in accordo con la scuola è fonte di stimolo, non di sfruttamento.
– Sono d’accordo perchè so di cosa si sta parlando. Perchè l’ho fatto ininterrottamente, dal 1994 (IV ginnasio) al 2003 (Laurea) nel settore della ricerca e tutela dei beni culturali. Quella che è diventata la mia professione. Sono d’accordo perchè durante quelle esperienze sono nate amicizie che, per fortuna, sono ancora fortemente vive. Sono d’accordo perchè, grazie a chi mi ha seguito (o istruito, o – tiè! – addirittura “comandato”) in quegli anni ho avuto gli strumenti per capire che quella sarebbe stata la strada giusta per me. E per capire, ancor prima di cominciare, quali sarebbero state (almeno in parte) le difficoltà che avrei incontrato. E i sacrifici da fare. E a quell’età – anzi, a quelle età – non è poco.
– Sono d’accordo perchè, non avessi fatto quell’esperienza, probabilmente non esisterebbe la mia – piccola, ok – azienda. E il lavoro che fa. E quello che dà. E anche questo, però, non è poco.
– Sono d’accordo perchè – se potessi – è proprio ai ragazzi delle superiori (con i loro modi e le loro visioni critiche, disincantate, contestatrici) che mi piacerebbe poter insegnare quel poco che ho imparato e quel poco che so fare.
Ah, già. Poi sono d’accordo perchè la frase “i giovani d’estate devono lavorare gratis” il (per carità, discutibilissimo) ministro non l’ha detta (qui). Ma, si sa, leggere un articolo è faticoso. meglio fermarsi al titolo. O farselo spiegare dal blog ufficiale. E questo vale per tutti, anche per una cantante.

“Se anche stanotte durasse cent’anni..
staremo svegli abbracciandoci al buio
il nemico è alle porte della nostra città.
Se anche stanotte durasse cent’anni..
staremo in piedi abbracciati ad un sogno
che ha una scritta sul volto
da qui non si passerà.”
Senza inutili sofismi: non posso tollerare che per la Presidenza della Repubblica circolino nomi di “seconde scelte” anche all’interno dello stesso Pd (Gentiloni, Franceschini, Finocchiaro…), ex da ricollocare (Veltroni, Casini, Rosy Bindi…). O quello di Monti, che si è bruciato da solo con l’esperienza di governo.
Al Quirinale si deve votare una figura dal profilo istituzionale altissimo (anche mi rendo conto che,visti i tempi e l’inesorabile passare di legislature e “repubbliche”, sono sempre meno).
L’italia merita una personalità rispettata (e da rispettare) con una storia politica, sociale o professionale chiaramente “di parte”. Ed ha bisogno che quella “parte” sia la parte della legalità.
Perciò, io dico Piero Grasso o Nicola Gratteri.
Come è arrivata un’organizzazione armata, che appena 3 anni era praticamente sconosciuta, a minacciare il mondo? E – bisogna aggiungere – non solo militarmente. Anche ideologicamente, usando tutti i moderni mezzi di comunicazione (il video della decapitazione del giornalista americano James Foley ha fatto il giro del mondo sulle ali dei social media). Questa domanda è alla base della ricerca di Loretta Napoleoni (saggista e giornalista, considerata tra i massimi esperti di terrorismo internazionale) sull’Isis. Argomento estremamente attuale, purtroppo.

Per l’innegabile complessità e delicatezza, il tema è trattato con estrema cura e, allo stesso tempo, semplicità. Approfondito come un saggio, chiaro come un articolo e scorrevole come un romanzo, le fonti sono riportate in modo chiaro e le loro interpretazioni (così come le opinioni personali) sono sempre ben distinte dalle notizie, dai fatti. Non ha la pretesa di proporre una soluzione,ovviamente. Ma aiuta a capire quanto la questione vada ben oltre la semplice brutalità “militare”.
Mentre i media ci hanno raccontato della proclamazione di un califfato e ci raccontano le decapitazioni dei prigionieri, l’Isis ha conquistato un territorio più vasto del Texas nel cuore del Medio Oriente, dissolvendo i confini creati artatamente dal colonialismo occidentale (impiantando i propri capisaldi territoriali in regioni economicamente strategiche, come le ricche aree petrolifere della Siria orientale) e promuovendosi come vero e proprio potere politico. Legge, ordine e “sicurezza nazionale”, infatti, sono compiti dell’apparato amministrativo del “Califfato”. Come un vero e proprio Stato moderno rispetto alle enclave “premoderne”, retaggio dei ripetuti interventi militari stranieri. E’ anche questa, probabilmente, una delle seduzioni dello Stato Islamico. Una sorta di “contratto sociale”, per dirla alla Rosseau. Un modo, quello di ripristinare attorno a un moderno salafismo antioccidentale la maschera teatrale di uno stato vero e proprio, per ottenere il consenso della popolazione. Convincendola, così, di partecipare alla costruzione di un nuovo ordine politico in Medio Oriente, di una nazione governata dall’onore, di una società contemporanea ma al tempo stesso perfettamente in armonia con al Tawhid, l’unità dei fedeli ordinata da Dio. [Balza agli occhi – peraltro – come, presentandosi in questo modo, la propaganda dello Stato Islamico offra un’immagine politica di sé analoga a quella proposta dai primi sionisti che, negli anni quaranta, si unirono per riconquistare una “patria ancestrale donata da Dio”. NDR] Nel caso del Califfato la religione – e in particolare il concetto di Takfir, apostasia – è l’alibi perfetto per operazioni di vera e propria pulizia etnica. L’eliminazione degli Sciiti garantisce l’appoggio della popolazione sunnita, certo. Ma soprattutto una società etnicamente più omogenea (evitando quindi la possibilità di formazione di fronti di opposizioni “laici” o “moderati”) e la liberazione di risorse economiche da redistribuire ai soldati ed alle loro famiglie. La guerra di genocidio, quindi, è parte di una tattica politica dal respiro ben più ampio di quello brutale e primitivo di decapitazioni e crocifissioni a cui, spesso, si fermano i media.
Quella con l’Isis, quindi, non è e non potrà mai essere un’altra delle tante (e ripetute, e ripetitive) guerre – dirette o per procura – che l’Occidente (in scala più o meno vasta) ha ingaggiato nella zona. E’ invece lo scontro con un’utopia politica: Con un’intuizione potente e per questo seducente anche (o forse soprattutto) per quegli emigrati musulmani che da un condizione di emarginazione dovrebbero integrarsi nella società occidentale.