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Il momento è delicato.

Solitamente, a me Ammaniti piace.

Niccolò Ammaniti, Il momento è delicato, Einaudi.
Niccolò Ammaniti, Il momento è delicato, Einaudi.

Ho amato Io non ho paura e la Roma di Che la festa cominci. Sono stato piacevolmente colpito da Branchie e Io e te. Addirittura non mi è dispiaciuto il film Il siero delle vanità di Infascelli, di cui Ammaniti ha scritto il soggetto.

Altrettanto solitamente, però, a me le raccolte di racconti non piacciono. A meno che non si tratti di operazioni commerciali evidenti. Tipo quelle, a tema, di autori diversi. Alla “Natale in giallo”, per capirci. Letture agili e veloci. Intrattenimento dichiarato, con cui spesso al fianco di autori importanti e conosciuti si da visibilità a nuovi scrittori (a volte talenti) da scoprire.

In questo libro pensavo di trovare una via di mezzo. Ma i racconti di Ammaniti sembrano messi insieme per fare volume. Molti li avevo già letti, apparsi in altre raccolte o in altre pubblicazioni. E quelli che mi sono sembrati inediti li ho trovati sconclusionati. Grotteschi e ai limiti dell’inverosimile come molti dei romanzi di Ammaniti, ma senza un filo conduttore forte. Fini a se stessi, insomma.

Un’operazione commerciale, quindi. Ma non dichiarata. Nascosta. Camuffata.

Che non mi è piaciuta.

 

 

Le ossa della principessa.

Alessia Gazzola, Le ossa della principessa, Longanesi.
Alessia Gazzola, Le ossa della principessa, Longanesi.

Nel quarto “episodio” della saga di cui è protagonista, Alice Allevi, medico legale, casinista e – soprattutto – un po’ sfigata, si trova coinvolta nelle indagini sulla scomparsa di una sua collega (la collega stronza però, quella detta “l’Ape Regina”). Scomparsa che risulta sorprendentemente collegata all”omicidio di una giovane archeologa, Viviana, il cui corpo viene ritrovato sepolto come lo scheletro di una principessa da lei stessa rinvenuto sullo scavo di Gerico.

Alice, goffa e sbadata come sempre, ma con un grande intuito, diventa quindi la spalla dell’ispettore Calligaris tra i corridoi dell’Università La Sapienza cercando di chiarire i rapporti – e di conseguenza il coinvolgimento – dei ricercatori.

Una saga (L’Allieva, Un segreto non è per sempre, Sindrome da cuore in sospeso, Le ossa della principessa) leggera e divertente.

Una lettura veloce, agile, da viaggio in treno. Senza pretese da grande noir ma, pur mantenendo sempre bene in vista le sfumature rosa, con degli spunti della trama investigativa interessanti e non banali. Carino.

La parola contraria.

Si processano QUELLE parole, o si processano LE parole?

Mi spiego. Si processano le specifiche dichiarazioni rilasciate da Erri De Luca all’Huffington Post (a proposito della TAV in Val di Susa, opera da “sabotare”: QUI) o si processa – e si vuole condannare – la volontà (e la capacità) di dire sempre ciò che si pensa? Si vuole punire un reato (molto presunto), o si vuole dare un esempio?

Erri De Luca, La parola contraria. Feltrinelli.
Erri De Luca, La parola contraria. Feltrinelli.

Ho sempre trovato irresistibile la prosa di De Luca. Profonda, densa, e allo stesso tempo leggera. Mai seriosa. Ma così seriamente rigorosa da marcare perfettamente la differenza tra istigazione e ispirazione. Tra sabotaggio e malaugurio. Racchiudendo così, nelle poche pagine di questo libro la sua ferma posizione sulla questione (“sabotatrice” e “iettatoria”) e l’essenza della sua difesa. Senza esasperate (ed esasperanti) teorie politiche e sociali, semplicemente sviscerando il significato del verbo “sabotare” e allontanandolo dal senso – ristretto – di “danneggiamento materiale”. Una difesa letteraria, quindi. Grammaticale, sintattica.

Starà ai pubblici ministeri dimostrare la connessione tra le parole e l’azione.

Questo pamphlet, intanto, difende (prima dello stesso Erri De Luca) la funzione dell’intellettuale, quella di rasentare i confini del pensiero e fornire così al lettore il perimetro dell’argomento. Perché chi invece asseconda l’opinione prevalente, l’intruppato al centro, toglie al suo impasto il lievito e il sale.

Come cavalli che dormono in piedi.

Come cavalli che dormono in piedi, Paolo Rumiz. Feltrinelli.
Come cavalli che dormono in piedi, Paolo Rumiz. Feltrinelli.

C’avevo provato con “Annibale”. C’ho riprovato con “Come cavalli che dormono in piedi”. Incuriosito dal tema storico del nuovo viaggio letterario/giornalistico di Paolo Rumiz e – forse ancor di più – dalla sua motivazione umana, dal senso (e dall’esigenza) “di appartenenza”. Un viaggio sulle tracce delle testimonianze lasciate dagli italiani (triestini, trentini, giuliani) che nel 1914, sudditi dell’Impero Austro-Ungarico, stavano “dall’altra parte”. Che hanno combattuto una guerra su cui la storiografia deve rimettere la giusta luce.

Tema complesso, affascinante e ostico. E coraggioso, soprattutto nel continuo stimolare ad una riflessione alternativa, a lasciare da parte nozioni e libri di storia facendo trasportare il racconto e le ricostruzioni dai “morti”, e non dai vivi.

C’ho provato. Ma confesso che trovo la prosa di Rumiz indigeribile. Densa di partecipazione, ma macchinosa. Forzatamente lenta (come le ferrovie che descrive) fino a diventare noiosa.