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Blues per cuori fuorilegge e vecchie puttane.

Il Blues è – tra gli altri – quello di James Carrie, Natalie Merchant, Sena Ehrhardt e Mary Gauthier. Voci giuste per dare “un senso alla tristezza che opprime”. I cuori sono quelli di Marco Buratti, l’Alligatore, Max “la memoria” e Beniamino Rossini. I cui battiti anche stavolta sono quei principi “fuorilegge”, per i quali – e con i quali – affrontare la vita (cercando di sopravvivergli). Edith, la “vecchia puttana” della maîtresse Frau Vieira, è la bellissima prostituta quarantenne donna di cui l’Alligatore si innamora quasi per sbaglio. Giorgio Pellegrini è, ancora una volta, il nemico. Non l’unico, ma quello vero. A sua volta infiltrato, per iniziativa di una spregiudicata funzionaria del Ministero dell’Interno, nella rete della narcotrafficante portoghese Paz Anaya Vega.

Massimo Carlotto, Blues per cuori fuorilegge e vecchie puttane, edizioni E/O.
Massimo Carlotto, Blues per cuori fuorilegge e vecchie puttane, edizioni E/O.

Nonostante torni a personaggi e situazioni consuete Carlotto dimostra una continua capacità di innovare lo stile e la costruzione del racconto. Affidando la narrazione in alcuni capitoli alla voce dei “banditi perbene”, in altri a quella del “mostro” partorito dalla fusione tra rappresentanti di uno stato corrotto e un genio del male e della distruzione. Alternando, così, punti di vista, reazioni e, soprattutto, emozioni. Insomma, un ritorno al noir positivo dopo le perplessità lasciate dal thriller “Il Turista“. Ma tenere ancora una volta aperta la possibilità di un nuovo scontro epico tra l’Alligatore e Pellegrini rischia di far diventare tutto un po’ ripetitivo, di allungare eccessivamente il brodo, facendo scemare la voglia di vedere i personaggi andare, definitivamente, “ai resti”. La malinconia dell’Alligatore, lo strazio interiore di Rossini, l’impegno politico così demodé di Max “la memoria”, l’anima marcia e spregevole di Giorgio Pellegrini meritano di tornare a percorrere strade, magari parallele, ma distinte.

Per tutto l’oro del mondo.

Un Carlotto vecchia maniera, di cui sentivo la mancanza da un po’.

Per tutto l'oro del mondo, Massimo Carlotto, E/O, 2015.
Per tutto l’oro del mondo, Massimo Carlotto, E/O, 2015.

Una rapina finita in tragedia nel Nord Est, la soluzione apparentemente semplice (l’invasione di zingari e migranti che minaccia la vita degli onesti italiani) cavalcata da politica e opinione pubblica e una vittima, Luigina, di cui tutti sembrano dimenticarsi. Un caso che si svela ben presto nient’altro che una matrioska del cazzo.

Nelle ambiguità di questa storia dura, ancorata all’attualità (anzi saldata all’attualità, se pensiamo alla vicenda di Vaprio d’Adda del mese scorso), con la consueta decisione ed i consueti tormenti, si muovono l’Alligatore, Beniamino Rossini e Max “la memoria”. Uomini liberi, ma dal cuore criminale. Ma Carlotto, in stato di grazia, non racconta solamente. Condivide. Fa in modo che, esattamente all’unisono con i tre personaggi, il lettore possa abbandonarsi – di colpo – ad atmosfere morbide ed avvolgenti. Gli scorci fumosi di un piccolo club, le movenze sensuali di una donna di Jazz, o l’abitacolo di una vecchia Skoda. Atmosfere ovattate e rassicuranti, pur nella loro precarietà. Capaci di accarezzare il cuore, ma non di smussare gli spigoli (né dei protagonisti, né di chi legge).

Poi il Blues, onnipresente. La “musica del diavolo” usata come stordente antidoto alla realtà. A quella disperata promiscuità tra avidità, assenza di scrupoli e menefreghismo che spinge a qualsiasi abominio in nome di tutto l’oro del mondo.

E infine l’epilogo. Di cui non parlerò per una ferma presa di posizione anti-spoiler. Ma che spinge a pensare, e a sperare, di dover tornare presto in libreria.

I bastardi di Pizzofalcone. Un bel libro.

Una ricca signora trovata morta in casa, tra la sua collezione di sfere di vetro con dentro la neve. Nessun segno di effrazione, nessun sospetto se non il marito – notaio della Napoli bene –  infedele. Se fosse un giallo, sarebbe un giallo di quart’ordine.

Maurizio De Giovanni, I bastardi di Pizzofalcone, Einaudi.
Maurizio De Giovanni, I bastardi di Pizzofalcone, Einaudi.

Ma I Bastardi di Pizzofalcone è un noir vero, intenso. De Giovanni fa in modo che al lettore della trama importi davvero poco. La storia – quella vera – quella che spinge a leggere e magari a rileggere, la detta Napoli. Una Napoli a cui l’autore non fa sconti, ma alla quale non lesina carezze evidenziando le quotidiane e contemporanee sfumature di rabbia ed allegria. Di caos coinvolgente e latente solitudine. Contrasti aspri, che danno luogo a incontri/scontri diretti e fulminanti. La povertà sgraziata di un basso con l’arrogante sfoggio di ricchezza del circolo nautico. La convulsa animosità di un vico con la flemmatica agiatezza di un importante studio notarile. La vita ideale, sognata da tutti, con le miserie e le meschinità e degli uomini. Diverse e uguali in ogni quartiere, in ogni ceto sociale. Su cui l’autore indugia a lungo, senza mai giudicare. Ma senza fornire alibi a nessuno. Neanche ai protagonisti. Quelli chiamati a ricomporre il nucleo operativo del commissariato di Pizzofalcone, nel cuore di Napoli, sono tutto fuorchè eroi nel senso più classico e nobile del termine. Reietti. Scarti. Con le stesse meschinità, le stesse miserie e gli stessi strazi delle strade e dei quartieri che attraversano.

Un bel libro.

La banda degli amanti.

Avevo lasciato con una certa sofferenza Marco Buratti, Beniamino Rossini e Max “la Memoria” alla fine de L’amore del bandito, il libro della serie che Carlotto ha dedicato al personaggio dell’Alligatore che ho trovato più intenso.

La Banda degli Amanti, Massimo Carlotto, edizioni E/O.
La Banda degli Amanti, Massimo Carlotto, edizioni E/O.

Probabilmente perché più che le intuizioni, le analisi e i tormenti del “paciere” Buratti, adoro il personaggio di Beniamino Rossini. La sua divisa – effettivamente démodé – da gangster, i braccialetti d’oro messi al polso per ogni persona uccisa, l’amore intenso e struggente per Sylvie, il rispetto della parola data anche nelle situazioni più estreme e la sua personalissima “etica della criminalità”. Un personaggio così intensamente “noir” da essere contemporaneamente eroe classico ed antieroe byroniano. Ho divorato, perciò, La banda degli amanti. Che dalla figura di Beniamino Rossini, dall’importanza della sua presenza al fianco di Marco Buratti e Max “la Memoria” e dal vuoto (anche inconsapevole) lasciato dalla sua lontananza, trae linfa per diventare da un vago intreccio iniziale una storia ben definita. La morte di Sylvie è un colpo duro. Per il gangster, per i personaggi e per me, semplice lettore. Carlotto riesce a dar forma ad una cappa di sottintesa malinconia anche quando, lo sviluppo della storia allontana il pensiero da quell’episodio. Anche quando il protagonista di Arrivederci amore, ciao e Alla fine di un giorno noioso diventa inequivocabilmente il nemico da abbattere, anche se mimetizzato da formale, ricco, scrupoloso ristoratore di successo di nome Giorgio Pellegrini (“re di Cuori” dominatore, criminale senza scrupoli, assassino efferato).

E questo è il punto, personalissimo. A me non piacciono gli incontri fra personaggi di libri, o serie diverse. Neanche quando, come in questo caso, l’autore riesce a mantenere vive e ben definibili le caratteristiche di tutti i personaggi evitando, nella dura contrapposizione creata con un personaggio così oscuro, di trasformare “i buoni” in investigatori “alla Topolino”.

C’è poco da fare, mi rimane l’idea di “Godzilla contro King Kong”.

E’ un libro di retrogusti, dunque. Retrogusto di meravigliosa malinconia in ogni pagina, anche in quelle più concitate, e di insoddisfazione finale.

Le ossa della principessa.

Alessia Gazzola, Le ossa della principessa, Longanesi.
Alessia Gazzola, Le ossa della principessa, Longanesi.

Nel quarto “episodio” della saga di cui è protagonista, Alice Allevi, medico legale, casinista e – soprattutto – un po’ sfigata, si trova coinvolta nelle indagini sulla scomparsa di una sua collega (la collega stronza però, quella detta “l’Ape Regina”). Scomparsa che risulta sorprendentemente collegata all”omicidio di una giovane archeologa, Viviana, il cui corpo viene ritrovato sepolto come lo scheletro di una principessa da lei stessa rinvenuto sullo scavo di Gerico.

Alice, goffa e sbadata come sempre, ma con un grande intuito, diventa quindi la spalla dell’ispettore Calligaris tra i corridoi dell’Università La Sapienza cercando di chiarire i rapporti – e di conseguenza il coinvolgimento – dei ricercatori.

Una saga (L’Allieva, Un segreto non è per sempre, Sindrome da cuore in sospeso, Le ossa della principessa) leggera e divertente.

Una lettura veloce, agile, da viaggio in treno. Senza pretese da grande noir ma, pur mantenendo sempre bene in vista le sfumature rosa, con degli spunti della trama investigativa interessanti e non banali. Carino.