Archivi categoria: Uncategorized

L’abbraccio, l’amore, il dolore e la vergogna.

Abbracciati. Le gambe incrociate l’uno con l’altra. Le mani strette. I volti accostati.

Morti. Insieme.

Se non sapessimo dove (e come, e perchè), quest’immagine ci trasmetterebbe pace, quiete. Come gli “amanti di Valdaro”, i due scheletri abbracciati da 6000 anni e ritrovati nel 2007 vicino a Mantova.

Se non sapessimo dove, come e perchè vedremmo solo un’eterna immagine d’amore.

Invece, sappiamo tutto: 3 ottobre 2013, Lampedusa, naufragio di un barcone carico di immigrati. 366 morti.

E questa immagine d’amore è l’immagine del dolore italiano di non poter salvare tutti. Di dover dire troppo spesso “il mare è pieno di morti“. Di chi vede il proprio paese, abbandonato di fronte ad una emergenza umanitaria da chi poi – quando invece che di esseri umani si parla di economia – sale sul piedistallo e detta regole, leggi e indirizzi.

E’ l’immagine della vergogna dell’Unione Europea.

Lampedusa, 3 Ottobre 2013.
Lampedusa, 3 Ottobre 2013.

LDAPOST della domenica #41- c’è di peggio – Roma-Juve 0-1.

Che i risultati di queste ultime partite siano ininfluenti, non c’è dubbio.

E meno male.

Perchè la seconda sconfitta consecutiva rovina tutte quelle vanesie considerazioni su compattezza, concentrazione, cattiveria agonistica e impenetrabilità difensiva che, diciamoci la verità, pur non equivalendo a un trofeo (né avvicinandosi a una vittoria), dopo due anni di asturiano e boemo martirio, quantomeno riconsolavano.

A questo, poi, va aggiunto il goal preso all’ultimo minuto da Osvaldo. L’ex insultato, deriso, vaffanculato da tutto l’Olimpico e umiliato pure dal suo allenatore che, per scelta tecnica e tricologica invidia, lo bolla come riserva delle riserve facendolo partire dalla panchina anche in una partita che vede in campo (da una parte e dall’altra) proprio una pletora di riserve. Ecco, dunque, l’esemplificazione migliore di quel talento innato della Roma nel riuscire a trovare il modo di trarre il peggio del peggio da un risultato già comunque ampliamente schifoso. Aggiungere sempre quel pizzico di rodimento di culo in più, a un già vorticoso roteare di palle. Quel guizzo, quell’idea, quel condimento unico per rendere sempre memorabile il sapore di ogni sconfitta. Anche la più insignificante.

Che poi, comunque, c’è di peggio. Fossi nato in Portogallo sarei stato senz’altro del Benfica.

Siviglia-Benfica Finale Europa League

LDAPOST della domenica #40 – La bellezza dell’imperfezione – Catania-Roma 4-1

Abbiamo perso. Male.

Cè poco da fare, è così.

giocondaPerò dov’è la bellezza, se non nell’imperfezione che caratterizza un volto, un corpo, una vita? O una squadra. Questa squadra, soprattutto. Che perfetta non è stata mai e probabilmente mai lo sarà. Perchè la perfezione è roba di cervello, la Roma invece è roba di cuore. De core.

La sconfitta di Catania non è una vergogna. E’ il leggero e sfuggente strabismo della Gioconda, è l’abbondanza delle forme dell’Afrodite accovacciata.

E’ My mistress’ eyes are nothing like the sun di Shakespeare.

 

LDAPOST della domenica #38 – La firma e la storia – Fiorentina-Roma 0-1.

Se ce l’avessero detto in Estate, non c’avremmo creduto. Neanche il piu’ inguaribile ottimista avrebbe potuto credere che, dalle macerie della Roma “Baldiniana” si sarebbe arrivati alla Champions conquistata con 4 giornate d’anticipo.

Non solo la Champions, ma l’accesso diretto alla Champions, senza quell’angosciante turno preliminare che avrebbe tutto per rovinarci l’ultimo scampolo d’Estate.

E per confermare questa resurrezione dalle ceneri di uno zoppicante progetto iniziato sulle Asturie, passato per la Boemia e disastrato dalle “tattiche” di un “tattico”, non c’era niente di piu’ adatto del weekend di Pasqua. Con il Napoli che, per l’ennesima volta, ha confermato la sua natura inconcludente e sopravvalutata, e la Roma quella accorta, concreta e determinata, in grado di controllare e dominare gli avversari piu’ diversi sia in casa che in trasferta.

La Fiorentina c’ha provato, nonostante l’attacco spuntato (senza Gomez e Rossi) ha provato a puntare la difesa giallorosa con gli uno contro uno di Quadrado, le piroette di Pizarro e gli inserimenti di Aquilani. Scelta sbagliata. Perchè la difesa tutta brasiliana ha retto l’urto senza scomporsi, De Rossi l’ha protetta alla perfezione con una prestazione degna dei “vecchi tempi” con palloni rubati e rapide impostazioni, Totti trovava continuamente spazio tra le linee per lanciare gli esterni, e Gervinho con sapienti tocchi di stinco e malleolo vanificava quanto appena descritto.

Tutto normale quindi.

Finchè Ljajic, risvegliatosi di colpo da un torpore semestrale, inseguito da un numero imprecisato di maglie viola ha servito l’inserimento di Nainggolan che, in scivolata, faceva 1-0.

Partita finita.

Oddio, in realtà restava il tempo per commuoversi. Vedendo De Sanctis uscire in presa alta. Con il ginocchio piegato a proteggere la presa. Era dai tempi di Cervone che non accadeva. E vedendo la grinta di Rudi Garcia fine partita. Perché pure della rabbia agonistica e della voglia di combattere per il risultato che un allenatore deve trasmettere negli ultimi due anni s’erano perse le tracce.

E allora, perché mi rimane ‘sto senso, latente, di insoddisfazione?

Perché se me l’avessero detto in estate – è vero – non c’avrei creduto e c’avrei messo la firma.

Non c’avrei creduto se m’avessero detto che la Roma, quella del post 26 maggio, senza Osvaldo, Lamela e Marquinhos, avrebbe lasciato il Napoli dei milioni di De Laurentis, del plurititolato Benitez e di Higuain a 14 punti di distanza; che avrebbe inanellato una serie iniziale di 10 vittorie consecutive (e una, finale, ancora in divenire); che avrebbe annichilito con tonnellate di punti di distanza (e un esonero) Allegri e Mazzarri, i due allenatori che in estate l’hanno derisa e (per fortuna) rifiutata.

Che quegli altri, quelli biancoblu che si agitano gridando “coppanfaccia” e vestendo felpe “Lulic71” che già a settembre sapevano di vintage, manco li avrebbe visti. Perché quando stai in cima a un grattacielo è difficile distinguere un passante qualunque sul marciapiede, pure se smania e te chiama a gran voce cercando attenzione e considerazione.

Non c’avrei creduto se m’avessero detto che sarebbe stata la miglior difesa e il secondo miglior attacco.

E che con la miglior difesa e il secondo miglior attacco lo scudetto non lo avrebbe comunque vinto.

Ma vabbè. E’ storia. La nostra.

E forse proprio per questo:

ti amo

LDAPOST della domenica #37 – Dov’era il Dio del calcio – Roma-Atalanta 3-1.

Sabato sera la Roma ha schiantato l’Atalanta.

Come un rullo compressore ha calpestato i nerazzurri a furia di verticalizzazioni, accelerazioni e triangoli stretti. Concedendo pochissimo (praticamente nulla) in difesa, dove Toloi si dimostra un’alternativa valida ai centrali titolari e Dodò finalmente in grado di realizzare una diagionale senza l’espressione spaurita dello studente davanti alla lavagna durante un’interrogazione di geometria. Dominando a centrocampo, con un Rodrigo Taddei che, alla seconda pagina da libro Cuore, sembra pure bello. Esagerando in attacco, con Totti, Ljajic e Gervinho in condizioni di tale spolvero che l’assenza di Destro m’è tornata in mente solo un attimo a fine partita, quando mi chiedevo perchè non avesse ancora segnato.

L’ha acciaccata, quindi, come un carro armato. Sì. Proprio come quel carro armato che a luglio i tifosi avevano usato, durante una sobria presentazione della squadra, per passare sopra a una macchina dipinta di giallorosso cantando “Roma Merda” [qui]. Bene così, dunque. Con tutto il goal di Migliaccio che, visto che il pelato su quel carro armato ci stava sopra, assume tutti i contorni della resa.

A questo punto, se non esistesse un dio del calcio, dovrei parlare dell’ennesima prestazione cannibale della Juve che Lunedì ha annullato perfino le (già residue) speranze di rimonta del tifoso più inguaribilmente ottimista. O dell’ennesima prestazione ridicola dei giocatori dell’Udinese che, come da regola, hanno dimenticato anche stavolta intensità, cattiveria agonistica e tasso tecnico. O della prima papera del prodigio Scuffet, che nessun bookmaker minimamente assennato avrebbe quotato potesse aver luogo in altra partita se non in quella con la Juve.

Ma siccome un dio del calcio esiste (e siccome quel tifoso inguaribilmente ottimista di cui sopra non sono io), domenica c’era Liverpool-Manchester City.

Una partita che valeva la Premier. Perchè in Inghilterra Liverpool, Chelsea e City si giocano il campionato a furia di sorpassi e controsorpassi come neanche all’ultimo giro di una gara del motomondiale.

Ma che, soprattutto, valeva per il ricordo dei 94 corpi che, alle 15.15 del 15 aprile 1989, erano riversi, senza vita, nello stadio di Hillsborough a Sheffield. Un altro ragazzo morirà 4 giorni dopo in ospedale. Un altro ancora 4 anni dopo, quando gli sarà staccato il respiratore artificiale. 96 persone che avrebbero dovuto assistere alla semifinale di FA Cup tra Liverpool e Nottingham Forest e sono rimaste schiacciate tra le pareti laterali, il tunnel di ingresso e le recinzioni che dividevano gli spalti dal campo.

Una partita che valeva anche per il ricordo di un calcio che, da pochi mesi dopo quella che sarà chiamata “la strage di Hillsborough”, non ci sarà più. Perchè il “Rapporto Taylor” lo trasformerà per sempre, vietando i posti in piedi, imponendo tornelli di sicurezza e la ristrutturazione completa degli stadi. Costringendo i club ad alzare i prezzi dei biglietti e vendere i diritti alle televisioni. Trasformano quello che, fino ad allora, era il gioco del popolo in un giocattolo dei ricchi.

Eppure….

Eppure un’inchiesta iniziata nel 2012 dopo una petizione popolare, desecretando i documenti della polizia ha ristabilito una verità agghiacciante. Le colpe della strage non sono dei tifosi: la polizia, con una serie di cariche, aveva compresso la folla in una sorta di “imbuto”; medici compiacenti, per coprire l’orrore, avevano dimostrato, con analisi del sangue false, l’ubriachezza di molti (addirittura dei bambini!); il medico legale incaricato solo 9 minuti dopo la sospensione della partita ha decretato la morte per asfissia irreversibile delle persone coinvolte.

E allora il ricordo ha potuto finalmente essere quello vero, quello dei tifosi, tutti. Con i nomi dei morti scritti su 96 seggiolini vuoti di Anfiel Road. E i parenti e gli amici delle vittime presenti allo stadio a rendere il minuto di raccoglimento talmente silenzioso da sembrare assordante, con i microfoni di bordocampo a rimandare, in tv, solo le leggere vibrazioni dell’aria. Non un rumore, non una parola, non un applauso. E poi l’urlo immenso, di tutto lo stadio che cantava a squarciagola “You’ll never walk alone” insieme alla “Kop”.

You'llNewerWalkAlone

Non solo. Siccome un Dio del calcio esiste, ed era evidentemente ad Anfield, la partita è stata anche stupenda.

E davanti a questo spettacolo, Migliaccio sul carro armato non fa di certo paura, fa pena.