Sabato sera la Roma ha schiantato l’Atalanta.
Come un rullo compressore ha calpestato i nerazzurri a furia di verticalizzazioni, accelerazioni e triangoli stretti. Concedendo pochissimo (praticamente nulla) in difesa, dove Toloi si dimostra un’alternativa valida ai centrali titolari e Dodò finalmente in grado di realizzare una diagionale senza l’espressione spaurita dello studente davanti alla lavagna durante un’interrogazione di geometria. Dominando a centrocampo, con un Rodrigo Taddei che, alla seconda pagina da libro Cuore, sembra pure bello. Esagerando in attacco, con Totti, Ljajic e Gervinho in condizioni di tale spolvero che l’assenza di Destro m’è tornata in mente solo un attimo a fine partita, quando mi chiedevo perchè non avesse ancora segnato.
L’ha acciaccata, quindi, come un carro armato. Sì. Proprio come quel carro armato che a luglio i tifosi avevano usato, durante una sobria presentazione della squadra, per passare sopra a una macchina dipinta di giallorosso cantando “Roma Merda” [qui]. Bene così, dunque. Con tutto il goal di Migliaccio che, visto che il pelato su quel carro armato ci stava sopra, assume tutti i contorni della resa.
A questo punto, se non esistesse un dio del calcio, dovrei parlare dell’ennesima prestazione cannibale della Juve che Lunedì ha annullato perfino le (già residue) speranze di rimonta del tifoso più inguaribilmente ottimista. O dell’ennesima prestazione ridicola dei giocatori dell’Udinese che, come da regola, hanno dimenticato anche stavolta intensità, cattiveria agonistica e tasso tecnico. O della prima papera del prodigio Scuffet, che nessun bookmaker minimamente assennato avrebbe quotato potesse aver luogo in altra partita se non in quella con la Juve.
Ma siccome un dio del calcio esiste (e siccome quel tifoso inguaribilmente ottimista di cui sopra non sono io), domenica c’era Liverpool-Manchester City.
Una partita che valeva la Premier. Perchè in Inghilterra Liverpool, Chelsea e City si giocano il campionato a furia di sorpassi e controsorpassi come neanche all’ultimo giro di una gara del motomondiale.
Ma che, soprattutto, valeva per il ricordo dei 94 corpi che, alle 15.15 del 15 aprile 1989, erano riversi, senza vita, nello stadio di Hillsborough a Sheffield. Un altro ragazzo morirà 4 giorni dopo in ospedale. Un altro ancora 4 anni dopo, quando gli sarà staccato il respiratore artificiale. 96 persone che avrebbero dovuto assistere alla semifinale di FA Cup tra Liverpool e Nottingham Forest e sono rimaste schiacciate tra le pareti laterali, il tunnel di ingresso e le recinzioni che dividevano gli spalti dal campo.
Una partita che valeva anche per il ricordo di un calcio che, da pochi mesi dopo quella che sarà chiamata “la strage di Hillsborough”, non ci sarà più. Perchè il “Rapporto Taylor” lo trasformerà per sempre, vietando i posti in piedi, imponendo tornelli di sicurezza e la ristrutturazione completa degli stadi. Costringendo i club ad alzare i prezzi dei biglietti e vendere i diritti alle televisioni. Trasformano quello che, fino ad allora, era il gioco del popolo in un giocattolo dei ricchi.
Eppure….
Eppure un’inchiesta iniziata nel 2012 dopo una petizione popolare, desecretando i documenti della polizia ha ristabilito una verità agghiacciante. Le colpe della strage non sono dei tifosi: la polizia, con una serie di cariche, aveva compresso la folla in una sorta di “imbuto”; medici compiacenti, per coprire l’orrore, avevano dimostrato, con analisi del sangue false, l’ubriachezza di molti (addirittura dei bambini!); il medico legale incaricato solo 9 minuti dopo la sospensione della partita ha decretato la morte per asfissia irreversibile delle persone coinvolte.
E allora il ricordo ha potuto finalmente essere quello vero, quello dei tifosi, tutti. Con i nomi dei morti scritti su 96 seggiolini vuoti di Anfiel Road. E i parenti e gli amici delle vittime presenti allo stadio a rendere il minuto di raccoglimento talmente silenzioso da sembrare assordante, con i microfoni di bordocampo a rimandare, in tv, solo le leggere vibrazioni dell’aria. Non un rumore, non una parola, non un applauso. E poi l’urlo immenso, di tutto lo stadio che cantava a squarciagola “You’ll never walk alone” insieme alla “Kop”.
Non solo. Siccome un Dio del calcio esiste, ed era evidentemente ad Anfield, la partita è stata anche stupenda.
E davanti a questo spettacolo, Migliaccio sul carro armato non fa di certo paura, fa pena.