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Due giganti e una corte dei miracoli.

Sono in ritardo. “In 1/2 ora” con il confronto in vista delle primarie del centrosinistra per il candidato Sindaco a Roma è andata in onda domenica, lo so. Ma l’ho vista solo oggi.

Comunque, io sostengo Roberto Giachetti. Ed è acclarato. Ma il punto, stavolta, non è il “chi è meglio di chi”. Perché per conoscenza della città, capacità di ascolto e proposte di intervento, Giachetti e Morassut sono due giganti. Il punto è che, per una volta che il Pd ha in campo due giganti (sembrava incredibile anche solo immaginarlo dopo il disastro-Marino e Mafia Capitale), i due Roberto sono costretti a sgomitare tra un’improbabile corte dei miracoli che, per garantirsi un po’ di visibilità, un pugno di voti o una poltrona (più probabile uno strapuntino), fa dell’assurdo, della superficialità e della “cojonella”, i cardini della campagna elettorale. Quindi, tra l’affettata marzialità del Generale Rossi di Centro Democratico, l’esacerbante qualunquismo del “Senatore” Pedica e l’infantile confusione del movimentista Mascia (che per di più, non contento, si presenta pure in tv con un Orso di peluche, casomai si rimanesse di colpo a corto di prese per il culo) il 6 marzo gli elettori di centrosinistra saranno chiamati a scegliere uno dei due giganti di prima. Bella cosa le primarie. Magari però andrebbero leggermente rivisti i principi di ammissione…

Non ho citato la candidatura di Chiara Ferraro per un motivo preciso. Ne capisco il principio, la città deve essere pensata e amministrata anche (e soprattutto) in funzione di chi deve fare i conti con un handicap. Ma non ne condivido il modo. Mi lascia perplesso la fermezza con cui il papà l’ha coinvolta in questo secondo tentativo (era già stata nella Lista Civica per Ignazio Marino) e non mi piace l’esposizione traumatica a cui la ragazza è sottoposta senza poter sapere se, e fino a che punto, le sia gradita (perchè oh, stare vicino a uno che dice castronerie brandendo un orso di peluche cos’è se non un trauma?).

Oh, poi, per quanto in questo periodo si possa “diffidare” della politica, il confronto una certa rilevanza politica, oggettivamente, ce l’aveva, si parla pur sempre di Roma Capitale e del partito del Premier. Per questo credo avrebbe meritato un giornalista un po’ più preparato e meno astioso della Annunziata. Che però, c’è da dire, con i suoi a Tor Sapienza arrivano gli immigranti [testuale] e succede quello che succede, Chiara fa il minestrone, Renzi è andato al potere senza essere stato votato e nessuno di voi vuole vincere in quella corte dei miracoli ci stava proprio bene.

Per chi vuole “farsi del male”:

http://www.rai.tv/dl/replaytv/replaytv.html?day=2016-02-28&ch=3&v=634228&vd=2016-02-28&vc=3#day=2016-02-28&ch=3&v=634228&vd=2016-02-28&vc=3

La notte di Roma.

Dopo la preveggenza di Suburra, Bonini e De Cataldo raccontano la Roma di Mafia Capitale, degli intrighi di partito (e per partito s’intende solo il Pd) e del Giubileo.

Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo, La notte di Roma, Einaudi.
Carlo Bonini e Giancarlo De Cataldo, La notte di Roma, Einaudi.

Martin Giardino, detto “er tedesco”, è il sindaco che gira in bicicletta, che chiude al traffico privato tutta via dei Fori Imperiali, che inaugura la riqualificata Piazza Testaccio. Un Ignazio Marino evidentemente idealizzato, tratteggiato con tutti i suoi difetti (l’insicurezza nelle dichiarazioni, la rigidità, l’incapacità di leggere le reali esigenze della città) ma stavolta in grado di rimanere “a barra dritta” anche nel momento più cupo. Con stampa e opposizione, sia interna che esterna al Pd, scatenate (un’accusa di stupro al posto dei rimborsi ottenuti attraverso ricevute false) e la città vittima di una vera e propria “apocalisse” (scioperi dei trasporti, rivolte delle periferie e centro storico sommerso dall’immondizia). Ad aiutarlo c’è Adriano Polimeni, ex senatore messo in disparte dalla spregiudicata gestione “rottamatoria” della giovane e spregiudicata deputata Chiara Visone dopo aver preparato una dura relazione sullo stato dei circoli del partito in città (tesseramenti falsi ecc.). A sua volta, supportato da un amico di gioventù – padre Giovanni Darè – nominato direttamente da papa Francesco Responsabile Unico del Giubileo. Insomma, Bonini e De Cataldo raccontano di una auspicabile santa alleanza fra gli incorruttibili in grado di tenere testa alla Roma dei palazzinari, della mafia e dei criminali. E la raccontano, come al solito, bene. Con un ritmo serrato, con dei registri ben strutturati e con la solita metodica precisione.

Ma invece di rimanere con successo nei confini del giallo, del thriller, gli autori la contaminano con una morale evidentemente anti-renziana, superficiale e di conseguenza inutile ai fini della storia. Quindi, Chiara Visone sembra tanto la Boschi, contro cui si scagliano le vecchie glorie (molto poco glorie, peraltro) della sinistra. E il partito del Nazareno sembra tanto quello contro cui si scagliano i supporter più accesi di marino. Sconfinano nella sfacciata marchetta citando un ristorante della Garbatella (nome, zona, specialità…manca solo il prezzo e il numero per prenotare) e, tra una sbandata radical-chic e l’altra, finiscono per confondere “account” con “hashtag” nella descrizione delle modalità di consultazione online del M5s.

Però La notte di Roma è un thriller, non un trattato politico. Perciò non credo che, senza il precedente inequivocabilmente profetico di Suburra (ne scrivevo qui), avrebbe meritato molta considerazione.

Dalla sciatteria alla dignità.

Che poi a me delle due cene al “girarrosto”, delle fettuccine ai funghi o delle bistecche pagate con la carta di credito del Comune di Roma me ne fregherebbe anche poco. Sinceramente.La vera immoralità della vicenda sta nelle patetiche bugie inventate da Marino per giustificarsi. Ero a cena con esponenti di Sant’Egidio, ero con l’ambasciatore del Vietnam. Manca quella della “nonna morta o in ospedale”, e poi il campionario di scuse patetiche sarebbe completo. Sono scuse che non fanno neanche arrabbiare, tanto sono sciatte. Prive della tracotanza di Fiorito o dell’ignorante supponenza di Bossi jr. Sono le scuse di un alunno delle elementari sorpreso dalla maestra a non aver fatto i compiti. Solo che a un bambino delle elementari – bugiardo, per di più – nessuno farebbe governare Roma. 

Allora gli uomini di questa armata brancaleone mascherata da maggioranza la smettessero di blaterare del dopo “Mafia Capitale”, del “cambio di passo” e dei “fuoriclasse” in giunta. 

Facciano davvero qualcosa per Roma, permettendo a un commissario di guidarla in modo onesto e dignitoso almeno nel corso di un Giubileo che farà accendere (ancora di più) i riflettori di tutto il mondo su quello che Roma dovrebbe essere, potrebbe essere, ma che ora – di sicuro – non è. 

Ma soprattutto si preparino ad accettare l’autocritica che proprio questa sciatteria ci (noi elettori, io) chiama a fare. Noi (io) che non siamo stati capaci di leggere correttamente tra le righe delle giravolte lessicali con cui questi “fenomeni del cambio di passo” hanno giustificato incapacità, dabbenaggine, sciatteria e disonestà.

Se il Pd a Roma non vuole scomparire del tutto, si azzeri. Si stacchi la spina. Si chiama eutanasia. Vuol dire dignità. 

Negare l’evidenza non ha senso.

Negare l’evidenza non ha senso.

Non ha avuto senso per il PSI nel 1992 negare come Mani Pulite stesse annientando il partito e il suo leader.

Non ha senso oggi, per il Partito Democratico, aggrapparsi alla – finora assodata – estraneità di Marino all’inchiesta Mafia Capitale. Non ha senso perchè l’evidenza è quella di un Partito che, a Roma, è già annientato. Dal malaffare che l’ha coinvolto, sicuramente. Ma anche dall’incapacità di dare un seguito alle promesse di “svolte epocali” nella gestione della città.

Nell’editoriale di oggi su “l’Espresso”, Luigi Vicinanza scrive: Roma appare una città fuori controllo. In tutti i sensi. Non c’è capitale in Europa così sporca, sciatta, prigioniera dell’incuria. Metropoli cosmopolita e arretrata. La cui Grande Bellezza – potenza evocativa di un Oscar – è assediata da una corona di spine di quartieri periferici, lontani dai palazzi del potere, dove cova un profondo malessere popolare.

Quindi, se il Partito Democratico ha a cuore Roma, deve lasciare Roma.

Se il Partito Democratico ha a cuore Roma, non deve temere di “perdere” Roma. Non deve nascondersi dietro Marino e alla sua estraneità ai fatti (ma anche estraneità a tutto e a tutti, vien da dire..) per paura della Meloni, di Marchini o di Di Battista.

Ma soprattutto, se il Partito Democratico ha a cuore Roma deve consentire ai romani di riprendersi quello che le cooperative della malavita e del malaffare gli hanno tolto giorno dopo giorno, amministrazione dopo amministrazione, giunta dopo giunta: dalla sicurezza ai beni culturali, al decoro, al verde, all’assistenza sociale.

E, aggiungo, se il Partito Democratico ha a cuore l’Italia, non può non assumersi – oggi – la responsabilità di rimettere Roma, la Capitale, su una strada che sia all’altezza degli impegni, delle scadenze e degli eventi che la politica mondiale impone. E se per tutto questo (che poi sarebbe la normalità…) il passo necessario, visto il costante “sfondamento a sinistra” di un’inchiesta nata a destra, è il commissariamento, è ora di rompere gli indugi.

Non credo che il prefetto Gabrielli possa essere la panacea per tutti i mali di Roma (e della politica a Roma). Credo però possa avere l’autorevolezza – a livello nazionale, cosa da non sottovalutare in una tale situazione – per liberare la strada dalle macerie che i barbari hanno lasciato.

Poi, solo poi, si potrà parlare del nuovo sindaco. E quindi, per me, soltanto di Roberto Giachetti.

P.s. Qualcuno mi dirà: hai cambiato idea? Ebbene sì, ho cambiato idea. E’ perché penso molto. E perchè contengo moltitudini.