Commoventi le fiaccolate. Toccante lo slogan #JeSuisCharlie su tutti i social e i siti web. Imprescindibili le manifestazioni di solidarietà. Però, adesso, abbiamo bisogno di aiuto. Perchè la nostra voce, evidentemente, non basta. Siano i musulmani di tutta Europa ad esporsi fermamente contro le farneticazioni aberranti dei fondamentalisti. Si chiamino pure Said, Cherif o Al-Baghdadi. Soldati o Califfi che siano. Facciano parlare, i musulmani d’Europa, la loro appartenenza religiosa. Il loro sentirsi fedeli. Dicendo a chiare lettere quanto i jhadisti usino la maschera della religione solo per impaurire, ridurre al silenzio e alla cieca obbedienza, per garantirsi traffici e potere.
Stavolta tocca a loro e solo a loro. Perché noi la favola rassicurante della convivenza, della tolleranza e dell’integrazione, delle chiese accanto alle moschee e alle sinagoghe, ce la siamo già raccontata. E non mi sembra abbia prodotto risultati.
Fuga dal Campo 14 non è una semplice biografia. E’ una riflessione e, al tempo stesso, un atto d’accusa duro e agghiacciante sulla dittatura in Corea del Nord. E’ la storia di Shin Dong-hyuk nato e cresciuto nel “Campo 14”, uno di quei campi di internamento e “rieducazione” su cui solo oggi ha iniziato ad interrogarsi una commissione delle Nazioni Unite.
Oggi ha 32 anni, e da quel lager è riuscito a fuggire 10 anni fa calpestando, nel vero senso della parola, il corpo di un compagno fulminato dall’alta tensione della recinzione.
Blaine Harden, Fuga dal Campo 14, Codice.
Dopo la fuga in Cina ed una prima assistenza ricevuta in Corea del Sud ha iniziato un lunghissimo (e durissimo) percorso di riadattamento alla normalità. Anzi, a quella che noi consideriamo la normalità. Perché Shin è cresciuto senza conoscere nulla del mondo, senza sapere che la Terra fosse tonda. Senza aver mai ascoltato una persona cantare. Senza sapere nulla che non fosse la propaganda del Partito del Lavoro. “Pensavo semplicemente che ci fossero persone nate con le armi e persone nate prigioniere, come me. Che il mondo fuori fosse uguale a quello dentro”. Ma se le lacune di conoscenza possono essere colmate grazie ad una curiosità vivace e una grande determinazione, la pelle martoriata dalle cicatrici lasciate delle agghiaccianti torture subite renderà infinito il percorso di recupero, che Shin con coraggio condivide con Organizzazioni ed Associazioni che si occupano di diritti umani per le quali gira il mondo per raccontare la sua storia, testimone vivente degli abomini messi in atto dal 1948 ad oggi, dalle dittature di Kim Il Sung, Kim Jong-il e Kim Jong-un.
Lavorare fino allo sfinimento, tradire i suoi familiari, fare la spia, chinare lo sguardo e sopportare gli abusi delle guardie erano i suoi unici doveri per espiare colpe che non poteva e non doveva nemmeno conoscere. Il crimine che Shin “aveva commesso” era quello di avere uno zio fuggito, negli anni Cinquanta, in Corea del Sud. In Corea del Nord, infatti, è legale incriminare i cittadini in base ai legami di sangue e di parentela grazie ad una legge istituita nel 1972 dal “Grande Leader” Kim Il Sung che recita: “il seme dei nemici di classe deve essere estirpato attraverso tre generazioni”.
Il giornalista Blaine Harden ha messo ordine nei ricordi e nei racconti di Shin senza omettere i particolari più spaventosi, senza coprire – per inutili pietismi – le azioni più aberranti che lo stesso Shin ha dovuto commettere per sopravvivere, e senza mai smettere di ricordare che, in questo stesso momento, altri prigionieri le staranno commettendo. Perché anche l’orrore, non solo la pietà, può contribuire a scuotere l’opinione pubblica da quell’indifferenza che finora è stata la più preziosa alleata della dinastia dei Kim.
Illuminante, a questo proposito, un passo dell’Economist: Forse la portata delle atrocità è tale da anestetizzare l’indignazione. E’ molto più facile ridicolizzare il regime e le pazzie del suo leader piuttosto che affrontare realmente la sofferenza che quel regime infligge alla popolazione. Eppure sappiamo di omicidi, schiavitù, spostamenti forzati di popolazione, torture, stupri: la Corea del Nord commette praticamente ogni atrocità che rientri nella categoria “crimini contro l’umanità”.
Shin, però, continua a parlare e a mostrare, senza pudore, la sua schiena martoriata dalle ustioni e il basso ventre mutilato. Le caviglie deformate dai ceppi per tenerlo appeso a testa in giù durante l’isolamento. Le braccia piegate ad arco per i lavori forzati. Il dito medio della mano destra mozzato come punizione per avere fatto cadere una macchina da cucire. E non smetterà di farlo fino a quando i gulag della Corea del Nord non saranno smantellati e i prigionieri liberati.
L’inchiesta “Mondo di mezzo” mi ha fatto venire in mente questa immagine, una pentola a pressione lasciata sul fuoco a cuocere il mix dei migliori ingredienti che l’attualità italiana è in grado di proporre: piccola, media e grande criminalità miscelata sapientemente con i gangli più ributtanti della politica. E, di conseguenza, ha aperto tre scenari.
Se il sindaco Marino ha lasciato sul fuoco fino ad ora questa pentola prestandosi ad aprire, periodicamente, la valvola per consentire che la cottura di affari ed interessi procedesse a puntino, si dovrebbe dimettere. Subito.
Se il sindaco Marino è stato un cuoco così distratto da aprire la valvola della pentola senza sapere cosa i precedenti “colleghi” avessero lasciato sul fuoco, si dovrebbe dimettere ancora prima.
Se invece, come credo, questa pentola a pressione di crimine è esplosa proprio perché Marino, con tutta la sua grossolana supponenza e la sua antipatica prosopopea, si è rifiutato di aprire la “valvola” (ne scrivevo qui, a proposito della manovra d’aula), allora il commissario giusto per il Comune di Roma è proprio lui. Perchè adesso ha davvero l’occasione di azzerare la giunta e ricostruirla assessore su assessore, ruolo su ruolo, uomo su uomo, tecnico su tecnico. Senza guardare l’appartenenza politica, senza dover rispondere a squallide logiche compromissorie di partito (ne parlavo sempre qui, concludendo a proposito del Partito Democratico romano ). E cominciando, finalmente, a trasformare Roma.
Perché nel momento in cui sembra davvero che fanno tutti schifo e so’ tutti uguali non può passare la tesi per cui di questo “schifo” fanno parte – o, come urlano molti, sono complici – anche gli elettori, gli iscritti, i militanti e i simpatizzanti del Pd.
Auspico quindi che Orfini azzeri – subito! – i tesseramenti. Che Marino azzeri la Giunta e la ricomponga con tecnici ed esponenti della società civile.
E che il Partito Democratico di Roma diventi, finalmente, attore protagonista di un cambiamento, non di uno sfacelo.