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LDAPOST della domenica #15 – L’undicesima vittoria (risultato a parte) – Torino-Roma 1-1.

Prima o poi doveva succedere. ‘Sta serie di vittorie si sarebbe interrotta. In modo crudele, spietato e doloroso. Con un’imbarcata storica, tre o quattro zozzerie arbitrali al posto giusto e al momento giusto e crisi di nervi collettiva con almeno un paio di espulsi. Ridimensionamento collettivo, che tutto sommato il terzo posto comunque non è male e poi ad agosto c’avremmo messo la firma.

E invece no.

E invece, stavolta, la serie di vittorie si interrompe (oh, così ci mettiamo il cuore in pace e l’animo tranquillo) ma la prospettiva è completamente diversa. Perché e vero che la Roma pareggia col Torino (che del cuore granata ormai c’ha solo la fama) su un campo dove, di solito, le grandi passeggiano e le piccole come minimo recriminano. Ma è altrettanto vero che stavolta il pareggio è molto piu’ simile a una vittoria che a una sconfitta. Per tutta una serie di motivi, che affondano le radici nella storia e nelle dinamiche di ogni (rara) vittoria e di tutte le (frequenti) delusioni. Affrontiamoli uno per uno con l’elegante sportività che, come da consuetudine, contraddistingue queste pagine del blog.

1) L’arbitro: Banti di Livorno. Perfetto, professionale, infaticabile, instancabile, lucidissimo, prontissimo. Si, vabbè. Prontissimo ad applicare uno scientifico arbitraggio a senso unico. Iniziato al 30” (secondo! secondo mort***i sua!) quando Moretti ha cercato di aiutare i fisioterapisti a risolvere i fastidi di Florenzi alla caviglia polverizzandogli l’arto; proseguito giudicando non da rigore un intervento in scivolata a gamba alta su Pjanic;  sapientemente concluso ammonendo i giocatori della Roma ogni volta osassero anche solo avvicinarsi gli avversari.

2) La fenomenite di Garcia. Deve essere un virus che, prima o poi, colpisce anche i piu’ grandi. Far fronte alle emergenze di solito permette ai grandi allenatori di trovare soluzioni geniali destinate a fare scuola, su tutte si ricorda il 4-2-3-1 varato da Spalletti per far fronte ai contemporanei infortuni di tutto il reparto d’attacco. Ma a volte, anche i piu’ duri e insospettabili, vengono colpiti da raptus incontrollabili. Addirittura Fabio Capello, in Champions contro il Liverpool, non resistette all’impulso drammatico di schierare Assuncao all’ala destra. Degli abomini tattici di Luis Enrique, Zeman e Andreazzoli preferisco non parlare finchè gli studi scientifici non daranno una risposta e una cura. Alla luce di tutto ciò, la scelta di ieri di mister Garcia di schierare Bradley nel terzetto di centrocampo spostando Pjanic nel tridente d’attacco aveva tutto per lasciare il segno sul primo stop stagionale.

3) La visita di Emerson a Trigoria. Ora, che “il puma” porti sfiga lo sanno tutti. Anche i muri. Altro che “Patente” di Pirandello, questo è riuscito a far finire in B la Juve… Sapere che sabato era andato a far visita a Trigoria non prometteva niente, ma proprio niente, di buono. Chissà se prima o poi ha intenzione di andare a vedere com’è fatto lo Juventus Stadium..

4) Il Thierry Henry de Valmontone. Cerci è, in fin dei conti, un buon giocatore. Niente di piu’, però. Corre tanto e ogni tanto segna. Praticamente come Gervinho. Diciamo che il soprannome che gli fu dato nella Primavera della Roma è un tantino esagerato. Solo che essendo un ex (per di piu’ scaricato con quello che, all’epoca, fu un affare strabiliante) è assurto al ruolo di fuoriclasse incompreso, desideroso di vendetta, affamato di gloria. E quindi, per questa partita, era destinato a trasformarsi nella sintesi perfetta tra Cristiano Ronaldo, Messi e Rooney.

5) Ventura. Fiacco, malandato, depresso, contro il Napoli. Arrendevole e scarico contro la Juve, capace addirittura di accettare il verdetto del campo dopo aver perso un derby con un gol chiaramente da annullare. Inspiegabilmente tarantolato, incontenibile, tatticamente ineccepibile ieri.

6) La porta inviolata. Che i record di imbattibilità siano fatti per essere battuti è storia vecchia. Che i record nel calcio non servano a niente se non corrispondono ai punti e alle posizioni in classifica è evidente (basta pensare a quante volte le squadre di Zeman hanno avuto il miglior attacco). E piu’ vai avanti piu’ la statistica non aiuta. Però il fatto che ieri la Roma (in piena emergenza da settimane) abbia subito il secondo gol in undici partite giocate continua a sembrarmi un dato esaltante.

Insomma, con tutte queste premesse il risultato a cui la storia ci ha abituato sarebbe stato un 3-0 secco per i granata. Ecco perché il pareggio, tutto sommato, è una mezza vittoria. Perché è vero che non si possono vincere tutte. Ma è anche vero che non è obbligatorio perdere. E quindi, intanto, stiamo ancora là. Eh già.

P.s. Non per sembrare insistente. Ma questo è ciò che per Banti non è rigore:

fallo su pjanic in torino-roma

LDAPOST del giovedìcomefossedomenica #14 – il Dieci – Roma-Chievo 1-0

“Dieci” è un sacco di cose.

A parlar di matematica è il numero naturale che viene dopo il 9 e prima dell’11. È anche la somma dei primi 3 numeri triangolari: 1 + 3 + 6 = 10. E la somma dei primi 3 numeri primi: 2 + 3 + 5 = 10. Nonché la somma dei primi quattro numeri naturali: 1 + 2 + 3 + 4 = 10. È anche la somma di due quadrati, 10 = 12 + 32. È la base della numerazione posizionale decimale. Sempre parlando di matematica, è un numero di Harshad (termine che deriva dal sanscrito “harṣa”, che peraltro significa “grande gioia”…fate voi…).

Secondo Pitagora il dieci era il numero perfetto e costituiva il cosiddetto “Tetraktys”, un quartetto disposto nella forma di un triangolo equilatero che, risultando a sua volta come la somma della successione dei primi quattro numeri, rappresentava i quattro principi cosmogonici.

A scuola è il voto massimo che si può ottenere.

È il numero dell’eccellenza. Infatti nel calcio è il numero dei fuoriclasse, quello di Maradona e Pelè. Di Baggio e del Capitano.

Oggi è anche un numero angosciante. “Ma se è il numero delle vittorie conseguite finora dalla Roma!”, direte voi. Appunto, “che angoscia” dico io.

LDAPOST della domenica #13 – Il regalo di compleanno – Udinese-Roma 0-1.

Domenica era il mio compleanno.

Quando capita in concomitanza di una partita, un regalo dalla Roma me lo aspetto sempre. Nonostante la storia sia – da sempre – avara di soddisfazioni (anche queste minime, semplici, quotidiane) con i tifosi giallorossi. Però m’ero abituato bene negli anni della Roma di Capello, quando per un paio di volte il giorno del mio compleanno s’è giocato il derby. Quei derby senza storia, di cui s’era perso il ricordo nel corso delle rivoluzioni culturali degli ultimi due anni.

A volte, però, un regalo può essere talmente inaspettato da lasciarti senza parole. Senza fiato. A bocca aperta. Così stupito da sembrare deluso. Ecco, il goal di Michael Sheehan Bradley è stato così, un colpo improvviso. Di quelli che o ti fanno impazzì di gioia o te lasciano secco sul divano. Che poi il giorno dopo diventi un trafiletto su “Leggo”, da leggere di fretta in metropolitana mentre si va a lavoro. Aò poraccio, a uno ar go della Roma jè preso un colpo!

Che poi, con il coraggio e la spavalderia che stanno contraddistinguendo la mia annata da tifoso, lo 0-0 me lo sarei preso tutta la vita a inizio partita. Perchè contro le squadre di Guidolin è sempre dura, sarà perchè assorbono l’innata capacità dell’allenatore di suscitare fastidio con quell’insana aria da prete spretato. E me lo sarei preso dopo 4 minuti quando Muriel, che evidentemente con la Roma c’ha un inspiegabile conto in sospeso, ha preso il palo. E alla fine del primo tempo quando Castan e Benatia, con una doppia rovesciata degna di Holly e Benji hanno salvato sulla linea (per onor di cronaca, si trattava del pallonetto piu’ lento della storia del calcio). Me lo sarei preso al 66esimo, quando Maicon prendeva il rosso per un fallo privo di senso. Me lo sarei preso ogni volta che Bergonzi fischiava qualcosa. Me lo sarei preso quando Di Natale, magistralmente servito da Balzaretti (che vojo dì, ancora c’è qualcuno che per spazzare passa la palla in orizzontale!!!), tirava fuori di qualche centimetro. E me lo sarei preso pure all’82esimo se Strootman avesse gestito la palla, se avesse seguito il taglio di Ljajic verso la bandierina, se avesse appoggiato indietro per ricominciare a far girare la palla. Se non avesse visto la capoccia rasata da Marine di Michael Bradley. Se il piattone a giro a uscire dell’americano fosse finito a fil di palo, o avesse intruppato su uno stinco, o fosse finito sul malleolo del portiere.

E invece no. Invece buon compleanno, a me.

LDAPOST della domenica #12 – 5 lunghi giorni – Roma-Napoli 2-0

Così sembra davvero troppo semplice. Sembra facile scrivere di una partita vinta dopo 5 giorni.  Le immagini hanno chiarito ogni dubbio sugli episodi della partita, gli animi si sono calmati e il giudice sportivo ha avuto tutto il tempo per squalificare una decina di curve, qualche distinto e un paio di tribune in giro per l’Italia sull’onda emotiva della “discriminazione territoriale”, la novità per la stagione 2013/2014 ideata dalla fervida mente di Tosel.

In 5 giorni i quotidiani sportivi la partita l’hanno archiviata. Il Corriere dello Sport si è concentrato e smentito almeno un paio di volte sulle presunte dimissioni di Pektovic. La Gazzetta ha dedicato dalle 8 alle 12 pagine al ritorno di Kakà e  Balotelli in Champions League. TuttoSport ha annunciato altri sette acquisti della Juve per gennaio e un top-player (sempre lo stesso da due anni a ‘sta parte, presumo) per giugno.

In 5 giorni Sky ha fatto diventare la clip di presentazione di Real Madrid-Juventus un tormentone tipo “Zalele”.

A me 5 giorni sono serviti solamente per rendermi conto che:

1) Avere un portiere non è un sogno irrealizzabile, e che volevo proprio vedè se Pandev c’avesse avuto davanti Goicoechea. O Stekelenburg. O Lobont. O Curci. O Zotti. O Pelizzoli. O Antonioli. O Sterchele, te lo ricordi Sterchele? Dio mio..

2) Che le punizioni si possono tirare a giro, e segnare.

3) Che Orsato di Schi[f]o i rigori te li può pure dare. Perchè Borriello sarà pure stato furbo, ma se il difensore te s’attacca addosso come ‘na cozza sugli scogli c’è poco da fa’, è rigore.

4) Che Totti s’è fatto male. E se tutto va bene torna a dicembre. E semo rovinati.

5) Che semo rovinati, ma intanto stamo in fuga. E allora, viva la fuga.

LDAPOST della domenica #11- L’uragano – Inter-Roma 0-3

Che poi, che sarebbe stata una serata lunga e difficile s’era capito già da giovedì. Da quando i media hanno cominciato a parlare con dovizia di particolari di “Cleopatra”, una specie di punizione divina sotto forma di temporale che si sarebbe abbattuta con furia cieca su Roma dal pomeriggio di sabato. Cioè esattamente per fare in modo che il segnale di Sky cominciasse a saltare durante il riscaldamento, costringendo l’ingenuo tifoso (convinto di essere abbonato ad una moderna e tecnologica tv satellitare e non ad una rivisitazione delle tv a valvole degli anni settanta) a resettare decoder, risintonizzare canali e a tentare di aumentare preventivamente la potenza del segnale con pentole e padelle.
Così, mentre già m’immaginavo con lo sguardo fisso su uno schermo inesorabilmente blu con la centro la beffarda scritta “segnale debole o assente”, m’accorgo che il Capitano scende in campo e fuori non fa manco ‘na goccia. Che sarebbe pure un buon segno, verrebbe da dire. Questo se uno non fosse talmente abituato a fregature di ogni sorta, da interpretare i segnali positivi come parti della sceneggiatura della delusione perfetta. Perchè quando hai vinto 6 partite su 6, la settima non fa paura: fa orrore. Così sbracci, scalci, smoccoli, te metti le mani nei capelli, te agiti sul divano come stessi in campo e come se tutto quel dispendio di energie contribuisse a fortificare il muro difensivo di nome Benatia-Castan su cui s’infrange l’intraprendenza iniziale dell’Inter. E ogni volta che Mazzari allo stesso modo scalcia, se sbraccia, smoccola, se agita e se mette le mani nei capelli in panchina dalla gola te esce un mettete seduto, a coatto!, pronunciato con l’espressione schifata dell’appassionato di teatro che si trova in platea durante la proiezione di un cinepanettone.  E solo al 18° minuto i lineamenti si distendono un attimo. Quando Gervinho, resistendo alla tentazione di lanciarsi da solo a testa bassa sul retropassaggio di Ranocchia (e trasformarlo in una verticalizzazione degna di Xavi),  aspetta, s’accentra e la passa al Capitano. Che con una botta rasoterra a fil di palo lascia Handanovic di stucco, Mazzarri senza giacca e me senza voce. Ma è troppo presto, manca ancora tanto. E allora te rimetti concentrato e scalci, sbracci, smoccoli, te agiti, te metti le mani nei capelli. E te sembra che stai lì pure te per respinge, contrastà, rintuzzà e rimpallà. E quando non ce se fa…il palo, caro il mio Guarin, stà proprio là. Fermo. Per tutti e da sempre. Potevi mirà meglio amico mio. E come il palo stanno ferme le linee bianche, pure quelle dell’area di rigore. Solo che Gervinho è talmente veloce che quando Pereira s’arrende e con la faccia stremata sgambetta il centometrista ivoriano, l’effetto “forward” manda in confusione il sempre confuso Tagliavento, che prende fischi per fiaschi e fischia il rigore. E vaffanculo – dico io – me lo prendo, che quando me ricapita. E Totti lo segna [oh, sia detto per inciso, sono 230]. E mentre Mazzari continua a smoccolà, a sbraccià, a protestà (ma rimettete a sede, a coatto!) c’è ancora tempo per elevare il contesto vociante dei tifosi di calcio a colto pubblico del balletto classico. Perchè quando il Capitano recupera palla, la stoppa di petto, palleggia e appoggia d’esterno, l’effetto è da “Lago dei Cigni”, mica da partita. Pure Florenzi lo capisce subito, e invece di litigà con lo stop, tira di prima a incrociare lasciando Handanovic a terra, Mazzarri a mangnasse la cravatta (che manco Rockerduck col cappello su “Topolino”), e Moratti a aggiornà il pallottoliere. E quando Tagliavento, sempre più confuso da esibire a senso unico i cartellini gialli, fischia la fine del primo tempo con la Roma che vince 3 a 0 a San Siro, io mi sento stremato come se avessi giocato. Poi…vabbè poi c’è il secondo tempo. Solo che Mazzarri è già rimasto in maniche di camicia e l’idea di vederlo finì in mutande spaventa così tanto Florenzi e Gervinho da convincerli a evitare di infierire. Rimane solo Tagliavento, che continua a brandire il cartellino giallo come una ripicca. “Te permetti de stà 3 a 0, e io t’ammonisco. Tiè!”. Non c’ha pietà neanche per poroTaddei, che pure si era presentato in campo con un doppio taglio da ultimo dei Mohicani che ne esaltava i lineamenti da “m’ha già ammonito madre natura”. Solo dopo aver espulso Balzaretti la giacchetta nera della sezione di Terni si placa e fischia la fine. Con buona pace di Mazzarri, di Moratti e di “Cleopatra”. Che pure l’uragano, ieri sera, si deve esse fermato a guardà la Roma.