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“Il nuotatore”, voleva essere un grande thriller.

Tradotto in 28 lingue in pochissimo tempo. Un numero enorme di copie vendute in tutto il mondo. Il nuotatore si presenta come un thriller classico, ricco di suspense e colpi di scena.

Il nuotatore, Joakim Zander, Bompiani.
Il nuotatore, Joakim Zander, Bompiani.

Ad attirarmi, oltre al titolo a me particolarmente affine, è stata – dopo averlo sfogliato un po’ – la narrazione affidata a voci diverse (in questo caso tre). Espediente che, in altri libri dello stesso genere, mi aveva colpito positivamente. E in effetti, per quanto inizialmente risulti complicato seguirne l’intreccio, la storia diventa, capitolo dopo capitolo, molto coinvolgente. Probabilmente grazie alle sue esperienze lavorative l’autore, Joakim Zander (avvocato svedese con incarichi in Medio Oriente e a Bruxelles), riesce a creare un contesto politico-lobbistico degno dei migliori legal-thriller e delle migliori spy-story. Purtroppo però gli ultimi capitoli non mantengono lo stesso livello. La storia sembra troncata in fretta, con una sparatoria che, più che ai grandi esempi del genere somiglia a quella di un film western: bang bang bang e i buoni vincono.

Peccato.

Poi, solita annotazione da “rompiscatole”: l’autore in primis, e poi il traduttore, dovrebbero stare molto attenti alle ripetizioni. Lo stesso aggettivo ripetuto tre o quattro volte in una pagina trasmette la sensazione di un lavoro affrettato e sciatto, più affine a un “libro nel cassetto” autoprodotto che a quella di uno di successo in tutto il mondo.

 

Jo Nesbo, Polizia. Da leggere assolutamente.

Oslo è sconvolta dai delitti del “macellaio dei poliziotti”. L’hanno chiamato così per la violenza inaudita con cui si accanisce sulle sue vittime, tutti poliziotti attirati e uccisi sui luoghi di crimini irrisolti su cui avevano indagato.

Ma chissenefrega, in fondo.

Jo Nesbo, Polizia. Einaudi.
Jo Nesbo, Polizia. Einaudi.

Perché il punto è sapere che fine ha fatto Harry Hole, che nell’ultimo capitolo de “lo Spettro”, con due pallottole in pancia e una – probabilmente – in testa, cadeva a terra pensando Finalmente è tutto finito. Il punto è sapere che fine ha fatto Oleg, il figliastro di Harry, se così si può definire il figlio di una (ex) fidanzata devastato dalla tossicodipendenza che, peraltro, è quello che ha sparato. Il punto è capire chi è quella persona in coma, per ferite da arma da fuoco, attorno a cui ruota la prima parte del libro.

A questo punto, se avete intenzione di comprare “Polizia”, se lo avete iniziato, se lo avete dimenticato sotto altri libri sul comodino, non continuate a leggere questo post perché – ebbene sì! – ho intenzione di spoilerare un po’.

Perché è quando la trama si è già intrecciata e “il Macellaio” sembra già inafferrabile che Katrine Bratt ci porta in un’aula della scuola di polizia ad assistere alla lezione di un docente con una cicatrice che come una crepa nel ghiaccio partiva dall’angolo della bocca e arrivava all’orecchio, un’altra sulla gola, sembrava una ferita da coltello e un’altra ancora sul lato della testa all’altezza delle sopracciglia, poteva essere stata causata da una pallottola. Non è morto. E non è in coma. Harry Hole è vivo. E meno male perché io, in tutta franchezza, ancora mi devo riprendere dalla fine tragica della “Trilogia di Montale” di Izzo.

Il libro è duro. Violenza, crimini e tradimenti. E come sempre Harry Hole è in bilico tra l’arrampicarsi (a fatica) verso la felicità o lasciarsi precipitare nel dolore. Tra il caffè e la bottiglia. Tra costruire qualcosa di stabile, di bello, o distruggere tutto. E distruggersi.

Il Libro è rabbia cieca: Faceva tanto male, così male che non riusciva a respirare, così male che dovette piegarsi su sé stesso, come un’ape morente con il pungiglione strappato. E udì un suono sfuggirgli dalle labbra, come se fossero di un straneo, un lungo ululato che riecheggiò per il quartiere immerso nel silenzio.

Ma è anche serenità: Poi Rakel sorrise. E Harry si accorse di sorridere a sua volta, senza sapere chi dei due avesse cominciato. Lei tremava un pochino. Stava ridendo dentro di sé, e la risata stava montando così rapidamente che da un momento all’altro sarebbe esplosa.

E’ un gran bel libro. Quindi, se avete intenzione di comprarlo, fatelo. Se lo avete iniziato, finitelo. Se lo avete dimenticato sul comodino, correte a leggerlo.

Il mio cuore cattivo.

Il mio cuore cattivo, Wulf Dorn, Corbaccio.
Il mio cuore cattivo, Wulf Dorn, Corbaccio.

Si chiama Dorothea, ma preferisce farsi chiamare Doro, la protagonista dell’ultimo thriller di Wulf Dorn. Ne “il mio cuore cattivo” l’autore tedesco conferma un’inarrivabile talento nel costruire thriller psicologici in grado di inchiodare i lettori alle pagine grazie a questa sedicenne che, invece di vivere una quotidianità “normale”, fatta di scuola, amici, divertimenti e primi amori, dopo la morte del fratellino è tormentata da orribili visioni e da un paralizzante senso di colpa. Neanche il trasloco in una nuova casa e in un nuovo paese riesce a fermare questa spirale di orrore, che sembra risucchiare la ragazza nonostante le sedute di terapia e gli psicofarmaci. Doro, infatti, non riesce a distinguere la realtà dalla sua immaginazione e diventa presto, anche in questa nuova realtà, “Doro la pazza”. Ma è proprio una di queste visioni, forse la piu’ spaventosa e allo stesso tempo, disperata, quella di un ragazzo morto suicida, a spingerla a non arrendersi, a non convincersi di essersi inventata tutto. E ad intraprendere una difficile e dolorosa indagine personale, alla ricerca della verità sulla morte del ragazzo e, contemporaneamente, alla radice della sua “pazzia”.

L’ipotesi del male.

Donato Carrisi è senza dubbio tra i migliori autori di thriller in Italia. Forse il migliore in assoluto. Thriller intensi, con un ritmo simile a un film dell’orrore. Di quei film horror ben fatti, pero’. Quelli che ti incollano alle poltrone del cinema proprio come le storie di Carrisi  ti fanno rimanere incollato alle pagine del libro.

Donato Carrisi, L'ipotesi del male, Longanesi.
Donato Carrisi, L’ipotesi del male, Longanesi.

L’ipotesi del male non fa eccezione, costruito in diversi registri attorno ad un temi piu’ adatti al genere: le sparizioni. Nella trama  si avverte la comprensione – senza assoluzioni preconcette, pero’ – per chi desidera sparire per diserazione, perchè sfinito, sconfitto, dalle difficoltà della vita. Ma, allo stesso tempo anche il riconoscimento delle viltà di molti tra i volti raffigurati sugli identikit appesi alle mura dell’ufficio dei poliziotti protagonisti, scomparsi lasciando qualcun altro alle prese   con le stesse difficoltà e con lo stesso dolore. Ritrovare quei volti, quindi, diventa quasi una necessità, una malattia. Un’esigenza (“io li cerco, li cerco sempre”) all’apparenza inspiegabile ma capace di unire investigatori diversissimi tra loro. Gli investigatori potranno guardare in faccia “Kairus”, il “Signore della buonanotte” solo mettendo in discussione molto, quasi tutto, della loro vita personale:  Mila Vasquez (già ne “il Suggeritore”, gran libro peraltro), che dovrà affrontare il suo passato e le sue conseguenti difficoltà nell’essere madre, e Simon Berish, sarà costretto ad uscire dalla “vergognosa” routine di poliziotto reietto.

Peccato, pero’, che la spiegazione degli efferati omicidi attorno a cui ruota la prima parte del libro si perda un po’ con il complicarsi della trama ed il susseguirsi dei colpi di scena, fino quasi a farli diventare ininfluenti per lo sviluppo di una storia in grado, comunque, di tenere sempre sulle spine il lettore.

Incontri d’inverno: Harry Hole (e Jo Nesbø).

Jo Nesbø, lo Spettro, Einaudi.
Jo Nesbø, lo Spettro, Einaudi.

James Ellroy ha dichiarato: il piu’ grande scrittore di crime sono io. Poi c’è Jo Nesbø, che mi sta alle calcagna come un pitbull rabbioso, pronto a prendere il mio posto, appena tirerò le cuoia.

Non conosco bene James Ellroy. Ma dopo aver letto “Lo Spettro” sono sicuro che Jo Nesbø sia tra i piu’ grandi scrittori di crime. Anzi tra i piu’ grandi scrittori, e basta. Perchè Harry Hole è un personaggio vero, che alterna voli ad altezze elevatissime e cadute drammatiche. Dalle quali si rialza, ma delle quali non nasconde le ferite.

Jo Nesbø, l'uomo di neve, Piemme.
Jo Nesbø, l’uomo di neve, Piemme.

E’ un detective ribelle, coraggioso. Ma con gravi problemi di alcool, schiacciato da una vita sentimentale e familiare disastrata. Qualche critico lo ha definito un perdente che alla fine vince sempre. Io lo vedo nel modo opposto: Harry Hole è un vincente che, alla fine, deve sempre fare i conti con una sconfitta. E’ un uomo. Che non si nasconde se da pagare c’è un prezzo alto. E ne “Lo Spettro” è altissimo.