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LDAPOST della domenica. Roma-Sampdoria 0-2. I campioni.

E’ lunedì sera, e piove da domenica. Non vinciamo da ‘na vita. Il primo posto ormai sta a distanze siderali. Il terzo invece sta proprio qui dietro, con tutto il suo carico di prese per il culo. Diteme voi perchè dovrei esse’ ottimista.

Mihajlovic è bravo e stronzo. E infatti in panchina s’incazza e si agita vedendo la sua squadra, molle e distratta, concedere qualche occasione alla Roma. Senza badare al fatto che a noi, viste le prestazioni della Roma di ‘sto periodo, quella stessa squadra molle e distratta ce sembra, tutto sommato, arcigna e convincente.

Le azioni con cui, a strappi, arriviamo al tiro sono tutte in ripartenza. E tutte sventate da Viviano, in versione Neuer-per-una-sera. Che poi, forse, alla luce del ruolino in casa, impostare la partita come una provinciale in trasferta potrebbe pure esse’ una buona idea. Certo poi ci vorrebbe un po’ di piglio a centrocampo. Un po’ di velocità. E infatti le telecamere di Sky non si perdono il labiale di Garcia, inquadrato mentre incita Pjanic a velocizzare e ad essere protagonista. Che poi è quello che je dimo tutti almeno da novembre. Si vabbè, forse “Tira fuori le palle, a rincojonito” è un’espressione un filo meno tecnica di quella usata dal Mister. Ma il senso è quello, eccome.

Comunque, finisce il primo tempo e a me viene in mente, di colpo, Rudi Voeller. Sì, Rudi Voeller. Il tedesco che vola. E me viene in mente pure che se lui avesse ricevuto un decimo dei passaggi vanificati da Gervinho a due metri dalla porta, noi nel 1991 la Coppa Uefa l’avremmo vinta. Eccome. E me viene in mente pure che se al centro dell’attacco ce fosse lui, oggi c’avremmo dieci punti sulla terza. Almeno. Altro che prese per il culo.

Ecco. E’ lunedì sera e piove da domenica. Non vinciamo da ‘na vita e m’è tornato in mente Rudi Voeller. Diteme voi perchè dovrei esse’ allegro.

La Roma è lenta, fiacca, prevedibile e confusa. Esattamente l’opposto dello schema su calcio d’angolo di Eto’o: veloce, studiato e letale. 0-1. Segna De Silvestri. Che, peraltro, è laziale. Peraltro.

E siccome al peggio – è proprio vero – non c’è mai fine, col risultato da recuperare esce Totti per Verde. Poi entra Doumbia per Iturbe. Attacco rivoluzionato, e il risultato è che l’azione più nitida se la crea Torosidis. Che però c’ha i piedi di Torosidis, mica de Iturbe o de Totti. E comunque, a scanso di equivoci, mentre il terzino greco sta ancora con le mani in testa a evoca’ l’anima de li mejo figli de Zeus Panhellenios, Garcia lo toglie per Ljajic. Quella palesata dal tecnico della Roma non è confusione. So’ segnali di disturbo bipolare.

E comunque al termine de ‘sta vorticosa girandola di attaccanti improvvisata dal tecnico francese come fosse un Carlos Bianchi qualsiasi, la Samp fa entrare Muriel. E fa il secondo.

Famola finita qui.

Che sì, de ‘sto passo non arrivamo manco terzi. Ma in quanto a figure de merda semo sempre i campioni.

LDAPOST della domenica. Chievo-Roma 0-0. Peggio di così…

Che sarebbe stata una partita strana me ne so’ accorto già dall’ingresso delle squadre in campo. Quando il Chievo ha inspiegabilmente rinunciato alla classica maglia gialla e blu (peraltro già discutibile di suo) per presentarsi travestito da Pescara. Esasperando, nel nome di un presunto marketing, quell’oltraggio all’eleganza che deve essere materia di esame nei corsi di design della moda sportiva.

Invece, per rendermi conto che sarebbe stata una partita di merda (anzi no, che sarebbe stata l’ennesima partita di merda) me ce so’ voluti esattamente 11 minuti. 11 dannati minuti passati a rincorrere Paloschi, Hetemaj, Schelotto e Pellissier nella nostra metà campo. 11 fottutissimi minuti durante i quali i piedi vellutati di Manolas e Astori si esibivano in tutto quel repertorio di palle in tribuna, spazzate e campanili dimenticato dai tempi di Carlos Bianchi.

Raccapricciante è l’unico aggettivo che mi viene in mente.

Raccapricciante come l’immagine della gamba fratturata di Mattiello. Poraccio.

Raccapricciante come le triangolazioni sulla fascia sinistra del nonno di Cole e del fantasma di Gervinho, concluse sempre con la palla in una direzione e lo scatto dalla parte opposta.

Totti che recupera un pallone a centrocampo e, da solo, tenta la percussione centrale palla al piede rende l’idea della staticità della squadra. E al suo ennesimo – e quasi disperato – tentativo personale Dainelli cerca di pareggiare il conto delle fratture. L’intervento sulla caviglia del Capitano è così limpido, deciso e mirato che il pubblico, vedendolo rialzarsi senza stampelle, bendaggi, gessi o barelle, non ce può crede e je urla “buffone!”.

Per quello che gli consentono gli anni e le pedate degli avversari Totti è l’unico che ce prova. Chiama il pressing, incita i compagni a non schiacciarsi, corre a infastidire i rilanci di Bizzarri. E inciampa. Ecco, quella goffa caduta e le conseguenti prese per il culo del pubblico clivense (che, me rendo conto, abituato com’è a vedere campioni come Eriberto, D’Angelo, Marazzina, Lazetic e Manfredini, uno come Totti non può che schifarlo) sono l’immagine di quanto per ‘sta squadra di sopravvalutati e presuntuosi il Capitano si esponga a figuracce che, per storia, classe e umanità, proprio non si merita.

All’intervallo più che un the caldo mi ci vuole un antidepressivo.

Inizia il secondo tempo. E per dar conto delle giocate di Cole e Gervinho ce vorrebbe un luminare di psichiatria.

Ljajic e Verde per Paredes e Totti sono le mosse di Garcia. Evidentemente, visto il recente filotto di splendidi risultati, il fatto che il Capitano debba uscire al sessantesimo è mossa che merita di essere reiterata. E altrettanto evidentemente l’ottima prestazione offerta da Gervinho (quella del 17 settembre col CSKA, però!) convince il Mister a lasciarlo in campo sempre e comunque.

I guizzi (flebili e sparuti, peraltro) di Ljajic e iturbe si infrangono contro l’atavica assenza di un centravanti. Ma, con Doumbia e Sanabria comodamente seduti in panchina, la mossa della disperazione è l’ingresso di Pjanic (un altro in splendida forma). Della serie “speriamo che sculiamo una punizione”. Infatti, da quel momento, facciamo solo falli in attacco.

Finisce com’era cominciata.

Ottavo pareggio in 10 partite.

Peggio di così, ce sta solo Josè Angel.

LDAPOST della domenica. Roma-Juventus 1-1. E pareggio sia.

Pronti-via. E subito botte. Solo che stavolta cominciamo a menà noi. De Rossi, Totti e Torosidis timbrano le caviglie di Vidal, Marchisio e Chiellini. E a me, sta grinta, mi piace. Eccome. A meno che, e il dubbio s’insinua al primo pallone recuperato e gestito dalla Juve, tutta ‘sta irruenza non sia il segno che “pronti-via” e siamo già in debito d’ossigeno..

La partita è tesa e le azioni confuse. La prima occasione nitida capita sui piedi di Manolas. Il piattone rasoterra a botta sicura del greco fa la barba al palo. Solo che la porta era la nostra.

Nonostante alcune approssimazioni tecniche da brividi (una percussione centrale di Yanga Mbiwa si conclude con un inciampo clamoroso degno di “Paperissima” e scatena il contropiede della Juve) si intravede un po’ di coraggio. E questo basta a farmi sperare nell’impossibile.

Ljajic, tecnicamente, sembra di un altro pianeta. Holebas, invece, proprio di un’altra galassia. Però che opposta a quella di Ljajic. E visto che stamo in tema astronomico, i cross che partono dai piedi del terzino greco non risultano nè fuori misura nè imprecisi. Ma proprio diretti in culo alla Luna.

E in questo caotico universo che anima il prato dell’Olimpico, Orsato di Schi[f]o si erge con la potenza di una supernova. Fischia a caso, ammonisce altrettanto a caso. E non contento espelle Torosidis per niente.

Punizione dal limite.

tevezL’inquadratura di Sky dalle spalle di Tevez è memorabile, se uno fosse un appassionato straniero interessato esclusivamente all’aspetto puramente spettacolare della partita.

A me lascia solo presagire il peggio.

Che, puntualmente, si compie. 0-1.

Florenzi per Ljajic, Iturbe per Totti e Nainggolan per De Rossi sono le mosse di Garcia. I fantasmi di Pjanic e Gervinho rimangono inspiegabilemente in campo.

Manco il tempo anche solo di pensare a una prima accelerazione, e Vidal brutalizza le gambe di Iturbe. Stavolta però la cosa a Orsato non sembra riguardare. Ma vedi un po’ che strano..

La Roma in dieci, con Florenzi nel ruolo (mortificante) di terzino e con un solo attaccante in grado di puntare e saltare gli avversari, crea in venti minuti più occasioni che nelle ultime 5 partite. E Keita pareggia su calcio d’angolo. Anzi no, è autorete de Marchisio. Anzi no, la palla andava in porta, è di Keita. Anzi no. Ma sì. Ma ‘sti cazzi.

E tanto è il caos, tanti i nervi, tanta l’adrenalina, che alla fine varrebbe la pena crederci. Varrebbe la pena buttarsi avanti all’arma bianca e giocarsi con foga disperata le ultime carte. Perché la Juve, incredibilmente, accusa il colpo. E si rotola a terra, simula, e perde tempo come un Galatasary qualunque.

Ma la paura dell’ennesima beffa è più forte anche della disperazione.

E pareggio sia, allora. Tanto ormai..

LDAPOST della domenica. Verona-Roma 1-1. Fine dei giochi.

Lungi da me voler insistere con la retorica trita e ritrita dei barbari padani contro Roma, ma il tenore molto agonistico e poco tecnico della partita impostata da Mandorlini s’era capito subito. Dopo soli 2’57” gli interventi assassini sulle caviglie di Florenzi e Keita sono già 3. Gli ammoniti zero. E i vaffanculo si sprecano. Il Verona gioca con tutta la squadra sotto la linea della palla. Quando è costretta, mena. Quando non è costretta, mena uguale. E gli entusiasmi per quei flebilissimi segnali di ripresa lanciati dalla squadra (giusto un paio di sovrapposizioni, qualche strappo, due/tre triangolazioni veloci) sono ampiamente disinnescati dalla capacità di Gervinho di vanificare le azioni all’interno dell’area avversaria in modo sempre diverso e sempre grossolano. Capacità ben nota, ma che la lunga assenza dell’ivoriano per la stramaledettissima Coppa d’Africa mi aveva fatto dimenticare.

Poi, di colpo, dal nulla, all’improvviso, Totti calcia da fuori. Angolo basso. Destra del portiere. 1-0.

Gli scaligeri non si scompongono. Sempre tutti sotto la linea della palla (Toni a parte, “spregiudicatamente” lasciato in avanti) e randello in azione. Manco 10 minuti e Hallfredsson azzoppa Florenzi. Il giocatore si contorce dal dolore ma lo staff medico della Roma, lucido e puntuale come d’abitudine, lo rimanda in campo con la caviglia distorta, a difendere su un calcio d’angolo. Florenzi neanche accenna un salto e Jankovic lo sorvola. Colpo di testa, doppia deviazione, e 1-1. Non c’è neanche il tempo per finire di smadonnare che, all’ultimo minuto del primo tempo, come un artistico vezzo tra le parole “Porca” e “Mignotta”, la traversa centrata dalla punizione di Ljajic certifica indiscutibilmente il momento catastrofico.

Il secondo tempo inizia con una serie interminabile di inutili e lentissimi passaggi orizzontali. Tachtsidis (oh, Panagiotis Tachtsidis, mica Modric!) sovrasta Pjanic per intensità e lucidità nelle giocate. Juanito Gomez in quanto a velocità mortifica Keita. Hallfredsson continua a colpire tutto quello che vede muoversi sopra l’erba. Gervinho, nel frattempo, si crede Garrincha. Ma pare Bartelt.

Tanta è la lentezza e l’approssimazione della Roma nella costruzione dell’azione e nel rovesciare il fronte di gioco che il Verona ci prova. Torosidis si immola sulla linea e, respingendo un bolide a botta sicura di Hallfredsson, ci salva dal baratro. Rovinandogli peraltro la gioia – rarissima per il centrocampista del Verona – di aver colpito il pallone invece della rotula di un avversario.

La soporifera manovra della Roma ha evidente bisogno di forze fresche, e di freschezza in generale. E al 65esimo, mentre l’approssimarsi di un calcio d’angolo ci faceva sognare (perché giusto quello c’è rimasto) un’acrobazia stile derby, dal cilindro di Mister Garcia esce il cambio Doumbia per Totti.

Il labiale del Capitano “aspetta porcoddinci” è sensibilmente più signorile del mio.

Fine dei giochi.

LDAPOST della domenica. Roma-Parma 0-0. Nuvole basse.

La fregatura era dietro l’angolo. Ce lo insegnava la storia della Roma (con l’innata capacità di far tornare in salute i malati più disperati) e l’elenco di statistiche negative degli avversari. Eppure tanto era – ed è – disperata la condizione psico-economica del Parma da far sperare che la Roma – seppur rimaneggiata, acciaccata e spuntata – sarebbe riuscita a fare quello che, fino ad oggi, contro i gialloblù ha fatto un buon 90% delle squadre di Serie A: vincere.

E nonostante un inizio lento e macchinoso, il primo anticipo azzeccato da Cole nella stagione (per carità, già al 25esimo del primo tempo) faceva davvero pensare che ‘sto pomeriggio uggioso ci avrebbe riservato un sorriso.

Sì, col cazzo.

Doumbia, neo arrivo e neo campione d’Africa, stravolto da un mezzo giro del mondo e un conseguente jet lag che avrebbe stroncato un supereroe, viene buttato inspiegabilmente nella mischia dopo aver, con ogni probabilità, avuto il tempo di capire solo il senso letterale del motivo del suo acquisto. E quindi per “sostituire Destro” ha sfoggiato una proprietà di palleggio degna dei tornei da Bar dello Sport, una lucidità nei movimenti verso l’aria piccola degna del predecessore e il talento naturale di stare in mezzo alle palle nei momenti decisivi (ostruendo per due volte la porta ai tiri di Ljajic). E il fatto che Keita, dopo l’ennesimo passaggio sbagliato, già al 31esimo si mettesse le mani tra i capelli scuotendo la testa dava idea di quello che avremmo dovuto vedere e sopportare. Cioè pressappochismo nei passaggi, impalpabilità nelle conclusioni e ritmi talmente lenti da far sembrare Cole un giocatore proponibile in serie A.

Tra i titolari solo Florenzi e Ljajic (inspiegabile la sua sostituzione) hanno provato a scuotere la squadra. E a scuotermi da quel torpore in cui il mix divano, nuvole basse e partita di merda mi aveva fatto precipitare. E solo i tre ragazzi subentrati (Verde, Sanabria e Paredes – inciso nell’inciso: forse valeva la pena dargli una chance al posto dei due fantasmi ivoriani?) hanno mostrato di poter imprimere, seppur nella confusione generale, un cambio di passo. Li ringrazio, tutti, per il tentativo. Reso mirabilmente vano dai patetici tentativi di Gervinho di stoppare palloni con il petto, e dalla scelta di attaccanti e centrocampisti di non attaccare mai (mai! mai!) l’area piccola. Aggiungiamoci poi che, nelle sparute circostanze in cui quel rettangolo di 18,32m x 5,50m tra la linea di porta e il dischetto del rigore vedeva la presenza di maglie giallorosse, cadute rovinose (Doumbia) e traverse spizzate da venti centimetri (Cole) non hanno fatto altro che rendere le prospettive ancora più cupe. Le nuvole ancora più basse. E i rodimenti di culo ancora più vorticosi.