Giampaolo Pansa ha scritto un nuovo libro, “Eia eia alalà”. Il sottotitolo è “Controstoria del fascismo”. Infatti finisce così:

Il desiderio di essere come tutti non è un superficiale desiderio di omologazione. E’ il desiderio di veder riconosciuta – da tutti – una propria “diversità”. Ma è anche, allo stesso tempo, il desiderio di vivere la propria “diversità” (politica, sociale, intellettuale, persino sportiva) come un’opportunità e non come una elitaria esclusività. Questo racconta Francesco Piccolo, ripercorrendo momenti ed episodi significativi della sua vita e della sua formazione contestualizzandoli tra i tumulti politici degli anni Settanta, le trasformazioni “rampanti” degli anni Ottanta e il ventennio berlusconiano a cavallo del duemila. Ed attraverso queste tappe, riflette sull’abitudine della sinistra italiana (in tutte le sue evoluzioni: dal PCI di Berlinguer post rapimento Moro, al Partito della Rifondazione Comunista di Bertinotti, alla forzata e controproducente esperienza del governo D’Alema) di arroccarsi in un’autoreferenzialità impermeabile al confronto.
L’idea del libro è, in fondo, interessante. Ma è sbilanciato: tanto delicato, ricco di sfumature e autoironico nella prima parte (“la vita pura: io e Berlinguer”) quanto scontato e ripetitivo nella seconda (“la vita impura: io e Berlusconi”).
I paragrafi trasmettono l’idea di un ricco e corposo diario, in cui a riflessioni meditate si alternano appunti scritti di getto. Peccato che alla revisione siano sfuggite alcune ripetizioni fastidiose che lasciano l’impressione di un superficiale “collage” di appunti.
Per quanto siano numerosi e interessanti gli spunti per approfondimenti cinematografici (“La Terrazza” di Ettore Scola, “Come Eravamo” di Sidney Pollack) e letterari “L’insostenibile leggerezza dell’essere” e “La lentezza” di Milan Kundera, “La promessa” di Friederich Durrenmath), si perde nell’autobiografia “spicciola” (il lavoro di sceneggiatore per “il Caimano” di Moretti, ad esempio) lasciando l’impressione proprio di quell’abitudine all’elitarismo della sinistra che, invece, analizza e critica con fredda lucidità. Scrive l’autore: la sinistra si deve occupare di procurare cibo per sopravvivere e si deve occupare di procurare coralli per le collane. Se non fa entrambe le cose – come non ha fatto – diventa elitaria e dispregiativa. Appunto.
Mi è sembrato un libro poco spontaneo. Costruito per piacere, e per piacersi. E per vincere. Infatti ha vinto il Premio Strega. Un’esagerazione.
Quale filo conduttore può unire gli emigranti italiani in Sudamerica, il grande Torino, l’Argentina di Videla e dei desaparecidos, i campesinos, il Bogotazo e le rivolte colombiane contro la United Fruit Corporation, il viaggio in motocicletta di Ernesto Guevara e Alberto Granado?

Il calcio. Un pallone di cuoio, marrone come il cioccolato, cucito a mano che rotola sul campo dell’Independiente Sporting, la peggior squadra del Sudamerica. Che non ha mai vinto una partita, ma rappresenta un’occasione. Una possibilità. Il simbolo di come lo sport possa cambiare le persone, e come possa renderle consapevoli di poter cambiare la propria vita e il mondo.
E a raccontare come una palla sul palo possa cambiare (in peggio) la storia e un rigore calciato fuori possa cambiare (in meglio) una comunità, non può che essere chi le mille sfaccettature dello sport le conosce davvero. Mauro Berruto, infatti, è ct della nazionale maschile di pallavolo, medaglia di bronzo alle olimpiadi di Londra 2012. Ma soprattutto è un autore capace di trovare queste parole:
Molti emigranti hanno portato con sé sulla nave un gomitolo di lana, lasciandone un capo nelle mani di un parente. Quando il piroscafo prende ad allontanarsi dalla banchina, dolcemente e inesorabilmente quei gomitoli cominciano a disfarsi, con lentezza. Man mano che la nave si allontana quei fili si spiegano nella brezza del porto finché il gomitolo termina. E quando l’ultimo pezzetto di lana scivola via dalle dita degli uomini e delle donne sul piroscafo, quei fili volano per qualche attimo a mezz’aria sostenuti dal vento. “Perchè non ci hanno attaccato niente?” mi chiede mia figlia Benedetta. “Sembrano aquiloni senza l’aquilone.” “Ci hanno attaccato l’anima, amore mio.” Volano leggeri, quei fili, per qualche secondo. Poi cadono in mare, lentamente. Senza rumore.
Applausi.

Miss Shepherd è un’anziana e burbera signora. Una “barbona”, potremmo dire. Poco avvezza alla cura dell’igiene personale, all’ordine e alla gentilezza. Accumula cianfrusaglie e immondizia in sacchi di plastica che stipa nel furgone dove vive. Furgone che, per inciso, è parcheggiato nel giardino di Alan Bennett. E’ lui, infatti, che, sotto forma di un diario (anche se aggiornato saltuariamente) racconta la difficile convivenza. Senza far mancare le stoccate tipiche dello humor inglese sui modi scontrosi (e gli insopportabili fetori) di Miss Shepherd, Bennett con delicatezza ed eleganza racconta una fragile amicizia tra un integrato e un’emarginata. Tra un normale che vorrebbe sentirsi dire “grazie” e un diverso che, a modo suo, pensa di dirglielo.
La domenica prima di morire andò a messa, cosa che non succedeva da molti mesi; il mercoledì mattina aveva acconsentito a farsi fare un bagno, a mettersi dei vestiti puliti e a coricarsi nel furgone con delle lenzuola pulite; e la notte stessa morì. (….) Non era stato il bagno a uccidere Miss S., come avevo ipotizzato scherzosamente; lasciarsi lavare e rivestire era stata insieme una preparazione alla morte e la sua accettazione.
Molto bello.

Era tanto che non leggevo qualcosa di Benni. Eppure ho riconosciuto subito, fin dalle prime pagine, le parole, le immagini, addirittura – mi viene da dire – gli odori dei personaggi e dei luoghi descritti. Il fumo denso di una sala biliardo, il sapore aspro dei resti degli amari lasciati nei bicchieri, il forte odore di pesce dei vestiti dei pescatori.
Sono due racconti. Anzi no, sono due storie, molto più di due semplici racconti. Quasi due romanzi in miniatura, arricchiti dalle delicate illustrazioni di Luca Ralli.
La storia di Pantera, la giovane campionessa di biliardo che sconfigge i campioni (o i presunti tali) dell’Accademia dei Tre Principi, e quella di Aixi, la giovane pescatrice che accudisce il padre malato, hanno in comune il bivio, la scelta. Una scelta fatta – forse subita – che ormai appartiene al passato, quella di Pantera, e una da fare, rivolta al futuro, quella di Aixi.
Si, molto bello.