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Il cacciatore di teste. Non il migliore Nesbø, ma non da buttare.

Sicuramente non è la miglior prova di Jo Nesbø.

Jo Nesbø, il cacciatore di teste, Einaudi.
Jo Nesbø, il cacciatore di teste, Einaudi.

Il ritmo stenta tanto all’inizio, quando si svelano le due nature del protagonista (infallibile cacciatore di teste e inafferrabile ladro di opere d’arte). E accelera in un vorticoso crescendo (anche eccessivamente) nella seconda parte. Inseguimenti, violenze, un po’ di sesso ed esagerazioni varie che sembrano strizzare l’occhio più alle serie tv che al noir. L’immersione del protagonista nei liquami di un bagno (e successiva descrizione del “panorama” da quel privilegiato punto di vista), ad esempio, scatena l’irrefrenabile esigenza di andare avanti nella lettura. Più per sedare il voltastomaco che per la suspence, però.

Nonostante questo Nesbø offre – come consuetudine – personaggi interessanti, mai banali. Non c’è un “eroe”, stavolta. Roger Brown non suscita simpatia. Tantomeno alcun genere di empatia. Anzi, è lontano anni luce dalla carica umana e sentimentale di Harry Hole (perchè tanto, i personaggi di Nesbø è con Hole che devono confrontarsi). Però, non è un personaggio “vuoto”. Ha un vissuto, un carattere, debolezze e obiettivi (più o meno leciti). E’, insomma, un personaggio originale. E’ questa, secondo me, la caratteristica che rende grande Nesbø. I suoi personaggi sono sempre diversi, nessuno è mai la copia (anzi, la brutta copia) di altri.

Non è la miglior prova di Nesbø, dicevo. Ma non è un thriller da buttare.

La vita in generale.

Mario Castelli è “il Generale”.

Tito Faraci, La vita in generale, Feltrinelli.
Tito Faraci, La vita in generale, Feltrinelli.

Un imprenditore caduto in disgrazia che vive insieme ad un gruppo di senzatetto. Uno dei tanti barboni, dunque. Ma non uno “fra” i tanti barboni. Il Generale è diverso. A lui sono riconosciuti carisma e saggezza, e anche se della sua vita passata non sanno nulla, per i suoi compagni di sventura è la persona alla quale affidarsi. Alla quale, senza dubitare, chiedere un parere per risolvere i contrasti (grandi e piccoli) nati “sulla strada”. E’, quindi, quel leader attorno a cui ricreare uno spicchio di quella stessa società che, per scelte sbagliate, debolezza o destino, li ha emarginati.

Tito Taraci racconta con il ritmo e la semplicità del fumetto (è, infatti, autore di storie per Topolino, Tex, Diabolik, Dylan Dog) e le sfumature della fiaba, le peripezie di un gruppo di disperati. Anzi, di un gruppo di diverse disperazioni che, nei piani d’azione ideati dal “Generale” (dalla vendetta contro un criminale a una semplice idea per trovare qualcosa da mangiare) riconoscono la direzione persa nella vita. Ma, allo stesso tempo, Zingaro, Osso, Zagor, Muto e Teresa sono il motivo per cui Mario Castelli ha trovato la forza di rimanere “il Generale”, anche sulla panchina di un parco. Sono l’esercito con cui, rintracciato da Rita, deciderà di tornare a confrontarsi con il mondo della finanza. E lo farà condividendo con loro la barricata e la battaglia. Trovando nel suo riscatto professionale il pretesto per infondere, a tutti, fiducia nelle persone e nella comunità.

Se fossimo alla fine dell’anno, per me “La vita in generale” sarebbe il miglior libro del 2015.

Sangue e neve.

Jo Nesbø, Sangue e Neve. Einaudi.
Jo Nesbø, Sangue e Neve. Einaudi.

Nesbø non tradisce le attese. E dalla sua “penna”, accantonato Harry Hole (da cui dichiara di essersi solo “preso una pausa”), nasce Olav. Un killer dislessico e “astratto”. Che non sa guidare, non sa far di conto, che legge tanto ma a scrivere va “più adagio di quanto cresca una stalattite“. Un killer innamorato di Maria, una ex prostituta zoppa, e sordomuta, ma travolto dalla passione per la bellissima Corina, la seconda moglie (che, per inciso, avrebbe dovuto uccidere) del suo “datore di lavoro”, il boss Hoffman. Un personaggio straordinario, per i cui diritti – si dice – Leonardo Di Caprio e la Warner Bros sono pronti a sborsare milioni.

Scegliendo uno stile più asciutto e diretto, e senza rinunciare alla consueta ironia, Nesbø crea una storia con tutti gli elementi del noir. Dalla rivalità tra bande ai conflitti a fuoco, dal traffico di droga ai regolamenti di conti, fino al colpo di scena finale. Che questa volta, però, assume sfumature romantiche, sentimentali. Proprio come Olav.

C’è poco da dire, Nesbø è un fuoriclasse.

La banda degli amanti.

Avevo lasciato con una certa sofferenza Marco Buratti, Beniamino Rossini e Max “la Memoria” alla fine de L’amore del bandito, il libro della serie che Carlotto ha dedicato al personaggio dell’Alligatore che ho trovato più intenso.

La Banda degli Amanti, Massimo Carlotto, edizioni E/O.
La Banda degli Amanti, Massimo Carlotto, edizioni E/O.

Probabilmente perché più che le intuizioni, le analisi e i tormenti del “paciere” Buratti, adoro il personaggio di Beniamino Rossini. La sua divisa – effettivamente démodé – da gangster, i braccialetti d’oro messi al polso per ogni persona uccisa, l’amore intenso e struggente per Sylvie, il rispetto della parola data anche nelle situazioni più estreme e la sua personalissima “etica della criminalità”. Un personaggio così intensamente “noir” da essere contemporaneamente eroe classico ed antieroe byroniano. Ho divorato, perciò, La banda degli amanti. Che dalla figura di Beniamino Rossini, dall’importanza della sua presenza al fianco di Marco Buratti e Max “la Memoria” e dal vuoto (anche inconsapevole) lasciato dalla sua lontananza, trae linfa per diventare da un vago intreccio iniziale una storia ben definita. La morte di Sylvie è un colpo duro. Per il gangster, per i personaggi e per me, semplice lettore. Carlotto riesce a dar forma ad una cappa di sottintesa malinconia anche quando, lo sviluppo della storia allontana il pensiero da quell’episodio. Anche quando il protagonista di Arrivederci amore, ciao e Alla fine di un giorno noioso diventa inequivocabilmente il nemico da abbattere, anche se mimetizzato da formale, ricco, scrupoloso ristoratore di successo di nome Giorgio Pellegrini (“re di Cuori” dominatore, criminale senza scrupoli, assassino efferato).

E questo è il punto, personalissimo. A me non piacciono gli incontri fra personaggi di libri, o serie diverse. Neanche quando, come in questo caso, l’autore riesce a mantenere vive e ben definibili le caratteristiche di tutti i personaggi evitando, nella dura contrapposizione creata con un personaggio così oscuro, di trasformare “i buoni” in investigatori “alla Topolino”.

C’è poco da fare, mi rimane l’idea di “Godzilla contro King Kong”.

E’ un libro di retrogusti, dunque. Retrogusto di meravigliosa malinconia in ogni pagina, anche in quelle più concitate, e di insoddisfazione finale.

L’intermittenza.

Andrea Camilleri, L'Intermittenza, Mondadori.
Andrea Camilleri, L’Intermittenza, Mondadori.

Quando si allontana dalla ormai esasperante saga-Montalbano, Camilleri ha guizzi interessanti. Ho letto tempo fa “Un sabato con gli amici”, ho letto ora “L’intermittenza”. Li ho apprezzati entrambi, anche se in entrambi i casi mi ci sono volute un po’ di pagine per smettere di aspettarmi l’intervento di Fazio, le scivolate di Catarella o i pistolotti di Montalbano stesso.

Il romanzo è del 2010, ma attualissimo.

Gli affari sporchi, le aziende sull’orlo del fallimento salvate grazie ad oscuri giochi finanziari fatti da manager senza scrupoli sulla pelle dei lavoratori, la politica superficiale, connivente e cialtrona, i conti milionari nei paradisi fiscali, l’agitarsi dei sindacati, sembrano ricalcati dalle cronache economiche (e non solo) italiane. Quello tratteggiato da Camilleri è un capitalismo “sporco”. Sia da un punto di vista imprenditoriale che umano. Un capitalismo corruttore e, a sua volta, corrotto e corruttibile.

Un capitalismo talmente privo di qualsiasi scrupolo, da sembrare descritto oggi. Con la consulenza di Fassina.

Invece si arriva in fondo, e tra i ringraziamenti c’è quello ad Ichino.

Ma, in effetti, il libro è del 2010. E anche questa è l’Italia, appunto.