Baby prostituzione durante gli eventi pomeridiani organizzati in una discoteca della Roma bene, l’omicidio del viscido buttafuori, la tormentata vita condotta da un ragazzo problematico, una madre sexy e decisa a vendicarsi, un commissario innamorato alle prese con un’indagine complicata e con le “vite segrete” delle persone coinvolte.
Una storia attuale (come non pensare agli arresti per le vicende dei Parioli) ma clamorosamente banalizzata. Banali i personaggi, scontate le reazioni (e le “relazioni). Troppo sesso (in molti casi non necessario ai fini della storia) e poca suspence. Il pregio di “Come doveva finire” è che finisce.
James Ellroy ha dichiarato: il piu’ grande scrittore di crime sono io. Poi c’è Jo Nesbø, che mi sta alle calcagna come un pitbull rabbioso, pronto a prendere il mio posto, appena tirerò le cuoia.
Non conosco bene James Ellroy. Ma dopo aver letto “Lo Spettro” sono sicuro che Jo Nesbø sia tra i piu’ grandi scrittori di crime. Anzi tra i piu’ grandi scrittori, e basta. Perchè Harry Hole è un personaggio vero, che alterna voli ad altezze elevatissime e cadute drammatiche. Dalle quali si rialza, ma delle quali non nasconde le ferite.
Jo Nesbø, l’uomo di neve, Piemme.
E’ un detective ribelle, coraggioso. Ma con gravi problemi di alcool, schiacciato da una vita sentimentale e familiare disastrata. Qualche critico lo ha definito un perdente che alla fine vince sempre. Io lo vedo nel modo opposto: Harry Hole è un vincente che, alla fine, deve sempre fare i conti con una sconfitta. E’ un uomo. Che non si nasconde se da pagare c’è un prezzo alto. E ne “Lo Spettro” è altissimo.
A novembre ho incontrato due donne, in due interessanti libri del catalogo Longanesi. Sono Alice Allevi, protagonista de “L’Allieva” di Alessia Gazzola , e la dottoressa Ellen Roth, protagonista “La Psichiatra” di Wulf Dorn. Personaggi molto diversi, e diversissimi gli autori, con un modo opposto di tenere il lettore con il fiato sospeso.
“L’Allieva” di Alessia Gazzola. Longanesi.
Alice Allevi è una specializzanda in medicina legale protagonista de “L’Allieva”. Appassionata ma distratta. Con un grande intuito ma con troppo poca fiducia nelle sue capacità per servirsene. Sfortunata, nel lavoro come in amore. Sensibile al punto da non sopportare i sopralluoghi sulle scene dei crimini ma anche di appassionarsi, per una serie di coincidenze, al caso dell’omicidio della giovane Giulia ed ai morbosi rapporti che la legavano ai familiari. E nonostante un personaggio così marcatamente “anti-suspence”, l’autrice – al primo romanzo – costruisce un intreccio di vicende e rapporti tra i protagonisti in grado, allo stesso tempo, di far sorridere, immalinconire e tenere sulle spine.
“La Psichiatra”, di Wulf Dorn. Longanesi.
“La Psichiatra” Ellen Roth incontra, nella stanza 7 della clinica presso cui lavora, una paziente traumatizzata. Rannicchiata in un angolo, completamente chiusa in se stessa. Che, con la voce di una bambina terrorizzata dall’Uomo Nero imprigionata in un corpo di donna seviziata, le trasmette angoscia e terrore. Intorno a questo incontro – traumatico per la protagonista – ruota la storia. In tutta franchezza, chi sia quella donna terrorizzata si intuisce quasi subito. Così come si riesce a capire abbastanza presto chi sia “l’Uomo Nero”. Ma quello che, fino alla fine, rimane sospeso, misterioso, è il motivo per cui questa donna sia apparsa e poi svanita nel nulla. Dorn ha creato riuscitissime pagine di suspence non sulla ricerca del “chi” ma del “perchè”.
Nel 2004 il Codice da Vinci mi era sembrato un bellissimo thriller. Intrigante, curioso, ricco di suspence. Un libro “da vacanza, ovviamente. Non un capolavoro della letteratura mondiale, ma una bella idea. Angeli e Demoni mi aveva lasciato…diciamo perplesso, nonostante l’ambientazione romana. Così come mi hanno lasciato perplesso le trasposizioni cinematografiche di entrambi i libri. Con Tom Hanks credibile nel discettare di arte, storia, filosofia e religione come un pinguino nel deserto del Sahara. Ho saltato a piè pari Crypto, la Verità del ghiaccio e Il simbolo perduto perchè ritengo sia altamente improbabile per uno scrittore produrre thriller di livello a scadenza periodica. Se non in casi rarissimi, ai quali non mi sembra appartenere Dan Brown.
Inferno, Dan Brown – Mondadori
Di Inferno mi ha incuriosito, ovviamente, l’ambientazione italiana. Ma se avessi voluto una guida storico-artistica di Firenze credo che avrei potuto trovare certamente di meglio in qualsiasi edicola della stazione di Santa Maria Novella. E in merito alle citazioni del poema di Dante, i libri del liceo sono infinitamente piu’ accattivanti. Se c’è infatti una cosa che non sopporto, anzi che mi fa proprio rabbia, è avere il ritmo della trama spezzato da lunghe descrizioni che, piu’ che parti integranti dell’opera, sembrano essere sterili dimostrazioni di cultura da parte dell’autore. Ecco, il libro è tutto così. Ora, capisco che il personaggio – Robert Langdon – sia un professore di iconologia religiosa all’Università di Harvard, ma trovo comunque altamente improbabile che un docente, per quanto preparato ed esperto, se inseguito da uomini armati vada in giro declamando nozioni sulla bellezza delle architetture che incontra e sulle biografie degli artisti che le hanno realizzate. Il tutto all’interno di una serie estenuante di fughe da Firenze a Venezia, da Venezia a Istanbul, fino poi a Ginevra, durante le quali i cattivi diventano buoni, i buonissimi diventano cattivissimi e i cattivissimi tutto sommato per i buoni un po’ di ragione ce l’hanno.
Un romanzo di solitudini e di illusioni. Che non conoscevo e di cui non sospettavo, e non avrei mai sospettato, la bellezza. L’incontro tra un uomo, autoisolatosi da tutto e da tutti, ed una giovane in attesa di un amore sospeso o perduto. Due solitudini diverse che, fondendosi, si trasformano in porte aperte verso il mondo. Ma questo sogno di “normalità” dura il tempo di quattro notti, prima che la solitudine dei pensieri, dei sogni, dei sentimenti, torni ad essere l’unica compagna di viaggio del protagonista.