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La pentola a pressione della Capitale.

L’inchiesta “Mondo di mezzo” mi ha fatto venire in mente questa immagine, una pentola a pressione lasciata sul fuoco a cuocere il mix dei migliori ingredienti che l’attualità italiana è in grado di proporre: piccola, media e grande criminalità miscelata sapientemente con i gangli più ributtanti della politica. E, di conseguenza, ha aperto tre scenari.

Se il sindaco Marino ha lasciato sul fuoco fino ad ora questa pentola prestandosi ad aprire, periodicamente, la valvola per consentire che la cottura di affari ed interessi procedesse a puntino, si dovrebbe dimettere. Subito.

Se il sindaco Marino è stato un cuoco così distratto da aprire la valvola della pentola senza sapere cosa i precedenti “colleghi” avessero lasciato sul fuoco, si dovrebbe dimettere ancora prima.

Se invece, come credo, questa pentola a pressione di crimine è esplosa proprio perché Marino, con tutta la sua grossolana supponenza e la sua antipatica prosopopea, si è rifiutato di aprire la “valvola” (ne scrivevo qui, a proposito della manovra d’aula), allora il commissario giusto per il Comune di Roma è proprio lui. Perchè adesso ha davvero l’occasione di azzerare la giunta e ricostruirla assessore su assessore, ruolo su ruolo, uomo su uomo, tecnico su tecnico. Senza guardare l’appartenenza politica, senza dover rispondere a squallide logiche compromissorie di partito (ne parlavo sempre qui, concludendo a proposito del Partito Democratico romano ). E cominciando, finalmente, a trasformare Roma.

Perché nel momento in cui sembra davvero che fanno tutti schifo e so’ tutti uguali non può passare la tesi per cui di questo “schifo” fanno parte – o, come urlano molti, sono complici – anche gli elettori, gli iscritti, i militanti e i simpatizzanti del Pd.

Auspico quindi che Orfini azzeri – subito! – i tesseramenti. Che Marino azzeri la Giunta e la ricomponga con tecnici ed esponenti della società civile.

E che il Partito Democratico di Roma diventi, finalmente, attore protagonista di un cambiamento, non di uno sfacelo.

Attualità di una vecchia sconfitta.

Il breve e appassionato libro di Ermanno Rea può essere considerato una parentesi del precedente Mistero Napoletano. Uno scritto approfondito, a metà tra l’inchiesta e il giallo, sulla storia di Guido Piegari, fondatore e intellettuale di riferimento del Gruppo Gramsci (attivo a Napoli dal 1940 al 1954) che nelle appassionate riunioni nell’aula IV della Facoltà di Lettere dell’Università di Napoli, discuteva ed elaborava idee dissonanti da quelle del PCI di Togliatti e, soprattutto, da quelle del Movimento per la Rinascita di Giorgio Amendola.

Ermanno Rea, Il caso Piegari, Feltrinelli.
Ermanno Rea, Il caso Piegari, Feltrinelli.

Piegari, in un documento del 1954, tratteggia quella di Amendola come un’organizzazione che si proponeva come autonomo centro di coordinamento di tutte le lotte e le rivendicazioni nel Sud Italia, quasi “concorrenziale” con il PCI nazionale, una sorta “mina vagante” che minacciava la compattezza dello stato al solo scopo di creare un vero e proprio blocco – al sud – di potere autonomo. Quello elaborato dal Gruppo Gramsci, invece, era un meridionalismo basato sull’integrazione politica dell’Italia nel segno dell’egemonia operaia alleata ai contadini e ai sottoproletari meridionali. Gli stessi termini – come mette giustamente in evidenza Rea – della polemica tra chi auspica un’Europa politicamente compatta (unica politica estera, unico centro decisionale) e chi la vuole disunita, frammentata in tanti stati ognuno dei quali intento esclusivamente al proprio tornaconto. Secondo l’autore fu anche lo stile del documento – lungo e francamente illeggibile – a spingere Togliatti ad avallare la tesi amendoliana (o meglio, a non prestare la dovuta attenzione alle istanze del Gruppo Gramsci) emarginando e condannando senza appello, fino all’espulsione dal partito, il “pazzo” Piegari.

Ho trovato particolarmente significativa – e in un certo senso “chiarificatrice” – la trascrizione di una risposta data all’autore da Ugo Feliziani, legato a Piegari da un’intensa amicizia, alla domanda su cosa fosse e volesse il Gruppo Gramsci: cerco di spiegarmi con un esempio. Quando uscì il film Senso di Luchino Visconti a me piacque molto. A gli altri, invece, piaceva Pane, amore e fantasia. La cultura comunista di allora tendeva insomma a rimuovere tutto quanto era oggetto di approfondimento e di ricerca a livello europeo solo perché non rientrava nel filone illuministico, non si iscriveva nella tradizione razionalistica.

Lo veeedi ecco Mariiino 3.0

Da qualche mese la politica a Roma ha preso le forme del tifo calcistico più grossolano. E quindi – a destra come a sinistra – o sei contro Marino e lo consideri un perfetto imbecille, o l’imbecille sei tu, che non hai a cuore Roma. Ora, premettendo che Ignazio Marino non mi suscita alcuna simpatia epidermica (anzi), a me questa logica – per dirla chiaramente – fa schifo.

Innegabilmente, Marino sta compiendo degli errori.

E non mi riferisco solo al “Panda-gate”, vicenda che ha gestito con modi ridicoli e isterici facendola risaltare lui stesso come una questione ben più grave di quanto non fosse (con somma gioia di alcuni editori, peraltro..).

Trovo, ad esempio, sbagliato l’intervento sul traffico e sulle strisce blu, ad esempio.

E molto grave la mancanza di un piano d’intervento strutturale sul trasporto pubblico. Perché ad annegare nell’inefficienza dell’Atac sono soprattutto le zone (e le fasce) più “deboli”, cioè proprio quelle periferie dove la crisi sta aumentando le distanze e favorendo i focolai di disagio.

E tante altre cose.

Però, altrettanto innegabilmente, Marino sta anche facendo bene. La chiusura della discarica di Malagrotta (e il conseguente colpo inferto all’impero di Cerroni) è un atto sacrosanto per la salute dei cittadini che Roma aspettava da anni, ma che le amministrazioni – sempre da anni – rimandavano a colpi di rinnovi temporanei. E stiamo parlando di salute, non di simpatia. La lotta all’abusivismo commerciale e (finalmente!) ai paninari-bibitari-caldarrostari targati Tredicine finora non l’aveva fatta nessuno. L’apertura di un primo tratto della metro C non è un semplice taglio di nastro perché – è bene ricordarlo a chi, in questi giorni ha la memoria molto molto corta – una delle prime spine che la giunta ha dovuto affrontare (e non rimandare, nascondere o posticipare) era proprio il blocco dei cantieri. La pedonalizzazione del tridente, poi, non l’aveva messa in atto neanche l’osannato Veltroni, che pure ne parlava. Così come nessun sindaco aveva razionalizzato le licenze natalizie per Piazza Navona facendola diventare un suk di chincaglierie varie. Non ha consentito (e non consente), poi, che attraverso la pratica squallida della manovra d’aula, i consiglieri comunali possano pasturare impunemente i propri bacini elettorali elargendo qualche migliaio di euro ad associazioni, gruppi e comitati amici.

Ha dimostrato, quindi, di non essere schiavo dei meccanismi che per anni hanno dominato su Roma dall’interno e dall’esterno dell’aula consiliare, e che adesso vogliono prepotentemente tornare a governarla.

Ma questo post non vuole essere una bilancia. Non mi interessa – ora come ora – capire quale piatto pesi di più. Credo però che queste opposte percezioni siano un esempio calzante di come il sindaco voli alto nella sua idea (ambiziosa e irrealizzabile) di rivoluzionare Roma cambiando in un colpo solo sia le abitudini dei cittadini che quelle della politica ma, contemporaneamente, sbagli i tempi e la direzione del suo “volo”. Perché oggi lo sguardo di chi deve affrontare quotidianamente i problemi legati alla mancanza di lavoro, di opportunità, di assistenza, è rivolto a terra. Ed è uno sguardo che cerca un’amministrazione capace di affrontare con determinazione (e senza improvvisazioni) i problemi di ordine sociale ed economico. E che, al centrosinistra, non può e non deve sfuggire.

Il sindaco va riportato a terra, dunque. Ma questo compito spetterebbe a un partito serio, capace di tenere sempre la rotta verso un obiettivo di ampio respiro, verso un’idea nuova di città che riguardi Piazza Navona e Tor Sapienza contemporaneamente.

Perché se sono sbagliate alcune prese di posizione di Marino, è gravissima quella del Partito Democratico di Roma. I sondaggi negativi resi pubblici ad arte, le dichiarazioni balbettanti, le richieste di azzeramento della giunta, evidenziano solo come qualcuno stia sgomitando per il potere, non per la città. E come l’indirizzo del sindaco deve essere corretto nettamente, questa manifestazione putrescente della peggior politica deve essere estirpata.