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#JulesBianchi.

Lo scrivo chiaro e tondo.

Jules Bianchi era un pilota ed è morto per le conseguenze di un grave incidente di gara.

Ma Jules Bianchi è stata infamato da chi gestisce la Formula 1 come fosse un carnevale. Dalla coppia Bernie Ecclestone-Charlie Whiting, troppo impegnati a silenziare i motori, ridurre i costi, diminuire i test, omologare gli sviluppi, limitare la velocità, punire i sorpassi ruota contro ruota per evitare che una vettura a bordo pista venga rimossa con un trattore senza l’ingresso della Safety Car. Con un TRATTORE.

Jules Bianchi è stato oltraggiato da quei venduti del Panel della Fia, che in un rapporto di 400 pagine hanno concluso come, in fin dei conti, sia stato lui a non aver rallentato abbastanza. Eccoli qui: Ross Brawn, Stefano Domenicali, Gerd Ennser, Emerson Fittipaldi, Eduardo de Freitas, Roger Peart, Antonio Rigozzi, Gérard Saillant e Alex Wurz.

imagesRecentemente, intervistato da France-info il papà aveva detto A volte mi sembra di impazzire, è peggio che se fosse morto. Il tempo passa, ora sono meno ottimista rispetto a due-tre mesi dopo l’incidente, quando ancora avevamo modo di sperare in una svolta. Purtroppo si arriva in un momento in cui bisogna tornare con i piedi per terra e capire la situazione. Siamo sicuri che si troverebbe a vivere una situazione che non gli piacerebbe. Parole che autorizzano a pensare che Jules sia stato lasciato andare. Una scelta di coraggio e nobiltà morale. Parole sconosciute per la Fédération Internationale de l’Automobile.

Jules Bianchi era un grande talento.

Mi dispiace tanto.

Negare l’evidenza non ha senso.

Negare l’evidenza non ha senso.

Non ha avuto senso per il PSI nel 1992 negare come Mani Pulite stesse annientando il partito e il suo leader.

Non ha senso oggi, per il Partito Democratico, aggrapparsi alla – finora assodata – estraneità di Marino all’inchiesta Mafia Capitale. Non ha senso perchè l’evidenza è quella di un Partito che, a Roma, è già annientato. Dal malaffare che l’ha coinvolto, sicuramente. Ma anche dall’incapacità di dare un seguito alle promesse di “svolte epocali” nella gestione della città.

Nell’editoriale di oggi su “l’Espresso”, Luigi Vicinanza scrive: Roma appare una città fuori controllo. In tutti i sensi. Non c’è capitale in Europa così sporca, sciatta, prigioniera dell’incuria. Metropoli cosmopolita e arretrata. La cui Grande Bellezza – potenza evocativa di un Oscar – è assediata da una corona di spine di quartieri periferici, lontani dai palazzi del potere, dove cova un profondo malessere popolare.

Quindi, se il Partito Democratico ha a cuore Roma, deve lasciare Roma.

Se il Partito Democratico ha a cuore Roma, non deve temere di “perdere” Roma. Non deve nascondersi dietro Marino e alla sua estraneità ai fatti (ma anche estraneità a tutto e a tutti, vien da dire..) per paura della Meloni, di Marchini o di Di Battista.

Ma soprattutto, se il Partito Democratico ha a cuore Roma deve consentire ai romani di riprendersi quello che le cooperative della malavita e del malaffare gli hanno tolto giorno dopo giorno, amministrazione dopo amministrazione, giunta dopo giunta: dalla sicurezza ai beni culturali, al decoro, al verde, all’assistenza sociale.

E, aggiungo, se il Partito Democratico ha a cuore l’Italia, non può non assumersi – oggi – la responsabilità di rimettere Roma, la Capitale, su una strada che sia all’altezza degli impegni, delle scadenze e degli eventi che la politica mondiale impone. E se per tutto questo (che poi sarebbe la normalità…) il passo necessario, visto il costante “sfondamento a sinistra” di un’inchiesta nata a destra, è il commissariamento, è ora di rompere gli indugi.

Non credo che il prefetto Gabrielli possa essere la panacea per tutti i mali di Roma (e della politica a Roma). Credo però possa avere l’autorevolezza – a livello nazionale, cosa da non sottovalutare in una tale situazione – per liberare la strada dalle macerie che i barbari hanno lasciato.

Poi, solo poi, si potrà parlare del nuovo sindaco. E quindi, per me, soltanto di Roberto Giachetti.

P.s. Qualcuno mi dirà: hai cambiato idea? Ebbene sì, ho cambiato idea. E’ perché penso molto. E perchè contengo moltitudini.

La bellezza dolorosa del Nepal.

10968457_10206203705518487_2440510436696247051_nHo provato varie volte a scrivere del mio viaggio in Nepal. Praticamente ogni volta ho cominciato, e interrotto dopo poche righe. E, di certo, non perché non avessi luoghi meravigliosi, sensazioni ed emozioni da descrivere. Era come se avessi una sorta di “blocco” nel cercare di andare oltre il “diario di viaggio”. Come se Kathmandu, Pokhara, Bhaktapur, Bandipur, il trekking sull’Annapurna nascondessero – anzi no, mi nascondessero –  qualcosa di “più difficile”. Come se i templi e le strade affollate, il caos della capitale e il silenzio quasi irreale dei villaggi, lo sguardo su panorami immensi da 4000m di altezza e l’incombente peso di altri 4000m sopra la testa non fossero il fine del viaggio, ma lo strumento per guardare il Nepal più nel profondo. Per capirne le contraddizioni, ma allo stesso tempo per non accettarle e per non esserne assuefatto. Come se i volti delle persone incontrate o sfiorate nelle varie tappe, mi avessero inchiodato di fronte ad una bellezza diversa, senza maschere. Una bellezza dolorosa. La bellezza dolorosa di una donna che è contemporaneamente una santa, una puttana, una creatura infelice e abbandonata diceva Edvard Munch.

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Una bellezza che mi ha scioccato, trasmettendomi un senso di quotidiano e ineluttabile abbandono al presente. Al momento, all’istante, all’oggi. Come se nell’incessante – quasi esasperante – suono dei clacson, nelle convulse processioni verso i templi, nel forsennato scuotere le campane di preghiera, nell’espressione malinconica anche nel divertimento dei bambini non ci fosse altro che la coscienza di un domani incerto, in equilibrio precario.

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Causale: EMERGENZA NEPAL