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La bellezza, la morale e l’evasione fiscale.

La diffusa e sistematica evasione fiscale è uno dei cancri dell’Italia. Sia chiaro e sia chiara la mia opinione. Sia altrettanto chiaro che Equitalia applica un sistema di verifica e recupero estremamente iniquo e squilibrato .

Detto questo, mi chiedo che cosa ci si aspetti (e cosa si aspetti questo Governo) da Maradona se non un gesto fuori dalle regole e sopra le righe. Pentimento? Prostrazione? Richiesta di patteggiamento, come peraltro ha fatto l’osannato eroe italiano delle due ruote (e grande evasore) Valentino Rossi?

Non credo valga la pena commentare questo gesto e l’applauso che ne è seguito. E’ roba da tifosi. E tra Maradona ed Equitalia sfido a trovarmi qualcuno che tifi per la seconda. E’ roba da stadio. Anche se è sbagliato.

Il gesto dell'ombrello di Diego Armando Maradona rivolto a Equitalia. "Che Tempo che Fa", Rai3.
Il gesto dell’ombrello di Diego Armando Maradona rivolto a Equitalia. “Che Tempo che Fa”, Rai3.

Credo invece che chiunque, guardi questo video, appassionato o meno di calcio, sorrida. come si sorride davanti alla bellezza.

Credo anche che, chiunque guardi queste due facce, come minimo si gratti le palle.

Stefano Fassina (PD, viceministro dell'economia del Governo Letta) e Renato Brunetta (capogruppo PDL alla Camera dei Deputati).
Stefano Fassina (PD, viceministro dell’economia del Governo Letta) e Renato Brunetta (capogruppo PDL alla Camera dei Deputati).

Non c’è una livella per tutti.

A morte ‘o ssaje ched’e”…e’ una livella.

 ‘Nu rre, ‘nu maggistrato, ‘nu grand’ommo, 
trasenno stu canciello ha fatt’ ‘o punto 
c’ha perzo tutto, ‘a vita e pure ‘o nomme: 
tu nun t’he fatto ancora chistu cunto?

Questo scriveva Totò nella celebre ‘A livella. E’ vero? In parte.

Siamo tutti uomini, mortali. Impotenti di fronte alla morte. Ma non uguali. E non è un discorso religioso, una tiritera di peccati, buone azioni, pentimenti eccetera. E’, a pensarci bene, un discorso di Storia. Perché il giusto e lo sbagliato sono due categorie che esistono, e devono esistere. E con loro la giustizia e l’orrore. Categorie che la Storia analizza, contestualizza, che addirittura può arrivare – ed è arrivata – a mettere in discussione, ma che non cancella mai.

Così ha fatto Roma, che non ha cancellato niente. Via Tasso, via Rasella, le Fosse Ardeatine. E sopportando la faccia strafottente di Priebke durante gli arresti domiciliari, le sue passeggiate ai giardinetti, addirittura lo champagne per il suo compleanno, ha sconfitto il carnefice affidandosi a quella giustizia a cui la Storia arriva sempre. Perché un colpevole è sempre un colpevole, anche se anziano. Un boia è sempre un boia, anche da morto.

Erich_Priebke_in_servizio_presso_l'ambasciata_tedesca_di_RomaE quel boia morto, anche se a 100 anni, è quello di questa foto, con la sua linda divisa da ufficiale nazista. E le mani macchiate di sangue ben nascoste dietro la schiena.

Nel 2006 Luis Sepulveda scriveva su “la Repubblica” queste parole a proposito di Pinochet. Credo calzino a pennello.

Vorrei essere in Cile tra i miei cari e condividere con loro la spumeggiante allegria di sapere che finalmente finisce l’odiosa presenza del vile che ha mutilato le nostre vite, che ci ha riempito di assenze e di cicatrici. Smette di respirare un’aria che non gli appartiene, di abitare in un paese che non merita, tra cittadini che per lui non provano altro che schifo e disprezzo. Ma muore, e questo è quello che importa.

Nessun perdono, mai.

Il paradosso del poliziotto.

Mi sono imbattuto nel “Paradosso del poliziotto” casualmente, una domenica pomeriggio, curiosando in una libreria mentre passeggiavo tra piazza Navona e via del Governo Vecchio. Mi ha attirato il titolo, perché erano i giorni seguenti alla sentenza sul caso Stefano Cucchi. Sentenza che di paradossi ne ha tanti. [sul tema mi sono sfogato qui].

Gianrico Carofiglio, Il Paradosso del poliziotto - Nottetempo.
Gianrico Carofiglio, Il Paradosso del poliziotto – Nottetempo.

Nel libricino (40 pagine) di Gianrico Carofiglio, un anziano poliziotto, in un bar, parla con un giovane scrittore di indagini, di tecniche di interrogatorio e, di conseguenza, di come il dubbio abbia – anzi, debba avere – un ruolo fondamentale nel lavoro dell’investigatore. “Io non mi fido mai di una confessione a cui non ho assistito”, è la frase semplice con cui il personaggio del vecchio poliziotto (un po’ troppo stereotipo del “buono”, però: studente di filosofia, figlio di militanti del PCI, diventato poliziotto per esigenza di autenticità esistenziale) inizia a marcare la differenza tra l’uomo e l’automa. Nelle sue parole, infatti, pagina dopo pagina il significato di “dubitare” si trasforma, perdendo il senso investigatorio iniziale e diventando una sorta di valore etico, un modo virtuoso per affrontare la vita e gli altri, senza preclusioni, “buoni” o “cattivi” che siano.