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LDAPOST della domenica. Roma-Inter 4-2. Per tacer del cane.

Quando te rendi conto che a quel fottuto ultimo secondo di quel fottutissimo ultimo minuto (istante che, da ‘na vita, te manda per traverso le serate) a qualcuno je va sempre l’acqua pe’ l’orto, l’avvicinamento al posticipo con l’Inter non può che essere l’esegesi del rodimento di culo. Intendendo per “rodimento di culo” la somma di una serie di fattori che, da soli, basterebbero per annientare speranze e ambizioni di tifoserie sicuramente più assuefatte al profumo di vittoria. E cioè: vittoria all’ultimo sculatissimo secondo della Juve + ritorno di Mancini sulla panchina dell’Inter + un ex che tuttosommatoalpostodeColemeandavabenepureDodò. Per tacer del cane (avrebbe chiosato Jerome Klapka Jerome se Osvaldo avesse giocato alla fine dell’Ottocento).

Se poi dopo essere andato in vantaggio grazie agli strappi di Ljajic e Gervinho prendi il goal del pareggio su un calcio d’angolo lento, un salto ancora più lento e un colpo di testa lentissimo, beh le madonne con cui m’ero già approcciato alla partita, da gementi preci diventano rombi da Formula 1.

E se al goal della vita di Holebas (che, con la sua storia strappalacrime di ragazzo-padre destinato ad una vita da falegname, si candida già a sostituire Tarzan Annoni in quello spicchio di cuore che ogni tifoso riserva ai terzini tutti grinta-e-piedi-di-ghisa) segue una rocambolesca deviazione su un tiro che sarebbe andato fuori, il rombo da Formula 1 dei vaffanculo diventa quello di un Boeing in fase di decollo. Ha pure cominciato a piovere e, si sa, piove sempre sul bagnato. E infatti il tiro (che sarebbe andato fuori) era proprio del cane sopracitato, con conseguente corollario de mitraje, mani alle orecchie e dita sulle labbra.

Ma siccome il ragazzo non ha certo nel quoziente intellettivo la sua dote migliore ed è piuttosto incline ad autocelebrarsi con esultanze smodate a risultato tutt’altro che acquisito, mentre ancora se sistema il codino e s’alliscia i baffetti, Gervinho e Totti portano a ballare tutta la difesa dell’Inter (il capitano improvvisa pure un passo di breakdance e da terra regala un assist che almeno ¾ de Serie A non riuscirebbe a fa’ in piedi e a gioco fermo) e Pjanic fa 3-2.

Che poi la questione non sta nemmeno nel goal o nell’assist.

Perché al 30° del secondo tempo Totti fa, come fosse la cosa più naturale del mondo, un cambio di campo di 40 metri. Preciso. Anzi no, precisissimo. Neppure. Perfetto. Ecco, sì. Fa un cambio di campo di 40 metri perfetto. Talmente perfetto che se a questo mondo la dignità valesse qualcosa, se esistesse ancora il concetto di amor proprio, ecco…allora Osvaldo se sarebbe dovuto levà gli scarpini, la maglia e, imboccata l’uscita (possibilmente di servizio), dedicare ad un’onesta vita da musicista di strada.

Sarebbe finita qui, se la Roma non avesse inspiegabilmente deciso di non affondare il colpo decisivo. Iturbe in due minuti sbaglia due goal che, visti i recenti precedenti, fanno venire brutti pensieri. Gervinho mette in mostra tutto il suo repertorio, quello fatto da giocate a velocità supersonica da fenomeno e tocchi goffi e maldestri alla Fabio Junior.

Chi invece il tocco ce l’ha davvero da fenomeno è Pjanic. Punizione, e a posto così.

Finisce 4-2.

Anzi, no. Finisce che Osvà, la mitraja falla su sto c***o.

LDAPOST della domenica. Atalanta-Roma 1-2. Un campaccio.

Quello di Bergamo è un campaccio. Da sempre.

Un campo dove per vincere devi schierare la squadra tipo, avere i giocatori in piena forma e la rosa tra cui scegliere deve essere quella più forte della tua storia. E comunque, anche in quel caso, i sapienti giardinieri di scuola longobarda al posto dell’erba t’acchittano una pozza di fango profonda 20 cm (e meno male che tra fenomeni e giocolieri c’avevi pure Tommasi e Delvecchio).

Un campo dove, se sei nel pieno di un ambizioso proyecto asturiano calcistico-educativo ne prendi talmente tanti che dopo mezz’ora te fanno il torello.

Un campo dove, di norma, se gli insulti che ti becchi si fermano al quarto grado di parentela l’atmosfera ti sembra tutto sommato accogliente.

Insomma, le premesse per passare il sabato pomeriggio sacramentando ci stavano tutte. Se poi a queste premesse aggiungi che sulla fascia sinistra schieri evidentemente un figurante di Cinecittà che, più che a un arrembante terzino del Chelsea, sembra ispirarsi alle movenze di uno zombie di “The Walking Dead”, ecco che sacramenti, madonne e santi vari si materializzando dopo 40 secondi. 1-0.

Manco il tempo di mettersi comodi e stai sotto di risultato e di gioco. L’Atalanta sembra il Bayern Monaco, Raimondi e Maxi Moralez sembrano Robben e Gotze. Cole, invece, continua a sembra’ sempre e solo Cole. E questo basta. I primi 10 minuti sono di terrore puro, e fanno diventare le suggestioni di mercato una interminabile lista della spesa in cui si elencano centrali di difesa come pacchi di pasta, terzini come etti di prosciutto e portieri come verdure.

Siccome però l’Atalanta non è il Bayern Monaco, Colantuono non è Guardiola ma soprattutto Raimondi e Maxi Moralez col cazzo che sono Robben e Gotze, passo dopo passo, minuto dopo minuto, contrasto dopo contrasto, la Roma riconquista campo e gioco.

Iturbe quando prende palla tra le linee e parte è incontenibile. Lo fermano solo con la più alta espressione comunicativa bergamasca: il muro a secco. Nel senso che lo murano a suon di calci e je timbrano – a secco – i polpacci coi tacchetti. Ljajic trova, in un colpo solo, la posizione in campo, la rapidità di giocata, il goal (e che goal!) e l’assist per Nainggolan. 1-2.

Solo che, mentre ancora te stai a gusta’ il vantaggio, il controllo della partita e il terzo fischione nell’aria, laddove non arriva la strategia di Colantuono arriva la Croce Rossa. Torosidis va fuori per infortunio e in campo ci va un ragazzino. I terzini sono ufficialmente finiti e compilando la lista della spesa si cominciano a guarda’ pure le offerte 3×2.

In un amen i patemi riprendono, gli errori aumentano e i terrori crescono. Astori scivola, De Rossi incespica e De Sanctis s’addorme. La palla balla in area di rigore un paio di volte, ma entrambe le volte rotola fuori a rimbalzella. E al sollievo s’aggiunge pure un senso di giustizia perchè sì, il Rigamonti sarà pure un campaccio, però no, l’Atalanta davvero non è il Bayern Monaco.

LDAPOST della domenica. Roma-Torino 3-0. Ventura Giampiero…

Vincere era un’esigenza imprescindibile. Convincere anche. E la Roma, senza troppe difficoltà, fa entrambe le cose contro una squadra che, per quanto spremuta dalla iattura Europa League (le trasferte del giovedì hanno stravolto squadre ben più quotate del Torino) e dalle spoliazioni subite come consuetudine durante il calciomercato, risulta rognosa. Sempre ben motivata da quel Giampiero Ventura che, quando avvista il giallorosso, freme di rivalsa verso quel grande calcio che lo ha “dimenticato” sulle panchine di squadre di periferia. Oh. Solo che invece, quando di fronte si trova strisce verticali e stemmi zebrati, il suddetto Giampiero Ventura s’approccia alla partita in modo talmente arrendevole da far sembrare pericolosamente bradicardico anche il più fervente dei cuori granata.

Però stavolta 3-0 e via, a casa. Primo fra tutti il mister Ventura Giampiero, granata bianconero.

LDAPOST della domenica – Napoli-Roma 2-0. La fredda cronaca.

Dopo una settimana di analisi sociali, morali, etiche, di sermoni improvvisati e di prediche inadeguate arriva, finalmente, la partita. Di sabato, e alle tre.

Il Napoli scende in campo accarezzando e baciando sei metri di santini appesi nel sottopassaggio. E se insieme a Higuain, Insigne e Callejon bisogna fare fronte pure a Padre Pio, San Gennaro e almeno quattro madonne diverse, la questione si mette male ancora prima di cominciare..

La Roma si presenta con Keita al posto di De Rossi e Florenzi per Iturbe. L’intento sembra essere quello di controllare il match a centrocampo. Infatti in 49 secondi a centrocampo non la strusciamo manco per sbaglio, e il Napoli crea due occasioni da gol.

Il surreale spettacolo delle tribune mezze vuote per una delle (poche) partite di cartello del campionato italiano non fa che evidenziare come (per l’annunciato – e pompato da giornali e tv – clima di guerriglia) si sia arrivati a dover blindare Napoli come neanche il G8 del ’94.

Il surreale spettacolo della Roma in campo, invece, non fa che evidenziare come Garcia si sia scordato di blindà la difesa. Infatti, daje e ridaje, Higuain fa 1-0.

In 4′ e 38″ di gioco superiamo il centrocampo una sola volta, perlatro solo di pochi metri e dopo una serie di passaggi orizzontali la cui inutilità ricorda i fasti della Roma luisenriquiana. La partita è nelle mani del Napoli: Giorginho non trova opposizione (e quella poca che trova la irride), Insigne e Callejon arrivano al tiro in due tocchi (per di più fatti esclusivamente di tacco, d’esterno, di prima e a velocità supersonica). Totti costretto dal pressing avversario al limite della nostra area di rigore per fare un retropassaggio a De Sanctis è l’immagine dell’impotenza della Roma.

Pjanic non azzecca un passaggio, figuriamoci un dribbling. Holebas è un oggetto misterioso almeno quanto la corretta grafia del suo cognome. Totti è impalpabile. Fa male dirlo, ma il capitano sfodera una prestazione da ectoplasma, privo di palloni giocabili (è vero) ma assolutamente non in grado di rispondere allo strapotere fisico degli avversari.

La scarsa lucidità di squadra e allenatore si manifesta inesorabilmente quando la soluzione prescelta per una punizione dalla trequarti innesca un fulmineo contropiede del Napoli che, solo per una questione di centimetri , non ci consegna l’Oscar per lo “schema più stronzo”.

Insomma, per cercare di restare in partita e provare a raddrizzare la gara nel secondo tempo c’aggrappiamo alle mani e alle urla di De Sanctis, a un paio di recuperi di Yanga-Mbiwa, all’imprecisione di Insigne e all’incrocio dei pali su cui (a tempo praticamente scaduto) Hamsik stampa un piattone da dentro l’area a portiere battuto che già faceva ritornare alla mente i fantasmi di tragiche disfatte di Champions..

Il secondo tempo inizia con gli stessi uomini in campo, col Napoli che parte un po’ più lento e la Roma che prova – più per orgoglio che per reale impatto sulla partita – a venire fuori. Che non è giornata, però, lo confermano le due occasioni sprecate da Florenzi e la serie di cross sparati (a cazzo di cane) dai terzini greci. Il patetico deserto lasciato nell’area del Napoli dall’attacco giallorosso, nonostante l’ingresso di Destro e Iturbe, annuncia che la prossima puntata di SuperQuark sarà dedicata alla figura del centravanti della Roma, “questo sconosciuto”.

L’ultima carta giocata da Garcia, Ljajic al posto di Torosidis, risulta perfetta per spalancare ulteriori praterie al Napoli che, al terzo tentativo di battere il record di ribaltamento di fronte più veloce della storia, fa 2-0.

Dunque, questa è la fredda cronaca. E con “fredda” non intendo obiettiva. Ma proprio fredda, ghiacciata. Perchè a vedere la Roma così impotente mi s’è gelato il sangue. E ancora si deve riscalda’.