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LDAPOST della domenica. Roma-Parma 0-0. Nuvole basse.

La fregatura era dietro l’angolo. Ce lo insegnava la storia della Roma (con l’innata capacità di far tornare in salute i malati più disperati) e l’elenco di statistiche negative degli avversari. Eppure tanto era – ed è – disperata la condizione psico-economica del Parma da far sperare che la Roma – seppur rimaneggiata, acciaccata e spuntata – sarebbe riuscita a fare quello che, fino ad oggi, contro i gialloblù ha fatto un buon 90% delle squadre di Serie A: vincere.

E nonostante un inizio lento e macchinoso, il primo anticipo azzeccato da Cole nella stagione (per carità, già al 25esimo del primo tempo) faceva davvero pensare che ‘sto pomeriggio uggioso ci avrebbe riservato un sorriso.

Sì, col cazzo.

Doumbia, neo arrivo e neo campione d’Africa, stravolto da un mezzo giro del mondo e un conseguente jet lag che avrebbe stroncato un supereroe, viene buttato inspiegabilmente nella mischia dopo aver, con ogni probabilità, avuto il tempo di capire solo il senso letterale del motivo del suo acquisto. E quindi per “sostituire Destro” ha sfoggiato una proprietà di palleggio degna dei tornei da Bar dello Sport, una lucidità nei movimenti verso l’aria piccola degna del predecessore e il talento naturale di stare in mezzo alle palle nei momenti decisivi (ostruendo per due volte la porta ai tiri di Ljajic). E il fatto che Keita, dopo l’ennesimo passaggio sbagliato, già al 31esimo si mettesse le mani tra i capelli scuotendo la testa dava idea di quello che avremmo dovuto vedere e sopportare. Cioè pressappochismo nei passaggi, impalpabilità nelle conclusioni e ritmi talmente lenti da far sembrare Cole un giocatore proponibile in serie A.

Tra i titolari solo Florenzi e Ljajic (inspiegabile la sua sostituzione) hanno provato a scuotere la squadra. E a scuotermi da quel torpore in cui il mix divano, nuvole basse e partita di merda mi aveva fatto precipitare. E solo i tre ragazzi subentrati (Verde, Sanabria e Paredes – inciso nell’inciso: forse valeva la pena dargli una chance al posto dei due fantasmi ivoriani?) hanno mostrato di poter imprimere, seppur nella confusione generale, un cambio di passo. Li ringrazio, tutti, per il tentativo. Reso mirabilmente vano dai patetici tentativi di Gervinho di stoppare palloni con il petto, e dalla scelta di attaccanti e centrocampisti di non attaccare mai (mai! mai!) l’area piccola. Aggiungiamoci poi che, nelle sparute circostanze in cui quel rettangolo di 18,32m x 5,50m tra la linea di porta e il dischetto del rigore vedeva la presenza di maglie giallorosse, cadute rovinose (Doumbia) e traverse spizzate da venti centimetri (Cole) non hanno fatto altro che rendere le prospettive ancora più cupe. Le nuvole ancora più basse. E i rodimenti di culo ancora più vorticosi.

LDAPOST della domenica. Roma-Empoli 1-1. Il DNA della sconfitta.

Attitudine alla sconfitta.

L’ho sempre saputo. In un certo senso me lo sono sempre “sentito”. Che al netto degli infortuni, degli Orsato (o dei Banti o dei Rocchi), della preparazione fisica, della tattica, qui si perde perchè perdere è più facile che vincere. E perchè qui perdere, paradossalmente, rende quasi più che vincere.

L’ho sempre scritto, scherzandoci su.

Ma per quanto faccia sorridere (e anche piangere), non è uno scherzo.

E’ Roma. E’ la Roma.

Lo ha scritto anche un giornalista, Francesco Repice, radiocronista di RadioRai. Perciò, in un certo senso, lascio la parola a lui. Perchè mica vorremmo davvero sta’ a parlà de Roma-Empoli?

IMG_1008Il DNA della sconfitta è qualcosa che si radica dentro certi club e diventa quasi la sublimazione, l’essenza, la ‘ragione sociale’ di quell’ambiente. Questo succede alla Roma che, pur essendo ampiamente attrezzata per vincere, riesce a perdersi nell’aurea mediocrità del secondo posto. Salvo poi rallegrarsi della posizione raggiunta nonostante ‘una stagione in cui è andato tutto storto’. Per carità, la malasorte ci ha messo del suo (Castan, Strootman, Iturbe), ma la verità è che, quando si tratta di prendersi il primato, succede sempre qualcosa: infortuni muscolari, cambi di preparazione, disgrazie arbitrali…..Tutto ciò consente ad alcuni di bearsi del ruolo di rincalzo che non mette assilli. Vuoi mettere starsene al secondo posto (senza rischiare il terzo perchè altrimenti addio vacanze) e non dover necessariamente dare il fritto a Trigoria per arrivare lì dove è il minimo sindacale doversi aspettare da una squadra come la Roma. E del resto quand’è che la Roma ha vinto? Quando un allenatore -discutibilissimo dal punto di vista tecnico- ha chiesto ed ottenuto i migliori tra i migliori. E poi se li è fatti nemici, così come impongono i suoi crismi di allenatore. Anzi, Fabio Capello avrebbe potuto e dovuto vincere almeno un altro scudetto. Ma la sindrome della sconfitta costò un pareggio a Venezia…..Non solo, con Spalletti prima e Ranieri poi, la sindrome della sconfitta ha prevalso su due rimonte che aspettavano soltanto di essere coronate dal trionfo finale. Ed invece, la leziosità di una partita pareggiata a tempo scaduto da Zanetti ed il secondo tempo sconcertante contro la Samp di Cassano e Pazzini riconsegnarono tutto alla ‘normalità’. Pensate cosa avrebbe significato vincere quei due campionati senza risorse economiche. Pensate cosa avrebbero potuto regalare quei giocatori alla loro gente e alla famiglia Sensi fiaccata dalla scomparsa di Franco. E invece nulla. Come oggi del resto. La squadra più forte del campionato che si arrende prima del tempo. Perchè la ‘normalità’ è perdere lasciandosi dietro qualche rimpianto e poter proclamare all’inizio della prossima stagione: “Noi siamo più affamati degli altri”. [Francesco Repice]

LDAPOST della domenica. Fiorentina-Roma 1-1. Assurdo.

Assurdo, tutto.

Assurdo il goal di Gomez. Anche se sul suo risveglio ce se saremmo potuti scommette pure le case.

Assurda la fiacchezza del centrocampo. Assurdo il pressappochismo della difesa.

Assurda l’improvvisazione dell’attacco.

Assurda la condizione atletica, assurde le lacune della rosa. Assurdo il testardo insistere su tattiche statiche (e stitiche).

Assurdo che un allenatore che in 90 minuti di partita riempie pagine e pagine di appunti, nei giorni seguenti non ne rilegga – evidentemente – manco una riga.