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I bastardi di Pizzofalcone. Un bel libro.

Una ricca signora trovata morta in casa, tra la sua collezione di sfere di vetro con dentro la neve. Nessun segno di effrazione, nessun sospetto se non il marito – notaio della Napoli bene –  infedele. Se fosse un giallo, sarebbe un giallo di quart’ordine.

Maurizio De Giovanni, I bastardi di Pizzofalcone, Einaudi.
Maurizio De Giovanni, I bastardi di Pizzofalcone, Einaudi.

Ma I Bastardi di Pizzofalcone è un noir vero, intenso. De Giovanni fa in modo che al lettore della trama importi davvero poco. La storia – quella vera – quella che spinge a leggere e magari a rileggere, la detta Napoli. Una Napoli a cui l’autore non fa sconti, ma alla quale non lesina carezze evidenziando le quotidiane e contemporanee sfumature di rabbia ed allegria. Di caos coinvolgente e latente solitudine. Contrasti aspri, che danno luogo a incontri/scontri diretti e fulminanti. La povertà sgraziata di un basso con l’arrogante sfoggio di ricchezza del circolo nautico. La convulsa animosità di un vico con la flemmatica agiatezza di un importante studio notarile. La vita ideale, sognata da tutti, con le miserie e le meschinità e degli uomini. Diverse e uguali in ogni quartiere, in ogni ceto sociale. Su cui l’autore indugia a lungo, senza mai giudicare. Ma senza fornire alibi a nessuno. Neanche ai protagonisti. Quelli chiamati a ricomporre il nucleo operativo del commissariato di Pizzofalcone, nel cuore di Napoli, sono tutto fuorchè eroi nel senso più classico e nobile del termine. Reietti. Scarti. Con le stesse meschinità, le stesse miserie e gli stessi strazi delle strade e dei quartieri che attraversano.

Un bel libro.

MILLENNIUM4, Quello che non uccide.

Due considerazioni, tanto per cominciare.

1) Gli amanti (come me) della “Trilogia di Millennium” di questo quarto episodio avevano assolutamente bisogno.

2) Gli amanti (come me) della “Trilogia di Millennium” di questo quarto episodio non avevano bisogno affatto.

David Lagercrantz, Quello che non uccide, Marsilio.
David Lagercrantz, Quello che non uccide, Marsilio.

Cerco di spiegare quella che può sembrare – in effetti – una pura e semplice contraddizione, ma non lo è. Quello che non uccide è il quarto episodio di una delle saghe più avvincenti (e di successo) della letteratura thriller. Può piacere o meno, ma la “Trilogia di Millennium” di Stieg Larsson ha “costretto” milioni di lettori in tutto il mondo a notti insonni per divorare Uomini che odiano le donne, La ragazza che giocava con il fuoco e La regina dei castelli di carta. E’ inutile stare a soffermarsi sulle vicende successive alla morte di Larsson e alle presunte 200 pagine di appunti ritrovate dalla compagna nell’archivio dell’autore, perché Quello che non uccide è un capitolo che la casa editrice Norstedts Förlag ha presentato come totalmente realizzato dallo scrittore e giornalista David Lagercrantz. L’autore della biografia Io, Ibra. E questo sarebbe da stabilire se sia un punto a favore o contro.

Lo stile cerca di avvicinarsi il più possibile a quello di Larsson. Descrizioni ed indicazioni puntigliose fino al più insignificante dettaglio, ma in grado di proiettare il lettore nei luoghi dell’azione nonostante la scarsa dimestichezza con l’urbanistica scandinava (non lontano un cane si mise ad abbaiare e si sentiva un odore di cibo, forse proveniente da McDonald’s); precise disquisizioni teorico-matematiche (secondo il teorema fondamentale dell’aritmetica, ogni numero intero ha una sola fattorizzazione in numeri primi e in effetti è una figata, a pensarci. Un numero semplice come 24 possiamo ottenerlo in un sacco di modi, per esempio moltiplicando 12 con 2 o 3 con 8, o ancora 4 con 6. Eppure esiste un solo modo per ridurlo in fattori primi, ed è 2 x 2 x 2 x 3); il tutto alternato a colpi di scena e momenti d’azione.

Sul personaggio principale non poteva sbagliare. E infatti Lisbeth Salander è Lisbeth Salander, l’hacker aggressiva e determinata dal fascino punk. Lagercrantz ha decisamente centrato il bersaglio. Entra nel vivo del racconto (anzi, prende prepotentemente in mano le redini della storia) nella seconda metà del libro, ma se ne percepisce la presenza – e l’importanza – fin dall’inizio. Ecco, Lisbeth Salander è il motivo per cui, di questo quarto episodio, c’era bisogno.

Mikael Blomkvist, invece, è opaco. Lontano dalla storia, se non per il ruolo indispensabile. Sarà infatti come sempre un’inchiesta della rivista Millennium a rendere pubblica, e di conseguenza a dipanare agli occhi del lettore, la matassa di rapporti, dei personaggi e l’intreccio di eventi incontrati.

Un po’ scontata la scelta del “nemico”. Camilla, la gemella di Lisbeth. Bella, cattiva e manipolatrice. Cresciuta a “pane e Zalachenko” fino ad ereditarne parte delle attività di traffiking e il ruolo di mente criminale. Tanto per rimanere in famiglia. Ecco, questo personaggio è il motivo per cui di questo libro non c’era bisogno.

L’operazione commerciale è evidentemente di quelle da incorniciare. La scelta di Lagercrantz come autore (che non mi piace) è stata, vista la resa, sopraffina. Mai un guizzo personale, fedele all’originale ai limiti del fanatismo. O del feticismo nelle esacerbanti indicazioni sulle marche, colori e modelli (era al volante di un’Audi A8 nuova, color argento). Ma in grado di far pensare anche al lettore più smaliziato che “sì, Larsson avrebbe scritto così”. La storia, però, è decisamente sottotono rispetto agli episodi precedenti. E alcuni personaggi sembrano inseriti forzatamente, per rinsaldare il legame con i 3 libri “originali”. Assolutamente inutili, per esempio, le pagine dedicate al commissario Bublanski (e ai suoi rapporti con Dio, con il suo rabbino e con il cioccolato all’arancia). Ecco, anche di tutti questi “richiami” non c’era bisogno.

Nel frattempo, alla fine della fiera, aspettiamo il 5°.

La banda degli invisibili.

Fabio Bartolomei, La banda degli invisibili, E/O.
Fabio Bartolomei, La banda degli invisibili, E/O.

E’ stato definito un tenero e delizioso romanzo (Luciano Del Sette, Alias/Il Manifesto). Intensamente divertente e allo stesso tempo intensamente triste, aggiungo io. Un romanzo sullo scorrere del tempo, ma anche sui valori (l’amicizia, l’amore, l’orgoglio) a cui i protagonisti, quattro anziani in difficoltà (chi per la salute precaria, chi per dover fronteggiare le scadenze e le bollette con una pensione sempre troppo bassa), si aggrappano caparbiamente per non immalinconire davanti al televisore. E’ infatti contando ognuno sulle (poche) forze dell’altro che Ettore, Osvaldo, Filippo e il narratore Angelo tornano ad essere quattro “partigiani della Montagnola” (il quartiere di Roma dove si svolge il racconto) in grado di rapire il Presidente del Consiglio Berlusconi per ottenere, anzi per pretendere, delle scuse. Scuse agli anziani, ai giovani precari, agli studenti, agli omosessuali, agli operatori sociali. Scuse alla politica e alla democrazia. Scuse ad un’idea, a un ideale, di Paese per cui hanno combattuto e ucciso, e che non possono accettare di far diventare un lontano ricordo. Senza rassegnazione, con una sfacciata ironia, ma anche con una costante velatura di malinconia, Angelo Di Ventura partigiano, nome di battaglia Arcangelo, combatte. Che ci sia da salvare la democrazia e la dignità del Paese, o da conquistare un amore con cui passeggiare almeno un’ora al giorno perché questo bisogna fare con la donna della propria vita, bisogna farla camminare, tenerla viva, alimentare la speranza che ci sia un posto in questo mondo nel quale la vecchiaia come lei l’ha sempre immaginata non esiste. D’altronde un partigiano è sempre un partigiano, nonostante un’anca sbilenca, la pensione minima e il passaggio al digitale terrestre.

Argento vivo.

Argento Vivo, Marco Malvaldi, Sellerio.
Argento Vivo, Marco Malvaldi, Sellerio.

Una classica lettura estiva. Leggera, scorrevole, divertente, da sfogliare in spiaggia, sotto l’ombrellone, o la sera al fresco di un refolo di vento. “Argento vivo” è una commedia degli equivoci in perfetto stile-Malvaldi. I tratti caratteristici ci sono tutti: la matematica, la letteratura (e la grammatica!), le battute (talmente spietate da diventare omaggi) sugli ingegneri. Un umorismo mai banale, mai sboccato ma al tempo stesso mai ingessato. Un’ironia diretta, schietta che, in più di un’occasione, mi ha costretto a soffocare le risate (tanto per provare ad evitare di essere scambiato per uno scemo che ride da solo…). Se non ha niente di significativo da dire e vuole semplicemente fare dei discorsi grammaticalmente ineccepibili, smetta di scrivere romanzi e si candidi per il Partito Democratico. Sarà pure “sparare sulla croce rossa” ma  – visti i tempi – la chiosa è geniale. E poi Leonardo Chiezzi – protagonista e vittima della serie di equivoci che costituiscono la trama – blogger letterario “maniaco” della punteggiatura, autoironico, innocuamente irascibile alla maniera dei toscani, sembra un personaggio autentico, comune, sincero (molto più del “barrista” – per carità rigorosamente con due erre – Massimo e del suo BarLume). Anzi, sembra proprio Malvaldi.

Suburra.

Progetto “Waterfront”, lo chiamano. Milioni di metri cubi di cemento mascherati da “housing sociale”. Basterebbe una delibera – presentata al momento giusto e votata dai numeri “giusti” – per consentire alla malavita di mettere le mani sulla cementificazione della periferia sud di Roma. Ma per una delibera serve la una certa politica. E ad una certa politica serve una certa chiesa. Non sono solo i boss, quindi, a sedersi attorno al tavolo di questo affare colossale per ridisegnare alleanze, stringere patti e stabilire il futuro di Roma.

Giancarlo De Cataldo, Carlo Bonini, Suburra, Einaudi.
Giancarlo De Cataldo, Carlo Bonini, Suburra, Einaudi.

Non c’è dubbio che a De Cataldo abbia fatto bene lavorare a quattro mani con Bonini. Stavolta infatti la banda della magliaia (dopo i fasti letterari di Romanzo Criminale, quella sorta di obbligato “sequel” Nelle mani giuste, e lo stanco prequel Io sono il Libanese) riecheggia solo sullo sfondo, come un’eco lontana, per lasciare spazio a scenari (geografici, sociali ma anche – e soprattutto – politici) più attuali. Scenari cupi, ovviamente. In cui la finzione letteraria e la cronaca si fondono, regalando al lettore una trama in cui oggi (il libro è invece del 2013) possiamo agevolmente riconoscere i luoghi, ricostruire i tempi e attribuire i nomi e le facce che, quotidianamente, leggiamo e vediamo su quotidiani e telegiornali.

Il monopolio criminale sul litorale. La collusione con la malavita di esponenti del parlamento e del consiglio comunale. Le feste e i “festini” a base di cocaina e prostitute. La doppia vita di politici baciapile e la spregiudicatezza negli “affari” di una parte della chiesa. Le devastazioni dei black bloc e le violenze della polizia. La corruzione nella magistratura e nelle forze dell’ordine. Il titolo non poteva essere più azzeccato. Tutto questo è “Suburra”, nell’accezione più negativa del termine. Plebaglia, gente di malaffare. Come quella che abbiamo intorno.